Come potrai immaginare, questo progetto ha dei costi, quindi puoi sostenerci economicamente con un bonifico alle coordinate che trovi qui di seguito. Ti garantiamo che i tuoi soldi verranno spesi solo per la crescita del progetto, per i costi tecnici e per la realizzazione di approfondimenti sempre più interessanti:

  • IBAN IT73P0548412500CC0561000940
  • Banca Civibank
  • Intestato a Meridiano 13

Puoi anche destinare il tuo 5x1000 a Meridiano 13 APS, inserendo il nostro codice fiscale nella tua dichiarazione dei redditi: 91102180931.

Dona con PayPal

Un altro anno di rabbia repressa: l’appello degli ucraini a non scendere a patti con il male

Nell’ultimo anno, e a quasi tre dall’inizio dell’invasione russa su larga scala del febbraio 2022, sono emersi alcuni risvolti e sviluppi che complicano l’interpretazione del conflitto che continua a imperversare in Ucraina e di cui, nonostante il ritorno di possibili negoziati e il chiaro appello degli ucraini, non si vede la fine. 

Parlarne diventa sempre più complesso e delicato perché spesso si ha l’impressione che la gente abbia la memoria corta e perda di vista come si è arrivati a questo punto e chi sia il vero invasore. Chi si ricorda ancora dei primi bombardamenti sulla capitale ucraina la mattina del 24 febbraio 2022? Dell’assedio di Mariupol’ o di quello passato in sordina di Sumy (città del nord-est a pochi chilometri dal confine con la Russia)? Del massacro di Buča, delle fosse comuni di Borodjanka, della battaglia di Irpin’, dell’occupazione di Cherson, liberata solo l’anno successivo? O ancora, dell’annessione ufficiale dei nuovi territori occupati nel settembre 2022 da parte del Cremlino?

Leggi anche: La guerra non è iniziata il 24 febbraio 2022
appello degli ucraini
Poster dedicato ai difensori della città di Mariupol’ (Meridiano 13/Claudia Bettiol)

Con l’insediamento alla Casa Bianca del nuovo presidente americano, Donald Trump, il quale ha dichiarato di voler mettere la parola fine a questo bagno di sangue, sono due principalmente le campane che rintoccano nei media del mondo sulla cosiddetta “questione ucraina”.

Da una parte, abbiamo degli esperti (e non solo) che ormai affermano a gran voce che Kyiv sta perdendo questa guerra e non ha alcuna possibilità di vincerla se non sedendosi al tavolo dei negoziati, accettando a testa bassa le condizioni dell’aggressore per una prospettiva di pace in Europa e per evitare di provocare (e far arrabbiare) ulteriormente il presidente russo Vladimir Putin.

Dall’altra, invece, c’è chi ritiene che la Russia sia ormai sull’orlo del collasso, perlomeno sul piano economico e finanziario (qui un’analisi approfondita in inglese di Carnegie sul tema), fattore che inevitabilmente va a influire sulla gestione del conflitto: secondo alcune stime, la Russia prevede infatti di spendere 13,2 trilioni di rubli, pari a circa 92,60 miliardi di euro, per le spese di guerra del 2025, ovvero circa 267 milioni di euro al giorno. Se il collasso economico è vicino, dovrebbe teoricamente esserlo anche la fine della guerra, no?

Difficile però avere un’idea chiara e lucida anche di quello che sta accadendo all’interno dei confini attuali dell’Ucraina, soprattutto quando si parla di quelli labili lungo il fronte e dei territori occupati, di cui si hanno pochissime notizie ed esclusivamente provenienti da media non indipendenti (o meglio: dipendenti dal regime e dalla propaganda di Mosca), delle cui narrazioni è sempre bene dubitare.

Inoltre, come ha più volte ripetuto nelle sue analisi anche Lawrence Freedman, professore emerito di studi sulla guerra al King’s College di Londra:

chi scrive non si ritiene affatto un osservatore imparziale sulla questione, di certo non gli è difficile capire chi è l’aggressore e chi è l’aggredito, né perché l’Ucraina continua a resistere e a non firmare una resa a occhi chiusi.

Notizie da un fronte allo stremo delle forze

Nessuno sta negando che la presenza russa al fronte non sia solida, soprattutto a livello numerico: le truppe russe continuano ad avanzare, nonostante le pesanti perdite in termini di uomini ed equipaggiamenti, e a tener testa alla controparte ucraina seppur con dei periodi altalenanti e molto più lentamente del dovuto.

