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Con la collaborazione della redazione georgiana Chai Khana Media, Meridiano 13 ha avuto l’opportunità di confrontarsi con tre esperti in fatto di Azerbaigian, di confini e conflitti che da troppo tempo infestano l’intero paese. Il professore Rahman Badalov e i ricercatori Togrul Abbasov e Yusif Hamzayev, che da anni si occupano di ricerca e di sociologia declinata a trecentosessanta gradi, hanno risposto alle nostre domande per fare un po’ di chiarezza sulla questione identitaria azera, sulla propaganda multiculturale e sul tema della tolleranza in Azerbaigian.
Prima di riportare le domande poste e le interviste, è doveroso far luce sui motivi che ci hanno spinto a indagare in modo più approfondito la questione azera. Accanto, o forse per meglio dire in opposizione, ai conflitti religiosi ed etnici sul territorio, da qualche anno a questa parte il governo azero ha attivato una politica di “tolleranza multiculturale”. Il concetto è stato ripreso dal Baku Research Institute, per la precisione nel saggio di Benoit Filou, professore di filosofia e storia alla French School della capitale. Multiculturalism in Azerbaijan ruota attorno al concetto di “multiculturalismo” in Azerbaigian, una mossa politica volta a far apparire il paese più moderno, occidentalizzato e tollerante, soprattutto in vista del conflitto con l’Armenia, con il popolo curdo e con il Nagorno-Karabakh.
Benoit Filou declina in tutte le sue sfumature il pensiero multiculturale e conclude che, escludendo il conflitto con l’Armenia, l’Azerbaigian sta cercando di attuare il concetto del multiculturalismo in modo positivo, cosa che può costituire un buon esempio per i governi futuri.
Abbiamo intervistato i dottori Abbasov, Badalov e Hamzayev su cosa ne pensano di queste nuove tecniche politiche e abbiamo chiesto loro di parlarci del loro pensiero riguardo alla situazione sociale e geopolitica del paese. Le domande ruotano attorno al concetto di tolleranza etnica e multiculturalismo politico in Azerbaigian, se ritengono che abbia avuto successo o se invece una mente multiculturale in un senso linguistico e socio-culturale sia più o meno diffusa all’interno della popolazione azera. Abbiamo anche chiesto la loro opinione circa il saggio di Benoit Filou e il loro pensiero riguardo ai conflitti che imperversano nel paese.
Parola agli esperti: Togrul Abbasov
Secondo Togrul Abbasov, «il concetto di identità nazionale è strettamente legato alla modernità e questo concetto cambia molto a seconda che si consideri il nord o il sud dell’Azerbaigian. A cambiare è il modo di guardare alla modernità, specialmente quando si guarda al nord del paese, e questo probabilmente è dovuto ai suoi confini con l’Impero russo prima e con l’Urss dopo, e il metodo sovietico di guardare alla modernità era diverso da quello di altri governi. Per questo motivo, oltre a un Azerbaigian “russo”, ne esistono anche uno “iraniano” e uno “turco”. L’Azerbaigian è sì accomunato dalla stessa lingua, ma l’unità linguistica non rispecchia il concetto di identità nazionale, che è un concetto costituito di vari fattori. Si potrebbe dire che esistono più differenze che similitudini, ma anche il concetto stesso di identità nazionale non è statico e non sappiamo cosa possa succedere». Abbasov aggiunge che «le connessioni e le somiglianze linguistiche vengono utilizzate dal governo azero per dare fondamento al concetto di identità nazionale, che si ritrova quindi a essere più un costrutto sociale artificiale che frutto di un processo naturale».
«L’articolo di Benoit Filou è corretto», commenta Abbasov, anche se non è d’accordo su alcuni punti. «Innanzitutto, la parte relativa all’andamento economico suggerisce che il turismo possa effettivamente dare guadagno al paese e andare anche a giustificare il concetto di “multiculturalismo”. Questo è vero, ma penso che ci siano molti problemi che il governo dovrebbe risolvere prima di occuparsi del turismo in Azerbaigian. Inoltre, procurarsi un visto per poter visitare l’Azerbaigian è molto difficile».
