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Per chi conosce la storia recente dei Balcani Occidentali, il soprannome Arkan riconduce a discorsi di guerra, criminalità organizzata e per chi segue lo sport, il calcio in particolare, alla scena ultras serba. Ma Željko Ražnatović – la persona che si celava dietro lo pseudonimo – è stato anche una pedina dei servizi segreti jugoslavi a cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta; questo percorso gli ha spianato la strada verso ciò che è diventato e ciò per cui è ricordato.
Un’infanzia non semplice
Ražnatović nasce il 17 aprile 1952 nella cittadina di Brežice, nella Slovenia sudorientale, luogo in cui il padre Veljko è di stanza come colonnello dell’aviazione dell’Esercito Popolare Jugoslavo. La sua infanzia non è facile con traslochi continui a causa del lavoro del padre, che lo porta a vivere prima a Zagabria, poi a Pančevo e infine a Belgrado, dove rimane stabilmente fino al 1966. Oltre ai continui spostamenti, Ražnatović deve avere a che fare anche con le violenze fisiche subite da parte del padre e all’età di 12 anni è costretto a vivere la separazione dei suoi genitori.
Da quel momento in poi Arkan inizia la sua vita criminale, nonostante sia appena adolescente. Inizia facendo lo scippatore nei dintorni del parco di Tašmajdan a Belgrado, fino a quando nel 1966 viene arrestato e rinchiuso in un carcere minorile non lontano dalla capitale jugoslava. In questo caso interviene il padre che lo fa uscire di prigione per trasferirlo a Kotor, sulla costa montenegrina, per far sì che venga arruolato nella marina jugoslava. Ma Arkan ha altri piani: si imbarca illegalmente su una nave e sbarca a Parigi. In quel momento ha 15 anni.
Le conoscenze fanno tutto
Arkan dura qualche anno a Parigi: nel 1969 la polizia francese lo arresta per furto e lo estrada in Jugoslavia, dove viene condannato a tre anni di reclusione da scontare nel carcere di Valjevo, nella Serbia centrale. Durante questo periodo, il padre Veljko cala l’asso dalla manica, ovvero le conoscenze ai piani alti: è grande amico di Stane Dolanc, che all’epoca stava per diventare il Segretario dell’Ufficio Esecutivo del Praesidium della Lega dei Comunisti jugoslava, ovvero – a livello tecnico – la seconda eminenza del paese dopo Tito. Dolanc aveva il controllo, tra le altre cose, della Služba Državne Bezbednosti (Servizio di Sicurezza Statale), che era il seguito della famigerata Uprava Državne Bezbednosti o Udba (Amministrazione della Sicurezza Statale). Arkan entra così nel giro dei servizi segreti.
Andare a prenderli prima in casa…
L’Udba aveva come obiettivo la sicurezza del paese e questo, come per tutti i servizi segreti dell’epoca, sottintendeva l’eliminazione delle minacce sia internamente che all’estero. Inizialmente la polizia segreta si occupava di trovare ed eliminare principalmente collaborazionisti che avevano combattuto durante la Seconda guerra mondiale a fianco di nazisti e fascisti, come gli ustaša croati e i četnici serbi. Tra i “colpi” più famigerati messi a segno dall’Udba c’è l’arresto e la condanna a morte, nel 1946 (quando si chiamava ancora Ozna, Odjelenje za zaštitu naroda, in italiano Dipartimento per la protezione del Popolo), del vojvoda cetnico Dragoljub Draža Mihailović.
…e poi all’estero
Nel 1957 l’Udba attenta alla vita del fu Poglavnik (versione croata dell’italiano Duce) dello Stato Indipendente di Croazia Ante Pavelić che dopo la fine della guerra si era rifugiato (come tanti altri ustaša e nazifascisti europei) in Argentina. Pavelić a seguito dell’attentato si rifugia nella Spagna franchista, dove morirà due anni dopo a causa delle ferite riportate. Un altro obiettivo del servizio segreto era stato Vjekoslav Luburić, il sadico comandante del terzo campo di concentramento attivo più grande d’Europa durante la Seconda guerra mondiale, quello di Jasenovac. Gli agenti dell’Udba lo scovano a Carcaixent, poco lontano da Valencia, in Spagna, e il 20 aprile 1969 lo uccidono con svariati colpi d’arma contundente alla testa.
Dopo l’esperienza in carcere a Valjevo, Arkan ritorna nell’Europa dell’Ovest, prendendo contatti con i criminali jugoslavi più famosi dell’epoca come Ljuba Zemunac (pseudonimo di Ljubomir Magoš), Đorđe Božović Giška e Goran Vuković Majmun, formando una banda dedita a rapine (principalmente a banche, gioiellerie e oreficerie). Nel frattempo Arkan rimane al soldo dell’Udba che gli commissionava omicidi e lo aiutava ad uscire di prigione quando veniva catturato fornendo soldi, documenti falsi e assistenza. Si stima che tra gli anni Settanta e Ottanta Ražnatović abbia ucciso dalle sette alle dodici persone per conto del servizio segreto jugoslavo. Tra il 1972 e il 1983 viene arrestato quattro volte in quattro paesi diversi (Belgio, Paesi Bassi, Repubblica Federale Tedesca e Svizzera): non sconta mai interamente le pene, riesce sempre ad evadere dal carcere. Quando il 27 aprile 1983 fugge dal carcere di Torberg, in Svizzera, è sulla lista dei ricercati delle polizie di mezza Europa.
Arkan, i Delije e il campo di battaglia
Dopo la fuga dal carcere svizzero Arkan ritorna a Belgrado e continua a rapinare banche: nel novembre del 1983 viene rapinata una banca a Zagabria e sulla scena viene rinvenuta una rosa, la “firma” che lasciava durante i colpi nell’Europa occidentale. Nel 1990 viene messo dai servizi segreti a capo della curva della Stella Rossa, dove riesce a reclutare quella che poi diventerà la Srpska Dobrovoljačka Garda, la Guardia volontaria serba; sarà lui a guidarli sui campi di battaglia delle guerre in Croazia, Bosnia e Kosovo, commettendo svariate stragi, pulizie etniche e crimini contro l’umanità. L’Interpol rilascia un mandato di cattura internazionale nei suoi confronti e, una volta terminati i conflitti nell’area, viene accusato dalla Corte Internazionale per i crimini di guerra nell’Ex-Jugoslavia di crimini contro l’umanità.
Dei suoi crimini non risponderà mai, complice la protezione nei suoi confronti da parte del governo della neonata Repubblica Federale di Jugoslavia. Rimarrà ucciso in un agguato il 15 gennaio 2000 all’hotel Intercontinental di Belgrado.
La figura di Željko Ražnatović Arkan è divisiva tutt’oggi. Nei circoli ultranazionalisti serbi viene considerato un eroe di guerra che ha servito la patria per la causa di una grande Serbia; l’altra parte dell’opinione pubblica lo considera per ciò che era, ovvero un criminale protetto dallo stato, a partire dai suoi inizi come rapinatore ed assassino al soldo del servizio segreto jugoslavo.
Laureato in Scienze della Comunicazione, si occupa principalmente di calcio e basket specificatamente nell'area balcanica, avendo vissuto in Serbia nel periodo tra agosto 2014 e luglio 2015. Ha collaborato da giugno 2020 a dicembre 2021 con la redazione sportiva di East Journal. É co-autore del podcast "Conference Call" e autore della rubrica "CoffeeSportStories" sul podcast "GameCoffee". Da agosto 2022, collabora con la redazione sportiva della testata giornalistica "Il Monferrato".