Eppure, nel corso del 2024 abbiamo assistito a battaglie lunghe e a conquiste per niente lampo da parte delle forze armate russe, interrotte dall’insuccesso dell’offensiva di Charkiv (Putin avrebbe voluto creare una zona cuscinetto in quell’area, ma non ci è riuscito) e dall’evidente sorpresa dell’incursione ucraina nella regione russa di Kursk, che ha colto inaspettati sia Mosca che gli alleati di Kyiv. Sebbene si tratti solo di una minima parte del territorio russo, per i russi è imbarazzante che sia ancora in mano all’Ucraina.

Al riguardo, si può parlare quasi di uno spartiacque della situazione nel 2024: il pre e il post-offensiva nella regione di Kursk. Avviata nei primi giorni di agosto, l’operazione ha inevitabilmente segnato una nuova visione del conflitto e dato un barlume di speranza sulle sorti future dell’Ucraina, tanto che il morale delle truppe e quello della popolazione ucraina ha subito uno slancio verso l’alto.

appello degli ucraini
Viale Chreščatyk a Kyiv, nei pressi di Majdan Nezaležnosti, quasi deserto durante uno degli allarmi aerei nell’autunno/inverno del 2023 (Meridiano 13/Claudia Bettiol)

L’adrenalina e la speranza, tuttavia, sono andate spegnendosi con il passare dei mesi a causa del mancato cambio di strategia russo (si prevedeva uno spostamento di truppe russe dalle zone del Donbas in difesa alla regione di Kursk), dell’arrivo in autunno dei nordcoreani a rimpolpare le fila dell’esercito russo (allargando così il conflitto su un piano politico mondiale) e della palpabile stanchezza ucraina, dovuta perlopiù alla gestione dei battaglioni e alla nuova mobilitazione.

Parrebbe, infatti, che nel solo 2024 siano stati mobilitati circa 200mila uomini, creando non poche tensioni nel paese, sia al fronte che tra la popolazione civile, a causa delle decisioni prese dal presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj e dal suo establishment.

Leggi anche: La stanchezza della guerra. Una Kyiv surreale, un fronte caldo e una nuova legge sugli aiuti umanitari

Un presidente legittimo?

Non è un compito facile quello di Volodymyr Zelens’kyj, presidente che non ha mai abbandonato la sua carica e il suo posto a capo dell’Ucraina nonostante avesse benissimo potuto farlo già nel febbraio 2022, fuggendo così dalle grosse responsabilità di guidare un paese in guerra. Eletto legittimamente e democraticamente (cosa che è bene sottolineare di questi tempi) nel 2019, come hanno riportato anche gli osservatori internazionali della missione OSCE/ODIHR, Zelens’kyj ha dovuto affrontare scelte e decisioni molto spesso criticate e poco apprezzate, all’estero come in patria. 

Al di fuori dell’Ucraina probabilmente è ancora percepito da molti come una figura popolare, il cui punto di forza è sempre stato quello di comunicare efficacemente (un “emotivatore”, come l’ha definito Il Sole 24 ore) e di mobilitare il supporto internazionale per guidare la resistenza ucraina. Tuttavia, se in molti paesi è considerato un simbolo della resistenza democratica contro l’autoritarismo, in altri lo vedono come un ‘eroe sanguinario’, un guerrafondaio accusato di non essere in grado di porre fine al conflitto per vie diplomatiche e di spingere i leader mondiali all’invio di armi in aiuto all’Ucraina. Secondo un sondaggio della scorsa estate, il livello di fiducia nei suoi confronti è comunque sceso.

La percezione cambia all’interno del paese, dove si vive effettivamente la guerra e vige una ferrea legge marziale che, inevitabilmente, limita i diritti civili dei cittadini. La maggior parte degli ucraini rispetta il presidente per molte ragioni, tra cui il fatto di non essere scappato a gambe levate non appena le truppe russe hanno invaso Kyiv arrivando dalla Belarus’ a bordo dei loro carri armati; o anche perché sono consapevoli del ruolo chiave che riveste nel presentare un’Ucraina unita e compatta, immagine che riesce a difendere piuttosto bene all’estero. Tuttavia, la sua popolarità in patria ha avuto un calo abbastanza drastico nell’ultimo anno (secondo l’Istituto Internazionale di Sociologia di Kyiv solo il 52% degli ucraini gli accordano fiducia, contro il 77% nel 2023), dovuto principalmente a due fattori: la mobilitazione e le mancate elezioni.

