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A febbraio 2022 il vicesindaco di Belgrado, Goran Vesić, e la prima ministra, Ana Brnabić, hanno presentato al Museo Nazionale il progetto Belgrado 2030. Un nuovo piano di sviluppo della città che mira a trasformarne velocemente il volto, l’organizzazione interna e l’urbanistica. Un progetto ambizioso che si pone come obiettivo la modernizzazione di una città da sempre al centro di importanti scambi commerciali e culturali ma che, soprattutto nell’immaginario europeo, resta ancora ai margini del club delle grandi capitali. Non è la prima volta che per la città vengono predisposti progetti capaci di cambiarne in profondità l’aspetto. Leggenda vuole che, nella sua storia millenaria, sia stata distrutta e ricostruita decine di volte.
La città bianca
Belgrado è una delle città più antiche d’Europa. Grazie ad alcuni scavi archeologi, i primi insediamenti nell’area si fanno risalire addirittura a prima del 5000 a.C. La fondazione di una città vera e propria, denominata Singidun, avviene però solo intorno al III secolo a.C. grazie alla tribù celtica degli scordisci. L’occupazione da parte dei romani nel 75 a.C., che ne cambiarono il nome in Singidunum, la trasformò in uno strategico avamposto militare. A dimostrazione della sua importanza nella storia antica, furono ben 17 gli imperatori romani nati in città o nelle zone limitrofe.
Nei secoli successivi fu vittima di continue invasioni, saccheggi e distruzioni da parte di popoli come gli unni, gli ostrogoti e soprattutto gli slavi (VI secolo d.C.) che la rinominarono Beligrad (città bianca) per via del colore della fortezza della città. Data la sua posizione, Belgrado ha sempre avuto il ruolo di città di confine e di scontro tra i grandi Imperi, specialmente tra quello bizantino e quello ottomano. Dalla sua storia nascono quindi gli appellativi che le sono stati etichettati: “fenice bianca” o “porta d’Europa”, anche se più recentemente, data la sua movimentata vita notturna, viene spesso definita come “la città che non dorme mai”.
Da città ottomana a capitale jugoslava
La lunga dominazione ottomana, iniziata nel XV secolo e protrattasi a fasi alterne per oltre due secoli, ha lasciato in eredità soprattutto la fortezza di Kalemegdan, una delle mete preferite dai turisti, mentre delle centinaia di moschee costruite oggi rimane in piedi solo la piccola moschea Bajrakli. Nella prima metà dell’Ottocento, il principe Miloš diede avvio alla prima urbanizzazione di Belgrado caratterizzata dal superamento dei canoni orientali in favore di un’architettura dai caratteri tipicamente mitteleuropei. Durante la dominazione austro-ungarica (fine XVIII – primi anni del XIX secolo) la città venne dotata di ampie strade e nuovi palazzi monumentali dedicati alle istituzioni.
Un importante momento di svolta nella storia della città avviene nell’immediato secondo dopoguerra. In un contesto di totale distruzione, la capitale della Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia fu investita da un ambizioso programma di ricostruzione. Il primo piano quinquennale lanciato nel 1947 dava priorità alla ristrutturazione del sistema infrastrutturale e ad una rapida industrializzazione. La riva sinistra del fiume Sava, utilizzata dai tedeschi come campo di prigionia, divenne il luogo prediletto per l’espansione della nuova città: Novi Beograd (Nuova Belgrado).
Il Master Plan di Novi Beograd del 1950 riprendeva fedelmente quanto teorizzato dal funzionalismo dell’architetto e urbanista francese Le Corbusier e dalla Carta di Atene del 1933. Fortemente critici verso la monumentalità, per i funzionalisti le città dovevano soddisfare quattro funzioni fondamentali: abitare, divertirsi, lavorare e spostarsi. Il piano generale prevedeva la costruzione di abitazioni in grado di ospitare fino ad un milione di abitanti. Ogni blocco, cosi vennero chiamate le aree abitative, sarebbe stato fornito di servizi essenziali, aree verdi fornite di attrezzature sportive e spazi commerciali.
