Come potrai immaginare, questo progetto ha dei costi, quindi puoi sostenerci economicamente con un bonifico alle coordinate che trovi qui di seguito. Ti garantiamo che i tuoi soldi verranno spesi solo per la crescita del progetto, per i costi tecnici e per la realizzazione di approfondimenti sempre più interessanti:
IBAN IT73P0548412500CC0561000940
Banca Civibank
Intestato a Meridiano 13
Puoi anche destinare il tuo 5x1000 a Meridiano 13 APS, inserendo il nostro codice fiscale nella tua dichiarazione dei redditi: 91102180931.
Fu l’allenatore della squadra che “tremar il mondo fece”, ovvero del Bologna più forte di sempre. Prima di ciò fu però anche un gran bel giocatore, un mancino che si fece notare prima in patria e poi venne a stabilirsi in Italia dove fece fortuna. È passato dalle altezze dei grandi successi ottenuti dalla panchina ad essere spazzato via per colpa dell’umanità, che nel breve lasso di tempo tra il 1922 e il 1945 chiuse gli occhi di fronte ad una delle più grandi tragedie che questo pianeta può testimoniare. Si chiamava Árpád Weisz e prendeva il nome dal condottiero magiaro che fondò la dinastia degli Árpádi che controllò il Regno di Ungheria dall’896 al 1301. Uno degli allenatori più grandi di sempre, portato via dalla follia antisemita che avvolse l’Europa.
Ti interessano altri articoli di sport? Leggi anche questi:
Árpád Weisz nacque il 16 aprile 1896 a Solt, un paesino di circa 6.600 abitanti nell’Ungheria centrale che all’epoca era parte dell’Impero austroungarico; i suoi genitori Lázár e Zsófia erano entrambi di origine ebraica. Dopo aver terminato gli studi alle scuole superiori si trasferì a Budapest per studiare giurisprudenza all’università, percorso che però non riuscì a portare a termine: il 28 giugno 1914 Gavrilo Princip uccise a Sarajevo l’erede al trono dell’Impero, Francesco Ferdinando, e l’Europa cadde in guerra. Weisz, come tutti i suoi coetanei, fu chiamato alle armi e mandato sul Carso a combattere contro gli italiani, dove venne fatto prigioniero.
Una volta tornato in patria nel 1919 iniziò a giocare nella terza squadra di Budapest, dopo l’MTK e il Ferencvárosi, ovvero il Törekvés: era ala sinistra e aveva un mancino di quelli che si vedono raramente, soprattutto in quell’epoca. Fece coppia con uno dei più grandi calciatori ungheresi di sempre, Ferenc Hirzer, che di lì a pochi anni diventerà il primo grande acquisto straniero della storia della Juventus.
Il giovane Árpád segnò 11 reti in 84 partite con la maglia biancoblu del Törekvés e se ne andò nello stesso anno in cui Hirzer lasciò la squadra, il 1923. Approdò al di là del confine cecoslovacco per militare nel Maccabi Brno, squadra della comunità ebraica della città. Le sue prestazioni sul campo vennero notate anche dallo staff della nazionale magiara con la quale debuttò il 15 giugno 1922 a Budapest in un’amichevole, un pareggio per 1-1 contro la Svizzera.
Il “Grande Ammutinamento” del 1924
Árpad Weisz fu membro della spedizione ungherese che prese parte al torneo di calcio dei Giochi Olimpici di Parigi del 1924, senza però mai scendere in campo. Quella squadra era fondata principalmente su giocatori come il già citato Hirzer, György Orth, Zoltán Opata, ma soprattutto Béla Guttmann nel ruolo di centromediano metodista (su Guttmann consigliamo il bel Una casacca di seta blu). All’epoca non esisteva un Villaggio Olimpico, quindi le squadre erano costrette ad alloggiare in città: nell’albergo di Montmartre dove si trovava la rappresentativa magiara le condizioni erano più che squallide, con i giocatori che si ritrovarono a condividere le proprie stanze con i topi. Seguirono vari reclami da parte degli stessi ai dirigenti della Federcalcio, che furono respinti con perdite.
Perché questi dirigenti fecero orecchie da mercante? Molto semplicemente, erano uomini vicini al potere. A quell’epoca l’Ungheria era retta dal governo destrorso del cosiddetto “Ammiraglio senza mare”, il reggente Miklós Horthy, un nazionalista con tendenze antisemite. Il nucleo di quella squadra a partire da Guttmann e comprendendo anche Weisz era di origine ebraica. Per tutta risposta i giocatori decisero di comune accordo di perdere l’ottavo di finale contro l’Egitto e di mandare così la squadra a casa.