Come abbiamo già accennato, la mobilitazione di 200mila uomini non sarebbe mai stata possibile se non usando la forza e varando una legge particolarmente dura per tutti gli uomini del paese. A dicembre 2023, lasciando il comando dell’esercito a Oleksandr Syrs’kyj, l’ex capo delle forze armate Valerij Zalužnyj aveva ribadito più volte a Zelens’kyj di aver bisogno di uomini, richiesta più che legittima in preparazione di quella che poi sarebbe diventata “l’operazione Kursk” e per il ricambio dei militari arruolati (alcuni sono al fronte da inizio 2022). Dopo mesi di discussioni, in primavera la Verchovna Rada (il parlamento ucraino) ha così introdotto e approvato una nuova legge sulla mobilitazione che abbassava l’età di reclutamento da 27 a 25 anni e creato una nuova app di tracciamento dei profili di ogni cittadino di sesso maschile dai 18 ai 60 anni (secondo la legge marziale in vigore gli uomini all’interno di questa fascia di età non possono varcare i confini e lasciare il paese perché soggetti a mobilitazione). Due decisioni che non sono state accolte favorevolmente da parte della popolazione.

A ciò si aggiunge l’insoddisfazione generale per il mancato cambio di governo: nonostante i numerosi rimpasti e i dibattiti interni, il partito del presidente (“Servo del popolo”) continua ad avere la maggioranza e a governare seguendo la leadership di Zelens’kyj. Qualsiasi tipo di riforma politica e sociale interna viene rimandata perché la priorità è quella di gestire un paese in guerra.

appello degli ucraini
Manifestazione a Kyiv per la liberazione dei prigionieri di guerra ucraini del Battaglione Azov (Meridiano 13/Claudia Bettiol)

Lo stesso vale per le elezioni: le presidenziali avrebbero dovuto tenersi la scorsa primavera, ma già a fine 2023 era chiaro che nessuno le avrebbe indette nonostante le pressioni internazionali. La questione è rimasta sul tavolo dei deputati per mesi, incerti sul da farsi viste le numerose accuse di “illegittimità” e “mancanza di democrazia”.

La domanda, perciò, sorge spontanea: come si organizzano delle elezioni in un paese dilaniato dalla guerra? La sicurezza dei cittadini è un elemento imprescindibile, che diventa difficile da rispettare nel momento in cui ogni angolo del paese è in allerta bombe o, peggio, sotto attacco diretto di missili balistici o dell’artiglieria a seconda dei casi.

appello degli ucraini
Shelter mobile nella città di Dnipro, a cui i cittadini possono ricorrere in caso di allarme aereo (Meridiano 13/Claudia Bettiol)

Installare dei seggi elettorali nei rifugi antiaerei è chiaramente impensabile, sia a livello di preparazione che di costi; non parliamo poi delle zone a ridosso del fronte o nei territori occupati. Inoltre, com’è possibile indire delle elezioni democratiche nel momento in cui oltre la metà della popolazione è impossibilitata a votare? Infatti, chi è arruolato nelle file dell’esercito non ha diritto a esprimere il proprio voto e il voto della diaspora o di quei cittadini con uno status di rifugiati all’estero richiede un’organizzazione speciale.

Non da ultimo: quali sarebbero di fatto i candidati che andrebbero non solo a sfidare Zelens’kyj (che si è detto pronto a ricandidarsi), ma anche a concorrere per una presidenza di un paese in guerra? Nel corso del 2023 è vero che qualche nome era stato fatto, tra cui il sindaco di Kyiv Vitalij Klyčko, oggi in prima linea nella difesa territoriale della sua città e che ha apertamente messo in dubbio la legittimità di restare al potere di Zelens’kyj, l’ex consigliere indipendente dell’ufficio del presidente Aleksej Arestovyč, il quale proprio di recente ha dichiarato di fidarsi più del dittatore russo Vladimir Putin che del presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj, o anche il comico e attivista Serhij Prytula, di cui avevamo raccontato qui.

Per approfondire ascoltate l’intervista di Alessandro Albana alla nostra Claudia Bettiol a Bologna e Dintorni su Radio Città Fujiko.

