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L’arte contemporanea dell’Asia Centrale a Milano

Autunno 2024: Milano parla le lingue dell’Asia Centrale. O meglio, attraverso lo sguardo e i lavori di artiste e artisti di quella parte di mondo, la città incontra l’Uzbekistan e il Tagikistan, il Kirghizistan e il Kazakhstan come forse non era ancora successo. Del resto, la vicina Venezia è stata un ottimo apripista per le nuove scene artistiche centroasiatiche e di arte contemporanea dell’Asia Centrale. Alla Biennale di quest’anno, Stranieri Ovunque, i padiglioni delle ex-repubbliche sovietiche d’Asia sono stati cinque, Caucaso compreso, mostrando la volontà di queste nazioni di affermare la propria voce e mostrare il meglio dei network creativi locali.

Ecco allora che, a Milano, un doppio appuntamento è l’ideale per chi fosse interessato ad approfondire ulteriormente un panorama artistico e culturale riconosciuto nei paesi di provenienza, ma non ancora a sufficienza in Italia: si tratta di YOU ARE HERE. Central Asia, mostra collettiva alla Fondazione Elpis, e di A Seed Under Our Tongue, personale di Saodat Ismailova a Pirelli HangarBicocca.

A Seed Under Our Tongue, Saodat Ismailova a Pirelli HangarBicocca

Fino al 12 gennaio prossimo, negli spazi di HangarBicocca è visitabile A Seed Under Our Tongue, la prima mostra italiana a concentrarsi sulle opere e sulla ricerca di Saodat Ismailova: nata a Taškent nel 1981, quest’artista e film-maker uzbeka è cresciuta artisticamente negli anni appena successivi alla decolonizzazione. Non a caso, i fantasmi e le tracce dell’imperialismo sovietico sono al centro del suo lavoro, insieme alle memorie individuali e collettive, la semplicità del quotidiano e le stratificazioni di passato e presente.

Ismailova si serve di media e tecniche diversi, utilizzando come materiali tessuti tradizionali e filmati d’archivio, e dando vita a film e sculture dove i significati si moltiplicano; le domande non hanno una risposta certa e, soprattutto, lo sguardo dello spettatore è costantemente messo alla prova.

Interessante è l’idea dietro A Seed Under Our Tongue: tutto nasce da una leggenda dell’Uzbekistan, che racconta di come un seme di dattero sia stato tramandato di generazione in generazione e di luogo in luogo, fino a trasformarsi nella foresta di noci Arslanbob, grazie al mistico sufi Ahmad Yasawi.

Una trasmissione oltre il tempo e lo spazio, insomma, che viene ripresa da Ismailova per la sua mostra; dodici opere, tra installazioni video e sculture, indagano la ciclicità e le potenzialità della trasmissione, quella che permette persino a un dattero di diventare un albero di noce.

Anche i due fiumi principali dell’Asia Centrale, l’Amu Darya e il Syr Darya, sono un riferimento chiave per l’artista: A Seed Under Our Tongue ne ripercorre la storia, tanto più che alimentavano il lago d’Aral, oggi inaridito per le politiche ambientali sconsiderate dell’Unione Sovietica.

arte contemporanea dell’Asia Centrale
Saodat Ismailova, Chillahona, 2022. Veduta dell’installazione in Pirelli HangarBicocca, Milano, 2024. Esecuzione del ricamo di Madina Kasimbaeva Realizzato per 59° Biennale d’Arte di Venezia, con il supporto di Tselinny Center for Contemporary Culture, Kazakhstan. Courtesy l’artista © Saodat Ismailova e Pirelli HangarBicocca, Milano. Foto Agostino Osio

Entrando nello Shed, la grande sala di Pirelli HangarBicocca che ospita la personale curata da Roberta Tenconi, si ha l’impressione di essere finiti in uno spazio altro, un portale verso un mondo fisico solo in parte. La mostra è molto densa e merita di essere vista con calma, i lavori guardati con attenzione ma con un criterio personale, senza un ordine rigido stile diapositive.

Saodat Ismailova invita a contemplare, entrare in contatto, conoscere. Lo dimostra, per esempio, Stains of Oxus, film del 2016 che segue il corso dell’Amu Darya, e all’estremo opposto dell’esposizione Arslanbob (ancora in lavorazione), girato ai piedi del monte Sulaiman-Too in Kirghizistan. Così onirico, così reale: la dice lunga The Haunted, lavoro video del 2017 che mette al centro la figura della tigre del Turan, estinta durante il periodo coloniale sovietico e simbolo di memorie perdute, sogni infranti e voglia di ribellione.

Certo una cosa è chiara: quelli di Ismailova non sono esercizi di stile per amor dell’estetica. Nulla è fine a sé stesso, tanto meno il richiamo al passato che non è nostalgia ma desiderio di ritrovare le radici, proprie e del popolo a cui l’artista appartiene. La cosmogonia, secondo la cultura tradizionale uzbeka, si mescola ai disordini nazionali post-sovietici nel film Chillahona (2022), mentre l’installazione Two Horizons (2017) mette a confronto la figura leggendaria di Qorqut, sciamano che avrebbe raggiunto l’immortalità con la levitazione, e i lanci in orbita dalla stazione di Bajkonur – oggi in Kazakhstan – da cui peraltro partì Jurij Gagarin all’inizio degli anni Sessanta.