Tra il 1957 e il 1965 furono costruiti circa 40mila nuovi appartamenti. La priorità data all’edilizia abitativa aveva prodotto una scarsità di luoghi ricreativi e culturali previsti invece nel disegno complessivo. Nella seconda metà del decennio la pianificazione si concentrò quindi sulla costruzione di teatri, spazi espositivi, negozi e in generale tutti quei servizi che avrebbero dovuto animare le aree residenziali. Decenni dopo, però, quasi tutti convengono che “la pianificazione di Novi Beograd ha fallito, sia nel suo tentativo di coerenza globale sia nella volontà politica di creare una città” (Henry Lefebvre, 1986)
Le privatizzazioni avviate a partire dal 1991 dal governo Milošević coinvolsero anche il settore immobiliare con il passaggio, grazie alla legge sulle abitazioni del 1992, dalla proprietà pubblica a quella privata di oltre il 95% degli alloggi. I difficili anni Novanta ebbero come atto conclusivo i bombardamenti Nato del 1999 che colpirono soprattutto la rete infrastrutturale e industriale con la distruzione di numerosi ponti, strade e fabbriche.
La città neoliberista
Con l’avvio della transizione politica ed economica, cambia anche il volto della metropoli. La svolta finanziaria si è spesso riprodotta sul terreno metropolitano sotto forma di urbanizzazione selvaggia e cementificazione sostenuta dalle holding immobiliari, che hanno provocato, attraverso la privatizzazione di ampie parti dello spazio pubblico, la sottrazione e lo spossessamento di varie porzioni di città e la messa a valore dei servizi primari. Nel 2003 il governo cittadino vara il Master Plan of Belgrade 2021 che ha tratteggiato le linea guida per lo sviluppo della capitale. Tra i progetti più significativi era compreso anche l’enorme Ušće Shopping Center, con oltre 150 negozi, ristoranti, casinò e cinema multisala dal costo di 150 milioni di euro.
Durante la campagna elettorale del 2012 l’allora vicepremier, oggi presidente della Repubblica, Aleksandar Vučić presentò l’idea di trasformare l’area sul lungofiume di Savamala in un immenso quartiere avveniristico. Due anni dopo, nel 2014, l’idea si trasformò in un progetto che prese il nome di Belgrade Waterfront (Beograd na vodi). Costato oltre 4 miliardi di euro, ha visto il coinvolgimento della Eagle Hills Company di Abu Dhabi, specializzata in progetti di rinnovamento urbano destinati al turismo. Tra le opere costruite, il più grande centro commerciale di tutti i Balcani (Galerija Belgrade), hotel di lusso, abitazioni destinate soprattutto a fasce ricche, una gigantesca torre di vetro alta 168 metri e infine il parco più grande della città con un’area pedonale di 1,8 km. Complessivamente il nuovo quartiere occuperà un’area di 1,8 milioni di metri quadrati.
Il progetto ha però provocato la reazione di parte dei cittadini belgradesi, riunitisi nel 2014 nel movimento Ne Da(vi)mo Beograd. Negli anni immediatamente successivi il movimento riuscì a coinvolgere sempre più persone sui temi del diritto alla città, alla tutela dei beni comuni e delle risorse naturali e una più ampia e reale partecipazione democratica dei cittadini. Le prime importanti manifestazioni si svolsero nell’aprile 2015 durante la discussione in parlamento della lex specialis che dichiarava di interesse strategico nazionale il progetto del Belgrade Waterfront. In quell’occasione venne portata in piazza un’enorme papera gigante, divenuta simbolo del movimento. Nei mesi successivi la partecipazione alle azioni del movimento da parte della società civile serba crebbe costantemente raggiungendo il suo picco nel 2017.
Belgrado 2030
E veniamo ai giorni nostri. Durante la presentazione del progetto Belgrado 2030, il vicesindaco Goran Vesić, in compagnia della prima ministra Ana Brnabić, ha voluto sottolineare come l’obiettivo di creare “una città europea, ordinata e moderna” sia nell’interesse di tutti i cittadini serbi, dato che la capitale produce da sola oltre il 40% del PIL nazionale e ospita circa il 20% dell’intera popolazione serba.