Tolleranza ipocrita
«Le leggi e le politiche economiche sono antidemocratiche. L’Azerbaigian ha tentato di creare un’identità nazionale multiculturale, la cui definizione non è precisa, anzi: esiste persino un dibattito fra accademici riguardanti la definizione di questo concetto e spesso si tratta di accademici che supportano il governo. Il multiculturalismo in sé crea dei problemi ed è anche un concetto difficile e spinoso da definire, non è preciso. Il governo si serve di questo concetto per giustificare alcune delle sue mosse e delle sue decisioni, ma è palesemente un costrutto. Nell’ergersi a Paese multiculturale, l’Azerbaigian dovrebbe presentare un alto livello di tolleranza nei confronti delle diversità, ma la verità è ben diversa: le religioni differenti dall’Islam non vengono ben tollerate e i movimenti LGBT+ sono condannati. Regnano un finto liberalismo e una grande ipocrisia. Basti pensare che Azerbaigian, Russia, Armenia e Turchia, sebbene si scambino di anno in anno le postazioni, sono fra i quattro paesi meno tolleranti nei confronti dei movimenti LGBTQ+ (ndr: qui un articolo per approfondire). Nemmeno le minoranze etniche vengono tollerate, anzi, al contrario vengono perseguitati, come i talisci e la guerra nel Nagorno-Karabakh. Molti di loro sono oltretutto attivisti e il governo soffoca le loro proteste nei confronti della tolleranza culturale e di problemi come l’educazione. Non c’è davvero libertà di espressione per chi è diverso dal modello ideale dello stato azero».
Il multiculturalismo in Azerbaigian
Ciononostante, Abbasov non ritiene che il “multiculturalismo” abbia fallito in sé: «ammettere che abbia fallito significherebbe presupporre che il multiculturalismo abbia in principio un obiettivo da perseguire. Le diverse culture coesistono e convivono all’interno dello stesso stato, nonostante le loro differenze. Il problema nel gestirle è più del governo stesso. La volontà di creare una identità nazionale basata sul multiculturalismo non è solo un tratto azero, ma anche georgiano e armeno. La vera domanda da porsi è piuttosto perché il governo abbia creato e crei un costrutto artificiale in cui non crede davvero». Abbasov suggerisce due ragioni. La prima è da rintracciare nei conflitti con l’Armenia e con le minoranze etniche che abitano il territorio azero: sostenere che “tutti possano vivere insieme e in pace, nonostante le loro differenze culturali” è una strategia che minimizza il conflitto e lo rende un problema minoritario agli occhi della popolazione azera in primis e mondiale in seconda istanza. La seconda ragione è legata a un preconcetto e a una sensazione di inferiorità provata dal governo azero da sempre: impostare la propria dialettica sul multiculturalismo e attuare una politica economica di tipo liberale permettono all’Azerbaigian di mostrarsi più simile all’Occidente e di non sentirsi una popolazione barbarica. Un’identità nazionale multiculturale è un modo per mostrarsi parte del mondo e per dare un’immagine diversa, almeno in apparenza, ai conflitti in Armenia per il Nagorno-Karabakh con l’obiettivo di vincerlo.
Parola agli esperti: Rahman Badalov
Prima di cominciare, Rahman Badalov anticipa e specifica che il suo parere è diametralmente opposto da quello ufficiale.
Badalov sostiene che «in Azerbaigian, il multiculturalismo non c’è e non c’è mai stato. Al contrario, è un progetto della propaganda ufficiale con lo scopo di mettere in mostra la nazione. Quando grosse quantità di denaro cominciano a circolare in una terra povera, sorgono sempre le tentazioni di dar vita a progetti simili».
Tuttavia, «sarebbe comunque troppo semplicistico cercare dei colpevoli nella mancata realizzazione di questo “progetto multiculturale”. Oltretutto, sarebbe anche scorretto concepire un popolo come diviso fra chi appartiene e chi invece non appartiene a una coscienza multiculturale. Basti pensare ai problemi legati all’emigrazione nei paesi europei. L’Azerbaigian sta comunque vivendo un periodo post-coloniale del suo sviluppo, e non è in grado di fuggire all’idea di “popoli fratelli” e “popoli nemici”. In questo senso, né il multiculturalismo, né la tolleranza sono esplicativi, quando il discorso riguarda l’Azerbaigian contemporaneo. È necessario cercare altre vie di uscita e un’altra lingua per percorrerle. Nel mio recente libro È facile essere azeri? Dialoghi con me stesso ne ho parlato molto. In poche parole i Padri Fondatori (a partire dalla seconda metà del XIX secolo) hanno cercato la risposta a questa domanda nella struttura di tre ingredienti: il “turchismo”, l’islam e l’europeismo (ovvero il modernismo). Fintanto che questi tre ingredienti si amalgameranno male fra loro, nessuno dei tre potrà essere lasciato da parte. D’altro canto, ci sono anche i lesghi, i talisci e i curdi, vale a dire dei “non turchi”, ma degli azeri che in una qualche misura e in un certo senso parlano azero. E potendo esprimere un’opinione di parte, loro sono più azeri di quanto non siano russi, ebrei e quant’altro. E ci sono anche gli armeni, gli ebrei di montagna, che vivono in parte anche fra di noi. Forse prima o poi cominceremo a concepire gli azeri come un popolo civico e non etnico, come anche sosteneva ad esempio Jürgen Habermas».
