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Dal 6 marzo è in libreria il nuovo lavoro di Gianni Galleri – cofondatore di Meridiano 13, scrittore e curatore della pagina Curva Est – intitolato Balkan Football Club, viaggio rocambolesco alla ricerca di utopie e rigori sbagliati, che nasce da dieci anni di viaggi tra Bulgaria, Romania, Albania ed ex Jugoslavia sulle tracce di vicende e di episodi poco conosciuti che hanno fatto la storia – non solo calcistica – di queste terre. Dal Marakana di Belgrado alle utopie di cemento degli spomenik jugoslavi, dal Maksimir di Zagabria alle sponde del lago di Ocrida, senza generalizzazioni né stereotipi, calandosi fra la gente, entrando nei bar, lungo le strade, sui gradoni di tanti stadi in giro per i Balcani.
Dall’Adriatico al Mar Nero, lungo il Danubio e la Drina, tra vecchi amici e burberi tifosi, birre e cori, ćevapi e rakija, per provare a decifrare i Balcani attraverso la lente d’ingrandimento del calcio, perché il calcio è aggregazione, identità, appartenenza. A suo modo ci racconta tantissimo di queste terre. Ci parla ad esempio del tempo che è passato, la storia che è cambiata. Lo fa con grande naturalezza, perché tutti parlano di calcio con uno sconosciuto, ma più difficilmente parlano di politica o di altri aspetti più personali della propria vita.
In territori così complessi e sfaccettati il calcio può diventare uno specchio della società ed è uno degli specchi più fedeli, perché sugli spalti di uno stadio cadono molte maschere e si è spesso più sinceri e trasparenti. Le tribune replicano esattamente le dinamiche della società fuori dagli stadi, non sono mondi separati, ma prossimi, con continui scambi: quello che succede fuori si ripete dentro e viceversa. A volte il calcio è solo un’anticipazione di quello che si troverà mesi o anni dopo nelle strade.
«Sul calcio in Jugoslavia si è scritto molto», – dice Gianni Galleri – ma «Romania, Bulgaria e Albania non hanno una letteratura a riguardo e questo è un elemento di novità del libro. Nelle pagine di Balkan Football Club si parla di realtà molto conosciute (le capitali, le città più importanti, le squadre più famose), ma anche di piccole storie meno note, perché alla fine l’epica del calcio non si ritrova solo in chi vince e fa la storia, ma anche nelle squadre più piccole e scalcagnate. Anche queste sono importanti per qualcuno, sono il centro della vita di una comunità».
Il calcio nei Balcani come nell’ex DDR ha assunto spesso connotazioni politiche ed è stato, come spiega l’autore, «un ottimo strumento per conseguire fini politici e gli esempi sono molti: l’ascesa del nazionalismo nelle curve jugoslave, il ruolo degli ultras nelle milizie delle guerre Balcaniche, l’incendio dello stadio dello Željezničar a Sarajevo. Ma non ci sono solo esempi negativi, ci sono anche storie più edificanti, come alcune realtà che si battono per superare le divisioni etniche, ad esempio la curva dello Sloboda Tuzla o del Velež Mostar».
Balkan Football Club è prima di tutto un libro di viaggio, che oltre al calcio ci racconta «moltissime altre cose perché, quando viaggi è impossibile non perderti in una moltitudine di stimoli. Io sono una persona molto curiosa, quindi mi piace approfondire anche aspetti apparentemente marginali.
Nel libro ci sono gli spomenik, questi incredibili monumenti dall’estetica così particolare ai nostri occhi. La prima volta che ne vidi uno rimasi a bocca aperta per dimensione e forza espressiva. Ci sono anche tanti ottimi piatti, provati in qualche osteria sperduta, sempre accompagnati da una birra ghiacciata e da un bel sorso di rakija, la tradizionale grappa locale. Mi piace tanto mangiare e bere, e penso che la tavola racconti tanto di un luogo e quindi sia parte integrante di un viaggio».
Per l’occasione ripubblichiamo il testo uscito nell’ultimo numero della newsletter di Bottega Errante Edizioni, in cui l’autore Gianni Galleri ci racconta il suo primo viaggio nei Balcani.
Vado di là. Che cosa troverò?
Ero seduto sul Molo Audace di Trieste, i piedi penzolavano sull’acqua scura e un po’ sporca. Riflettevo, era stata una giornata caldissima di un luglio infuocato. Il sole stava finalmente scendendo e dava un po’ di tregua alla città. “Domani passo il confine, vado di là. Cosa troverò?”. Era la domanda curiosa e ingenua che mi facevo quel giorno. Era la prima volta per me. Non sarebbe stata l’ultima.
Dieci anni dopo aprivo una lattina di birra nel cortile di una casa nella campagna istriana. Il cielo si stava scurendo e il crepuscolo già lasciava campo al buio. Le braccia e le gambe intorpidite dai chilometri trovavano finalmente un po’ di relax, mentre in piedi guardavo l’orizzonte cambiare colore. I due anziani proprietari del B&B ci avevano accolti come l’anno precedente, con una gentilezza e una distanza figlie di un’altra epoca. Quella per noi era l’ultima notte nei Balcani prima del ritorno in Italia. Erano passati dieci anni dalla prima volta.
Fra questi due episodi ci sono un’infinità di storie. Per un decennio i Balcani sono diventati uno dei punti fermi della mia vita. Ogni occasione, ogni week end lungo era la scusa per prendere e partire. Eppure non sarebbe giusto limitare tutto soltanto ai viaggi, perché questo tempo è stato anche l’occasione per leggere un’infinità di libri, per conoscere persone, per scambiare opinioni, per provare a capire, per farsi sempre nuove domande quando mi sembrava di aver risposto a quelle vecchie.
Riguardandomi indietro ho una serie di immagini che resteranno sempre con me. Un abbraccio sincero e sudato sotto il sole cocente di Aidussina/Ajdovščina. “Ma perché volevi fare il biglietto?”, mi dice il mio amico incredulo poco prima della partita. Le foglie cadute di un autunno precoce, gialle come la luce che si riflette sul cemento del memoriale di Bubanj, a Niš, la prima volta che mi ritrovai di fronte a uno spomenik e rimasi senza parole.
L’odore delle torce accese in una freddissima domenica mattina nel Banato romeno, mentre tutti accanto a me cantano cori che io non capisco e accompagno solo con i movimenti. Il vento, la pioggia e la nebbia che improvvise ti circondano sulla vetta di un monte bulgaro e tu che non sei preparato, perché a valle si moriva di caldo e fai fatica anche a ritrovare la macchina. Ti fermi e pensi: questa devo raccontarla.
Nelle pagine di Balkan Football Club c’è tutto questo, c’è molto altro, ci sono anche io, ci sono quelle persone, quelle terre, quella luce, quell’amore. Spero di esserne stato all’altezza.