Weisz trova casa in Italia
Meglio non tornare a casa dopo quello che successe a Parigi e, difatti, Árpád Weisz si trasferì in Italia perché lo avevano notato gli osservatori dell’Alessandria. Con i grigi si allenò in quell’anno, ma venne preso in forza dal Padova e con gli euganei fece il proprio debutto in Serie A nella stagione 1924-1925, nella quale collezionò 6 presenze e andò in rete una volta sola. Gli scout dell’Inter si segnarono il suo nome e lo misero sotto contratto. Nella stagione 1925-1926 Weisz fece 3 gol in 11 partite, ma non riuscì a terminare il campionato a causa di un grave infortunio al ginocchio, quindi decise di smettere: il suo destino era quello di allenare. Ma prima si prese un anno sabbatico e andò in Uruguay, che all’epoca era la terra promessa del calcio. Iniziò la sua carriera all’Alessandria come vice del direttore tecnico Augusto Rangone, poi tornò a Milano dove prese il controllo dell’Inter.
Il successo si costruisce piano piano
La prima annata sulla panchina milanese fu abbastanza proficua con un quinto posto nel girone finale del campionato. L’anno successivo portò l’Inter sempre al girone finale, ma ebbe meno fortuna concludendo la stagione solamente settimo. Nel frattempo Weisz, da grande uomo di calcio quale era, iniziò ad interessarsi anche alle giovanili nerazzurre e notò in particolare un ragazzino che era stato scartato dal Milan perché troppo esile. Weisz fu colpito dal suo tocco di palla e decise, insieme ai suoi collaboratori, di fargli seguire una dieta per aumentare la sua massa muscolare. Aveva appena scoperto quello che diventerà il più grande centravanti della storia del calcio italiano: Giuseppe Meazza.
Nel 1929 si verificarono dei cambiamenti sia per l’Inter che per l’intero campionato italiano: la squadra fu costretta a cambiare nome perché Internazionale non era abbastanza fascista, meglio chiamarla Ambrosiana. La struttura del campionato cambiò diventando a girone unico, formula con la quale tuttora si disputa il campionato di Serie A. Proprio nella stagione 1929-1930 Árpád Weisz, a soli 34 anni, portò i nerazzurri sul tetto d’Italia: fu il più giovane allenatore di sempre a riuscirci, record che ad oggi rimane imbattuto.
Bologna, la città del suo destino
Nel 1931 l’allenatore ungherese lasciò l’Ambrosiana per accasarsi al Bari che riuscì a portare ad una clamorosa salvezza nel campionato 1931-1932. Tornò ancora a Milano l’anno successivo, ma nel 1934 si trasferì in Serie B al Novara dove sfiorò la promozione nella massima serie. A metà della stagione 1934-1935 tornò in Serie A dove prese il controllo del Bologna, rimpiazzando un altro ungherese cioè Lajos Nemes Kovács.
Nella stagione 1935-1936 riuscì nell’impresa di riportare i felsinei allo Scudetto: l’ultima giornata si disputò il 10 maggio 1936 e i rossoblu vinsero 3-0 sulla Triestina, tornando ad essere Campioni d’Italia per la prima volta dal 1929. Quello stesso giorno Vittorio Emanuele III divenne Imperatore d’Italia e d’Etiopia.
A Bologna era perfettamente integrato nel tessuto della città dove viveva con la sua famiglia composta dalla moglie Ilona e dai due figli Roberto e Clara. Con la conquista dello Scudetto 1936 Weisz si era già conquistato un posto d’onore nel cuore dei tifosi bolognesi, ma quello che riuscì a conseguire l’anno dopo lo eleverà allo stato di vera e propria leggenda.
La squadra che tremare il mondo fa
In occasione dell’Esposizione Universale di Parigi del 1937 la Federcalcio svizzera organizzò una sorta di Coppa delle Coppe ante litteram alla quale vennero invitate otto squadre da tutto il continente europeo: il Bologna venne invitato in qualità di Campione d’Italia insieme a Lipsia, Austria Vienna, Olympique Marsiglia, Phöbus Budapest, Sochaux, Slavia Praga e Chelsea. Per la prima volta una squadra di club inglese scese in campo contro altre squadre europee.
Vinsero 4-1 nei quarti di finale contro il Sochaux e 2-0 in semifinale contro lo Slavia Praga, che vantava giocatori del calibro František Plánička (uno dei portieri più forti dell’epoca) e Josef Bican (uno degli attaccanti più prolifici dell’intera storia del calcio). La finale fu contro il Chelsea: gli uomini di Weisz spazzarono via gli inglesi con un secco 4-1. Nessuna squadra del continente aveva mai battuto una squadra britannica. Il Bologna era stato portato da Árpád Weisz sul tetto d’Europa, rendendola così “la squadra che tremar il mondo fa”.
