Come potrai immaginare, questo progetto ha dei costi, quindi puoi sostenerci economicamente con un bonifico alle coordinate che trovi qui di seguito. Ti garantiamo che i tuoi soldi verranno spesi solo per la crescita del progetto, per i costi tecnici e per la realizzazione di approfondimenti sempre più interessanti:
IBAN IT73P0548412500CC0561000940
Banca Civibank
Intestato a Meridiano 13
Puoi anche destinare il tuo 5x1000 a Meridiano 13 APS, inserendo il nostro codice fiscale nella tua dichiarazione dei redditi: 91102180931.
Ripercorrere la storia di trg bana Josipa Jelačića – piazza ban Josip Jelačić in croato – e le vicissitudini della statua equestre più famosa di Zagabria non significa solo compiere una narrazione delle gesta del più noto bano di Croazia, ma anche un’analisi dell’interpretazione storica e del significato che a posteriori si fecero della sua figura.
Se dalla città alta di Zagabria, dalla chiesa di San Marco per intenderci, si scende verso via Pavel Radić attraversando Porta Pietra con la sua piccola cappella dedicata alla Vergine Maria, in dieci minuti esatti si raggiunge una delle piazze più iconiche di Zagabria: piazza ban Josip Jelačić, dove è ormai tradizione darsi appuntamento all’ombra della coda della statua equestre del più famoso bano di Croazia.
La piazza, tuttavia, non è sempre stata così come la conosciamo oggi e ha subito tanti cambiamenti toponomastici, estetici e ridefinizioni quanti rivolgimenti storici si sono susseguiti nel territorio oggi appartenente alla Repubblica di Croazia. Ecco un breve riassunto dei principali.
All’origine: piazza Harmica
Verso la metà del XVII secolo la piazza che attualmente riporta il nome di Josip Jelačić inizia a svilupparsi in veste di mercato: sorgono i primi edifici in muratura (il più antico dei quali sorge al civico numero 1 della piazza odierna) e la città bassa, in seguito all’affievolirsi del pericolo di invasioni ottomane, inizia ad espandersi oltre alle mura cittadine. È con questa vocazione economica che si sviluppa inizialmente la piazza, che non a caso trarrà il suo primo appellativo da harmica, dal nome ungherese della tassa che fu imposta alla cittadinanza per potervi accedere e vendere così la propria mercanzia.
Di pari passo con l’espansione cittadina crebbe anche il ruolo della piazza come punto d’incontro, ponendosi come raccordo naturale e luogo di passaggio tra la città bassa e la città alta. Curiosamente harmica non è scomparsa dalla toponomastica del centro storico, indicando anche ai giorni nostri il breve attraversamento coperto che conduce da piazza ban Josip Jelačić al mercato alimentare di Dolac.
Ban Josip Jelačić
Si giunge però al fatidico XIX secolo, con tutto il suo portato rivoluzionario. Dalla fine delle province illiriche di napoleonica memoria nel 1813 il territorio oggi parte della Repubblica di Croazia rimarrà entro i confini della stessa entità statuale fino alla fine della Prima guerra mondiale – l’Impero asburgico, appunto.
Al suo interno, tuttavia, i croati si trovarono frammentati in unità amministrative appartenenti a giurisdizioni diverse: la Slavonia e la Croazia ricaddero nel lato ungherese della doppia monarchia austro-ungarica, mentre l’Istria e la Dalmazia in quello austriaco. Le prime due, a differenza dei territori sotto il controllo di Vienna, potevano vantare un proprio parlamento (Sabor), un bano (governatore, viceré) e un ristretto numero di militi (domobrani) (The History of Croatia between Periodisation and Problematisation, FF press, 2016).
È in questo contesto che prende piede ciò che passerà alla storia come Movimento illirico, la cosiddetta “rinascita nazionale croata”. Siamo negli anni Trenta dell’Ottocento e Ljudevit Gaj a Zagabria diviene il capofila di un gruppo di intellettuali che chiedono maggiore autonomia rispetto a Vienna e Budapest e soprattutto l’unione di tutti gli slavi del sud. Nascono le prime opere in serbo-croato volte a contrastare la nota “ungarizzazione” imposta, e nel 1835 Antun Mihinović scrive Horvatska domovina, futuro inno nazionale croato.
Nel 1848 l’Europa è però sconvolta da una nuova serie di fermenti rivoluzionari volti a scrollarsi definitivamente di dosso l’Ancien Régime. L’Ungheria è il crogiolo di uno di questi. Dissidi con gli Asburgo e gli atteggiamenti autoritari, reazionari e liberticidi dell’imperatore Ferdinando I escalarono la situazione fino al punto da portare i rivoltosi a chiedere la completa indipendenza dell’Ungheria dalla dinastia asburgica.
Vienna, in grande difficoltà a causa delle contemporanee ribellioni di altre minoranze nazionali entro i vasti confini del suo impero – ivi compresa l’Italia – invocherà la Santa alleanza e l’intervento russo che, forte di 280mila effettivi, porrà fine alla rivoluzione ungherese.
In questo frangente, la corona austriaca trovò un inaspettato alleato proprio nel nostro bano Josip Jelačić. Machiavellicamente egli ribadì la sua fedeltà all’imperatore, sperando di ottenere come ricompensa per la sua lealtà il riconoscimento della Croazia come entità autonoma rispetto all’Ungheria, pur se all’interno dell’impero asburgico. Con questo spirito, l’11 settembre del 1848 attraversò il fiume Drava e avanzò velocemente verso Pest, subendo infine una sconfitta da parte dei rivoltosi ungheresi guidati da János Móga nella battaglia di Pákozd.