“Do not appease evil”, un appello degli ucraini alla comunità internazionale

“Non scendete a patti con il male”: è questo il titolo dell’appello degli ucraini rivolto ai leader mondiali e alla comunità internazionale e firmato da 160 personalità ucraine, tra cui attivisti per i diritti umani, parlamentari, diplomatici, accademici, artisti e leader di diverse comunità religiose. Il documento, pubblicato in lingua inglese lo scorso 5 gennaio, sottolinea la visione ucraina sul conflitto e descrive brevemente gli eventuali scenari positivi e negativi della fine della guerra, che non dipende esclusivamente dall’Ucraina.

Come viene sottolineato, “l’obiettivo della Russia non è solo quello di acquisire nuovi territori, ma di distruggere l’ordine mondiale attuale e riprendersi lo status di superpotenza, con l’intento di interferire negli affari di altri Stati e sostenere regimi autoritari”. D’altronde, lo hanno probabilmente dimostrato le ultime tornate elettorali del 2024, in primo luogo le presidenziali in Moldova e la svolta autoritaria della Georgia in seguito alle parlamentarie.

“Per l’Ucraina, questa guerra è una lotta esistenziale per la sopravvivenza della nazione, della società e dello Stato ucraino. Le visioni politiche democratiche ucraine e autoritarie-imperiali russe si escludono a vicenda. Ciò significa che qualsiasi “congelamento” del conflitto su questa o quella linea di demarcazione non porterà né a un alleggerimento delle tensioni né all’instaurazione di una pace sostenibile”, continua l’appello degli ucraini, aggiungendo che “una pace sostenibile arriverà solo quando, sotto la pressione combinata dell’Ucraina e dei suoi alleati, la Russia affronterà una crisi sistemica e la sconfitta del regime di Putin”.

Ammettendo anche che la forza di una democrazia è la capacità di imparare dagli errori del passato e che la stessa Ucraina continua a lottare per raggiungere la democrazia, nonostante tentativi ed errori che sono costati la vita a migliaia di persone, i firmatari di questo appello esortano la comunità internazionale “a cercare un modo non per scendere a patti con l’aggressore, ma per vincere insieme”.

Composizione sulla collina alla fine di Viale Chreščatyk che originariamente era formata dall’Arco dell’Amicizia dei popoli e da due gruppi scultorei che rappresentavano l’amicizia tra la Russia e l’Ucraina. La struttura ad arco è rimasta ma è stata rinominata Arco della libertà del popolo ucraino, mentre parte della scultura è stata smantellata nell’aprile 2024 (Meridiano 13/Claudia Bettiol)

Quello che sostanzialmente vuole l’invasore, come scriveva su OBCT l’attivista Roman Hromyk nell’aprile 2022 – le cui parole sono ancora attuali – “è finire questa guerra in un modo che gli permetterà di farla di nuovo nel prossimo futuro. Putin vuole assicurarsi di potersi prendere una pausa, recuperare l’economia russa, riequipaggiare l’esercito e, soprattutto, correggere gli errori commessi nel suo piano per questa guerra”.

Non ci si può fidare di Putin, né tantomeno del suo establishment, e la storia ce lo insegna. Gli ucraini in questo momento accetterebbero probabilmente una tregua perché i bombardamenti e gli attacchi costanti non permettono di vivere una vita normale e non c’è nessuno che non abbia perso qualche persona cara a causa di questa guerra. L’unico ma fondamentale aspetto che fa però dubitare di un’eventuale condizione di pace, anche temporanea, è la fiducia nei confronti della Russia a mantenere il cessate il fuoco e, soprattutto, a non invadere nuovamente l’Ucraina in futuro. Chi farebbe da garante a tutto ciò?

 Non si può scendere a patti con il male. [Questo] deve essere sconfitto e punito per il bene di un futuro sicuro dell’Ucraina, dell’Europa e del mondo intero.

Condividi l'articolo!
Claudia Bettiol
Claudia Bettiol

Traduttrice e redattrice, la sua passione per l’est è nata ad Astrachan’, alle foci del Volga, grazie all’anno di scambio con Intercultura. Gli studi di slavistica all’Università di Udine e di Tartu l’hanno poi spinta ad approfondire le realtà oltrecortina, in particolare quella russa e quella ucraina. Vive a Kyiv dal 2017, collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso, MicroMega e Valigia Blu. Nel 2022 ha tradotto dall’ucraino il reportage “Mosaico Ucraina” di Olesja Jaremčuk, edito da Bottega Errante.