Quanto a profondità di messaggio e potenza visiva, le sculture in mostra non sono da meno. Amanat, del 2024, altro non è che il seme d’oro della saga centroasiatica di Arslanbob, e The Haunted, un pannello di seta e velluto sempre di quest’anno, riprende il titolo della pellicola del 2017 e ci fa capire come la ricerca di Ismailova sia un intreccio organico, e senza compromessi.

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Saodat Ismailova, As We Fade, 2024. Veduta dell’installazione in Pirelli HangarBicocca, Milano, 2024. Commissionato e prodotto da Pirelli HangarBicocca. Courtesy l’artista © Saodat Ismailova e Pirelli HangarBicocca, Milano. Foto Agostino Osio

Nota di merito per due videoinstallazioni prodotte nel 2024 e presentate in occasione della mostra. La prima è la bellissima As We Fade, con l’artista che raccoglie vedute d’archivio del Sulaiman-Too di un centinaio di anni fa e le proietta su ventiquattro pannelli di seta che fluttuano, impalpabili e quasi trasparenti. La seconda, Talosh, è ancora più intensa, una scultura in crine di cavallo lunga undici metri e sospesa, su cui vengono proiettate le parole del poeta contemporaneo uzbeko Jontemir Jondor, urgenti e vere; è una composizione dolceamara, con versi che comunicano tristezza e aspirazioni di libertà.

Scrive Jondor: “In silenzio, il tempo passerà rapidamente. / Da una parte, un serpente si vestirà, dall’altra, un albero si spoglierà”, e ancora, “Sepolto nei resti delle memorie, sepolto in ciò che resta degli anni, inghiottendo macerie dei viaggi, ingoiando assetatamente il fascino delle strade, / scorro via, oh Creatore, scorro via.”

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Saodat Ismailova, 18,000 Worlds, 2023. Veduta dell’installazione in Pirelli HangarBicocca, Milano, 2024. Realizzato con il supporto di Eye Art & Film Prize, 2022. Courtesy l’artista © Saodat Ismailova e Pirelli HangarBicocca, Milano. Foto Agostino Osio

YOU ARE HERE. Central Asia alla Fondazione Elpis

Saodat Ismailova è anche tra le protagoniste e i protagonisti di YOU ARE HERE. Central Asia, dal 24 ottobre 2024 al 13 aprile 2025 alla Fondazione Elpis: Dilda Ramazan, che ha curato la mostra insieme ad Aida Sulova, insieme all’artista fa parte di DAVRA, un collettivo dedicato alle culture visuali dell’Asia Centrale.

Proprio sulla regione si concentra YOU ARE HERE. La volontà delle curatrici è, come da titolo, mostrare la specificità dello spazio occupato dai famosi “Stan” ex-sovietici, ma attenzione: chi si aspetta un’esposizione antropologica o folkloristica ha sbagliato indirizzo. “Tu sei qui”, infatti, indica il punto geografico da cui i ventisette artisti e artiste hanno cominciato a tracciare i propri percorsi, sia fisici che mentali, fino ad approdare a nuovi porti, sperimentazioni, opere.

Se c’è una lingua franca, non è quella dei colonizzatori ma dell’arte contemporanea, dei linguaggi visivi e della scoperta.

In un momento storico come questo, dove la definizione stessa di “Oriente” e le sue narrazioni hanno cominciato a essere messe in discussione nel dibattito pubblico e accademico, è più importante che mai dare la possibilità di esprimersi a chi viene da questo spazio: un obiettivo portato avanti da Sulova e Ramazan, che sono originarie rispettivamente del Kirghizistan e del Kazakhstan e sono riuscite a realizzare una mostra che non è una carta geografica, ma una mappa di costellazioni ed energie creative.

Se anche è possibile vedere – prendendo in prestito il titolo di un’altra collettiva memorabile al Museo Metelkova di Lubiana – un Eastern Horizon in comune per le artiste e gli artisti di YOU ARE HERE. Central Asia, questo orizzonte non è un punto d’arrivo, ma un nucleo di affinità storiche e culturali da rilanciare attraverso la pittura e la scultura, le opere audiovisive e le autodeterminazioni identitarie, mai una sola e sempre in divenire.

arte contemporanea dell’Asia Centrale
Anna Ivanova, New Patterns for Suzani: Tree Stumps, 2024, arazzo, 97 x 130 cm, courtesy l’artista

Dal piano terra, il percorso della mostra si sviluppa fino al piano superiore e a quello inferiore della Fondazione Elpis: cattura lo sguardo l’installazione di Aika Akhmetova, che vivono e lavorano tra Almaty e New York e che espongono Rage Fantasies, del 2023.