A riguardo del saggio pubblicato dal Baku Research Institute, Badalov dice: «non saprei. Il Baku Research Institute è un organo ufficiale ed esprime quindi un punto di vista altrettanto ufficiale. Tali punti di vista tendono a essere sempre “dimostrativi”».
Una violenza ingiustificata
Circa la guerra in Armenia, però, si sbilancia e dice di essere “un convinto pacificatore e pacifista. Ho scritto e detto parecchio a riguardo. A suo tempo, raramente si è posto contro la mitizzazione di Safarov (ndr: qui un articolo per approfondire). Questa linea di pensiero diventerà il libro che sto scrivendo al momento, Diaro pubblico -2. Per dirla brevemente, il mio punto di vista è asimmetrico. La parte armena meritava la sconfitta (non è scesa a patti con la realtà e nemmeno a compromessi), ma la nostra parte non meritava la vittoria (manovre dietro le quinte, ecc.). Nella pratica, il processo di pacificazione fra entrambe le parti non è ancora iniziato. Le parole “storte” nei confronti di entrambe le parti sono dovute al fatto che abbiano deciso di massacrarsi per circa un secolo, se contiamo dal massacro del 1905. Ho sentito il dovere di scriverne. E così sarà, fino a che gli intellettuali dalla testa fredda non inizieranno a raddrizzare queste parole storte e la società non sarà in grado di ascoltarle».
Lingua e libertà politica
Per quanto riguarda la lingua, invece, risponde: «non direi che la lingua azera sia oggi una specie di miscuglio. Testimonianza di questo sono testi di poesia e prosa in questa lingua. I problemi della lingua azera però esistono, sono gravi e non si riducono a una questione di prestiti. Secondo un mio collega, negli ultimi decenni la nostra lingua è diventata ancora più impoverita. Mi permetterei di condividere una diagnosi del genere. Prendiamo la famosa divisione di Saussure tra langue e parole. La parole è mobile, vive in tempo reale, mentre la langue è più conservatrice, si congela nei dizionari e nei libri di riferimento. Ma per lo sviluppo della lingua è necessaria la libertà, compresa la libertà politica, che deve aiutare la lingua ad aprirsi verso altre tradizioni culturali, verso altre lingue con una visione diversa del mondo. Come può immaginare, questi non sono più problemi di langue e parole, sono molto più ampi. E soprattutto, questo vale non solo per l’ultima domanda, ma anche per tutte le precedenti».
Parola agli esperti: Yusif Hamzayev
Yusif Hamzayev, invece, definisce il concetto di multiculturalismo “ultra-politicizzato” e aggiunge che è così in tutti gli stati autoritari. Dal 2016 l’Azerbaigian ha promosso la diversità proprio a partire dai più alti livelli ufficiali, controllando tutti i principali media, inclusi il giornalismo e la tv. Questo è stato l’anno in cui questo termine ha cominciato a essere utilizzato frequentemente anche nella società azera. «Per me», dice, «il multiculturalismo è l’opportunità per un esponente dei talisci (o dei lesghi o degli avari ecc.) di essere eletto presidente. Questo per dimostrare che le lingue delle minoranze nazionali sono sullo stesso livello della lingua azera. Multiculturalismo significa diversità culturale, una varietà di mentalità aperte, una società cosmopolita. La abbiamo nell’Azerbaigian di oggi? No. Lo Stato lo promuove? No».