1938: bisogna andarsene
Nel 1938 Árpád Weisz iniziò il suo terzo anno sulla panchina del Bologna sull’onda di due Scudetti consecutivi e il trionfo parigino. Terminò il campionato 1937-1938 al quinto posto, un’annata un po’ magra rispetto ai campionati precedenti, e si preparò per affrontare la stagione successiva. Una stagione che per Weisz, però, terminò molto presto.
Era il 1938: Adolf Hitler aveva deciso di prendersi l’Austria e parte della Cecoslovacchia. Il 18 settembre 1938 Benito Mussolini annunciò a Trieste l’introduzione in Italia delle cosiddette “Leggi per la difesa della razza” ispirate a quelle di Norimberga della Germania nazista. Tutti gli ebrei stranieri residenti in Italia dal 1919 dovevano andarsene e tra loro c’era anche la famiglia Weisz, nonostante i figli fossero stati battezzati con rito cattolico. Lasciarono il paese valicando il confine a Bardonecchia per stabilirsi a Parigi. Árpád cercò qualche squadra da allenare perché senza il calcio non riusciva a stare, era più forte di lui: ci provò con il Red Star, ma tutto era diventato troppo complicato e lasciò perdere.
Dordrecht e l’epilogo
Árpád Weisz riuscì comunque a tornare su una panchina nel 1939 nei Paesi Bassi: a volerlo fu il Dordrecht, una squadra composta principalmente da studenti universitari che giocava in Eerste Klasse, l’allora massimo campionato olandese. Nella prima stagione riuscì a non farli retrocedere, nelle due annate successive li portò a due quinti posti consecutivi (che ad oggi sono i migliori piazzamenti della storia del club) e a battere le due corazzate del campionato ovvero l’Ajax e il Feyenoord.
C’era un problema: il 10 maggio 1940 la Wehrmacht invase i Paesi Bassi e nel giro di una settimana i tedeschi presero il controllo del paese. Come in ogni territorio conquistato dal Reich, anche nei Paesi Bassi vennero introdotte le Leggi di Norimberga: i Weisz furono costretti a nascondersi e Árpád perse il posto sulla panchina del Dordrecht.
Venne licenziato perché al club fu intimato dalla polizia di lasciarlo a casa. Roberto e Clara furono espulsi da scuola e la famiglia fu costretta ad andare in giro con una grande stella gialla apposta sui loro vestiti. Si nascosero come poterono, ma il 2 agosto 1942 la Gestapo bussò alla porta: finirono tutti sui treni.
La prima fermata fu al campo di concentramento di Westerbork, dal quale ogni giorno partivano treni per la Polonia: la famiglia Weisz salì su quel treno il 2 ottobre con destinazione Auschwitz-Birkenau. Il 7 ottobre arrivarono al campo dove Elena, Roberto e Clara vennero immediatamente uccisi in una camera a gas. Árpád invece scampò a quella sorte perché fu trasferito nel campo di lavoro di Koźle, in Alta Slesia, dove fu costretto a lavorare in fonderia. Resistette per poco più di un anno e il 31 gennaio 1944 Árpád Weisz raggiunse la sua famiglia, lasciando questa terra.
Divenne solo un numero, come altri milioni di persone che passarono dai campi nati dalla follia genocida nazista. Un numero che era stato dimenticato, perché per quasi sessant’anni in Italia non è stato ricordato minimamente. Non importa che fosse stato l’allenatore che aveva introdotto nuovi metodi di allenamento, guidando i propri giocatori in campo. Non importa che fosse stato l’uomo che introdusse in Italia il 3-2-2-3, il cosiddetto Sistema, che ha rivoluzionato a livello tattico il calcio italiano.
A fare luce su questa storia ci ha pensato il giornalista e scrittore bolognese Matteo Marani, autore di Dallo Scudetto ad Auschwitz. La storia di Árpád Weisz, allenatore ebreo, la cui prima edizione uscì nel 2007. Una storia che va ricordata, ora e sempre, per non dimenticare di quando l’Italia chiuse gli occhi e si rese complice di una delle più grandi tragedie che la storia umana ricordi.
Laureato in Scienze della Comunicazione, si occupa principalmente di calcio e basket specificatamente nell'area balcanica, avendo vissuto in Serbia nel periodo tra agosto 2014 e luglio 2015. Ha collaborato da giugno 2020 a dicembre 2021 con la redazione sportiva di East Journal. É co-autore del podcast "Conference Call" e autore della rubrica "CoffeeSportStories" sul podcast "GameCoffee". Da agosto 2022, collabora con la redazione sportiva della testata giornalistica "Il Monferrato".