Siamo davanti a un pod’ezd, lo spazio d’ingresso tipico dei condomini dell’Urss che aveva una fascia superiore dipinta di colore bianco e una inferiore nei toni del blu, perché più semplice da pulire; una palette molto diffusa in Unione Sovietica per la grande disponibilità di questi pigmenti. Completano l’opera oggetti di scarto, piante e manifesti che si riversano fuori dalla cassetta delle lettere, un modo di Akhmetova per personalizzare e addomesticare uno spazio altrimenti seriale e inespressivo.

È il benvenuto perfetto per chi arriva alla Fondazione e vuole saperne di più ed entrare a contatto con lo spazio centrasiatico, non sfogliando un’enciclopedia ma guardando alle arti.

A poca distanza da Rage Fantasies, colpisce un lavoro del collettivo femminile Qizlar: il grande disco di In the Circle of My Heart (2024) riprende la forma di talismani tradizionali come il ko’zmunchoq e il tumor, con tante piccole finestrelle che si possono aprire o chiudere a piacimento, rivelando videomessaggi Telegram collegati da catene e lucchetti, un tributo ai legami a metà tra fisicità e realtà virtuale.

Call-дау, or emotional support hotline di Medina Bazargali, artista kazaka giovanissima, si serve di Telegram e Whatsapp per offrire un supporto emotivo a chi si è dovuto allontanare giocoforza dalla propria terra. Da un menù si può selezionare una lingua tra inglese e kirghiso, tagiko uiguro, uzbeko e italiano per ascoltare un messaggio vocale: “Sarai sempre il benvenuto nella tua patria”, “Siamo orgogliosi che persone come te condividano la conoscenza della nostra regione” donano speranza a chi fa parte della diaspora nel resto del mondo.

All’interno di YOU ARE HERE. Central Asia non mancano serie fotografiche, come Jeti Qaraqshy (2023) di Aïda Adilbek, sugli oggetti del quotidiano della nonna, e lavori che riprendono tecniche tradizionali delle culture centrasiatiche: se Kasiet Jolchu utilizza lana vergine e tinture naturali per i pattern “distorti” del suo paravento kirghiso, in Down the Soviet – Up the Manas (2024) Munara Abdukakharova crea toshok molto particolari.

Questo materasso da pavimento è da sempre utilizzato in Kirghizistan, e per molti migranti in Russia è l’unico spazio occupabile all’interno di case sovraffollate di persone. Sovetskaja Ulica e Jibek Jolu, Prospekt Manas e i nomi di altre strade di Bishkek vengono dati da Abdukakharova ai materassi dell’installazione per far riflettere sugli orientamenti e i cambiamenti di direzione del suo paese, dal punto di vista della situazione geopolitica in corso.

Un pregio della mostra è la ricchezza delle opere che presenta, così come il gran numero di artiste e artisti coinvolti: ma YOU ARE HERE non pretende di essere esaustiva nel raccontare l’arte contemporanea in Kazakhstan, Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan. Al contrario, con la scelta di esporre generazioni nate negli anni Sessanta e Settanta insieme a quelle cresciute negli anni Novanta e alla Gen Z, le curatrici ne riconoscono la complessità e avvicinano il pubblico a una galassia di costellazioni

Come fil rouge tra un cosmo e l’altro, Horizontal Line (2022) di Gulnur Mukazhanova si dipana dal piano terra fino alla tromba delle scale di Fondazione Elpis, una passamaneria di tessuti sapientemente cuciti e stratificati come solo la memoria sa essere.

All’esterno di Elpis, saluta i visitatori Landmark by the Sun (2019-2014) di Rashid Nurekeyev, artista di spicco nella scena kazaka. La sua stazione geodetica, più tribale che mai, marca questo angolo di Asia Centrale nel cuore di Milano.

arte contemporanea dell’Asia Centrale
YOU ARE HERE. Central Asia, installation view, piano terra, Fondazione Elpis, Milano © Fabrizio Vatieri Studio

Saodat Ismailova. A Seed Under Our Tongue
a cura di Roberta Tenconi
Pirelli HangarBicocca, Milano
12 settembre 2024 – 12 gennaio 2025
YOU ARE HERE. Central Asia
a cura di Dilda Ramazan e Aida Sulova
Fondazione Elpis, Milano
24 ottobre 2024 – 13 aprile 2025

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Francesco Damiano Desantis
Francesco Damiano Desantis

È un ricercatore e divulgatore indipendente; si occupa di decolonialità e culture visuali nello spazio del Nuovo Est, in particolare post-ottomano ed eurasiatico. Oltre che per Meridiano 13, scrive regolarmente su Meridiano 13, Est/ranei - Letteratura, cinema e culture dell'Europa orientale e Antinomie - Rivista di scritture e immagini. È anche contributing editor dell'edizione digitale di Harper's Bazaar Italia e, dall'aprile 2024, fa parte dello staff di Lossi 36 - Weekly Highlights from Central Europe to Central Asia. Oltre a tenere seminari e insegnare nelle scuole superiori, è stato consulente di ricerca e catalogazione per l'Archivio Ico Parisi, l'Archivio Mario Radice e l'Archivio Heidi Bedenknecht-De Felice.