Storia di un Azerbaigian multiculturale
Hamzayev sostiene comunque «che la maggior parte degli azeri abbia davvero una mente “multiculturale”. Nell’ultimo ventennio, tuttavia, la propaganda nazionale ha fatto quanto più potesse fare per danneggiarla, ridurla o, persino peggio, distruggerla. E il governo di oggi continua a farlo proprio in nome di una cosiddetta “mente multiculturale”». Non saprebbe comunque dire se questo multiculturalismo abbia rafforzato o indebolito la tolleranza nei confronti delle altre culture. Definire l’identità azera non è comunque semplice. Secondo Hamzayev, dovremmo comunque prima capire «che cosa significhi essere azero e a chi ci si rivolge solitamente con il termine “azero”. A differenza della maggioranza che ritiene che essere azeri sia un concetto civico (la cittadinanza) come l’essere americano, israeliano (e non un ebreo) o rossijanin (ovvero russo di passaporto, ma non un russo etnico), io ritengo che “azero” sia più un termine con cui ci si rivolge etnicamente a una popolazione turcofona della Transcaucasia (ovvero Azerbaigian, Georgia e Dagestan) e dell’Iran azero. Questo termine venne proposto dai nostri intellettuali durante la seconda metà del XIX secolo e venne utilizzato ufficialmente nella Costituzione dell’Unione Sovietica del 1936 e nella Costituzione della Repubblica Socialista Sovietica Azera del 1937. Precedentemente ci chiamavamo turchi, musulmani o utilizzavamo i nomi dei gruppi etnici (shahsevan, terekama, ayrum etc.).
Ad oggi, non esiste nemmeno un singolo documento che indichi che cosa il popolo o la nazione azera siano. La maggioranza del popolo azero parla turco e insieme a loro, in Azerbaigian, ci sono talisci, lesghi, russi, avari, ingiloi, tati, curdi. Tuttavia, un taliscio o un avaro assimilato possono considerarsi azeri dal punto di vista della cittadinanza, non dal punto di vista etnico. L’identità azera ruota attorno a molta confusione, è un concetto secolare costituito di diverse nazionalità e diverse denominazioni dell’Islam formatosi a cavallo fra il XIX e il XX secolo e non istituzionalizzato fino al crollo dell’Urss nel 1991 (mi permetto una nota: si deve intendere una combinazione di diverse denominazioni dell’Islam, ma non di diverse religioni. I russi dell’Azerbaijan o dell’ex-Armenia dell’Azerbaigian sovietico non si sono mai considerati parte del popolo azero, né allora, né adesso)».
Yusif Hamzayev ritiene che, sebbene contenga qualche comune errore, il saggio pubblicato dal Baku Research Institute tragga delle conclusioni corrette con cui si dice essere d’accordo.
Obiettivo: convivenza pacifica
Circa la guerra in Armenia, Hamzayev si dichiara «un pacifista, e per questo motivo contrario alla guerra in ogni sua forma. Né la prima, né la seconda guerra ritengo siano state colpa soltanto di una delle parti. Siamo stati marginalizzati. Siamo una minoranza che non ha supportato o contrastato apertamente la vittoria di Aliyev. Siamo stati e siamo tuttora considerati dei traditori. Questa guerra ha rafforzato l’autoritarismo in Azerbaigian e distrutto ogni possibile coesistenza pacifica fra armeni e azeri».
Per concludere, Hamzayev sottolinea che è sbagliato considerare la lingua azera come un mero miscuglio di prestiti dal turco, dal persiano e dal russo. Quando al linguista russo di origini ebraiche Dietmar Rosenthal chiesero di parlare della “ricchezza della lingua russa”, lui rispose:
“Le dirò questa frase:
я – студент филологического факультета петербуржского университета (Sono uno studente della facoltà di filologia dell’Università di San Pietroburgo)
Di tutta questa frase, solo il pronome personale del soggetto (я, ja) è di origine russa. Considerare una lingua un miscuglio di prestiti è riduttivo, specialmente se la lingua in questione si è formata a partire dal XIV-XV secolo. La lingua azera appartiene al ramo sud-occidentale delle lingue turche, per la precisione a quello Oghuz.
Salvo qualche leggera divergenza, i pareri degli esperti confluiscono tutti verso un’unica conclusione: al momento, il concetto di multiculturalismo in Azerbaigian è un mero strumento di propaganda politica, che non ha interesse nel salvaguardare la pace e nel tutelare le minoranze. E ci auspichiamo che nel futuro le sorti dello stato azero e della sua società possano cambiare.
Foto di copertina ad opera dell’autrice dell’articolo.
Laureata in Lingue e letterature straniere a Milano con le tesi “Immagini gastronomiche nelle Anime Morte di N. V. Gogol’” e “Le dimensioni dell’individualismo e del collettivismo nella quotidianità in Russia e in Italia”, Laura Cogo è attualmente docente di lingua e letteratura. Collabora con Russia in Translation e Ilnevosomostro.