Jelačić, attendendo truppe di rincalzo, firmò dunque un breve armistizio. Nel frattempo però la situazione a Vienna precipitò: agli inizi di ottobre esplose un’insurrezione contro l’invio di soldati per sedare la rivoluzione ungherese che sfociò nel linciaggio del ministro della guerra Baillet von Latour.
L’imperatore Ferdinando I abbandonò la capitale e furono richiesti i servigi di Josip Jelačić proprio nel cuore dell’impero: il 26 ottobre truppe austriache e croate posero i quartieri popolari di Vienna sotto assedio, mentre János Móga muoveva a sua volta verso la capitale austriaca rispondendo alla disperata richiesta d’aiuto del comitato rivoluzionario viennese. Arriverà troppo tardi: la ribellione sarà soppressa nel sangue e gli ungheresi saranno respinti indietro verso Pest, incalzati dalle truppe di Jelačić che inanelleranno una vittoria dopo l’altra fino allo spegnimento di ogni focolaio di ribellione.
Nonostante la lealtà dimostrata in momenti di assoluta difficoltà per l’imperatore d’Austria, ban Jelačić sarà ricompensato unicamente con riconoscimenti individuali, ma non con la tanto agognata indipendenza del popolo croato. Al contrario, beffardamente a Zagabria sarà riservato lo stesso trattamento riservato all’infedele Ungheria. Verrà quindi posta sotto il dominio diretto degli Asburgo fino al Compromesso croato-ungherese del 1868, quando tornerà formalmente sotto il controllo della corona ungherese.
Stessa statua, interpretazioni divergenti
Due anni prima del Compromesso farà la sua prima comparsa presso l’omonima piazza (rinominata, non a caso, nel 1848) la statua di ban Josip Jelačić, non senza creare un certo malcontento tra la popolazione magiara. Jelačić – passato a miglior vita nel 1859 – era nel frattempo divenuto in patria un eroe nazionale sia in virtù del suo tentativo, sebbene fallimentare, di unificare le terre croate sotto un unico stato (il cosiddetto Regno trino di Croazia, Slavonia e Dalmazia), sia della sua campagna militare contro gli ungheresi, accusati come abbiamo visto di opprimere la popolazione croata. La statua rispondeva quindi alle esigenze del neonato nazionalismo croato, fomentandone il patriottismo e l’irredentismo soprattutto in chiave anti-ungherese.
Resterà al suo posto fino al 1947, quando una mattina gli zagabresi si svegliarono senza il loro bano a presidiare quella che per tutta la seconda Jugoslavia verrà chiamata trg Republike, piazza della Repubblica.
Le ragioni di questo occultamento sono presto dette. Le nuove autorità, figlie della lotta partigiana contro l’occupatore nazifascista, cresciute nel mito dell’internazionalismo comunista, non potevano certo digerire la presenza di un simbolo nazionalista e reazionario nella piazza centrale della capitale di una delle repubbliche costitutive della Repubblica federativa popolare di Jugoslavia.
Dal punto di vista dell’élite allora al potere, lungi dal costituire un esempio virtuoso tale da meritare visibilità pubblica, ban Josip Jelačić rappresentò il traditore che nell’ora decisiva della rivoluzione europea contro quella prigione dei popoli costituita dall’imperialismo austro-ungarico, decise di difendere gli interessi dell’Ancien Régime, macchiandosi le mani del sangue di giovani rivoluzionari, compiendo il lavoro sporco al servizio dell’imperatore e contribuendo alla restaurazione del potere aristocratico e assolutistico in Europa.
Accanto alla motivazione più squisitamente ideologica, ve ne erano altre di natura politica. L’Ungheria nel 1947 era un paese che si stava via via integrando entro il blocco sovietico, andando a configurarsi come un alleato nel confronto globale contro il blocco capitalista. In quest’ottica era sconveniente mantenere vivo il ricordo di un conflitto con uno stato amico. Inoltre, essendo divenuto parte del bagaglio costitutivo del nazionalismo croato, la figura di Jelačić andava anche a collidere con la nuova politica di fratellanza e unità (bratstvo i jedinstvo) promossa dal Partito comunista jugoslavo, che puntava al contrario a soffocare i nazionalismi locali – considerati come centrifughi e pericolosi per l’unità nazionale – e a creare un nuovo tipo di identità prettamente jugoslava.
Fu così che la statua sparì per 43 anni, custodita da Anton Bauer presso la galleria della gliptoteca dell’Accademia croata delle scienze e delle arti. Con la la dissoluzione della Jugoslavia e la crescente ostilità tra le varie repubbliche, tuttavia, la figura di ban Josip Jelačić venne rivalutata e, con essa, furono gettate le basi per il suo ritorno nello spazio pubblico zagabrese. Ritorno che, ovviamente, fu accompagnato da una nuova – e per ora definitiva – denominazione della piazza.
Ciò che cambia rispetto al 1866 è la disposizione della statua equestre: il bano non punta più come allora la sciabola verso nord-est, in direzione di Budapest e come inquietante monito nei confronti degli ungheresi, ma è ora rivolto pacificamente a sud, più in sintonia con il contesto architettonico circostante.
Questione estetica a parte, cambia il significato riconducibile a ban Josip Jelačić e alla sua statua, divenuti non più simbolo di resistenza nazionale nei confronti dell’Ungheria, ma di contrasto al dominio comunista.
Mosso da un sincero interesse per la storia e la cultura della penisola balcanica, si è laureato in Studi Internazionali all’Università di Trento, per poi specializzarsi in Studi sull’Europa dell’Est all’Università di Bologna. Ha vissuto in Romania, Croazia e Bosnia ed Erzegovina, studiando e impegnandosi in attività di volontariato. Tra il 2021 e il 2022 ha scritto per Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa. Attualmente risiede in Macedonia del Nord, dove lavora presso l’ufficio di ALDA Skopje.