Nella descrizione generale sul sito ufficiale dedicato al progetto si può leggere che “la strategia Belgrado 2030 rappresenta una visione del futuro sviluppo di Belgrado come città aperta e cosmopolita, che fornirà a ogni individuo che vi abita il più alto livello di benessere economico, uguaglianza sociale, sicurezza sociale e comfort urbano”. Nove i capitoli chiave in cui è suddivisa la strategia, così intitolati: 1) Economia urbana competitiva, 2) Responsabilità sociale e uguaglianza, 3) Infrastruttura urbana, 4) Crescita demografica e sviluppo di Belgrado, 5) Ambiente di investimento ed efficienza degli investimenti, 6) Infrastrutture sociali alla base della prosperità di Belgrado, 7) La capitale creativa dei Balcani, 8) Comfort urbano e mobilità, 9) Ambiente sostenibile.
Uno dei temi trattati dalla Strategia è quello che riguarda le misure sociali rivolte alle fasce meno abbienti della società belgradese. Nel documento si legge l’impegno a sopperire alle difficoltà del settore privato sul piano occupazionale anche attraverso il settore pubblico, con assunzioni nelle aziende pubbliche e nelle istituzioni. Altrettanto significativo l’impegno relativo agli alloggi sociali e la lotta all’abusivismo edilizio. Belgrado ha infatti una lunghissima storia di abusivismo, con intere parti di città costruite spesso in maniera del tutto arbitraria. I dati riportati nella Strategia mostrano una cifra impressionante: circa 250mila edifici in corso di legalizzazione. Negli ultimi anni ad aumentare sono stati anche i permessi di costruzione, passati dai 799 del 2013 ai 2687 del 2020, a dimostrazione di come il settore dell’edilizia venga considerato come uno dei più importanti per l’economia locale. In prospettiva, la Strategia prevede la costruzione di circa mille alloggi popolari destinati ai dipendenti dell’amministrazione statale, dell’esercito, dell’istruzione e dell’assistenza sanitaria, tutti settori dove i salari medi sono inferiori a quelli del privato.
Nel tentativo di evitare forme di ghettizzazione, i nuovi alloggi saranno dotati di aree ricreative, strutture educative e sanitarie e non saranno costruiti in luoghi isolati ma saranno collegati ad altre aree residenziali. Un’idea che sembra ripercorrere le teorie funzionaliste utilizzate nell’immediato dopoguerra, specialmente nell’area di Novi Beograd.
Capitale creativa
Belgrado si è caratterizzata da sempre per un animata scena culturale. Considerata tra le più attive città dell’Est Europa, la capitale serba offre una vasta opportunità di divertimento: dalle esposizioni d’arte ai grandi concerti, da importanti eventi sportivi ad animate serate nelle kafane e nei pub. La Strategia parla apertamente di fare di Belgrado “la capitale creativa dei Balcani occidentali” con il coinvolgimento di artisti internazionali. Il settore culturale è infatti considerato di primaria importanza per la costruzione di una narrazione positiva della città e la sua capacità di attrarre i turisti e i cosiddetti “nomadi digitali”.
Per sostenere questa visione è prevista la costruzione di hub culturali e la rivalorizzazione di edifici industriali già esistenti e non più utilizzati. Tra i progetti più importanti c’è quello per la costruzione di una nuova casa per la Filarmonica cittadina presso il Park Ušće, capace di ospitare 20mila persone per un investimento di ben 120 milioni di euro, e del Parco Scientifico e Tecnologico di Zvezdara, di oltre 30mila metri quadrati. Sono previsti inoltre spazi dedicati alla street art e lo spostamento in una zona più centrale del museo dedicato a Nikola Tesla. Particolare attenzione viene inoltre rivolta all’industria cinematografica e alle start-up innovative.
Infrastrutture
Complessivamente, per il progetto Belgrado 2030, sono stimati investimenti per 18 miliardi di euro. Di questi, ben 11 saranno diretti alle infrastrutture di mobilità. La capitale serba, secondo i piani, dovrebbe cambiare profondamente volto nei prossimi anni. I progetti più importanti riguardano l’ammodernamento dei ponti sul Danubio già esistenti, come lo Stari savski (70 milioni di euro), e la costruzione di nuovi, come quello ad Ada Huja dal costo di 180 milioni di euro. Questi lavori si collegano a quelli riguardanti il ring che circonda la città e che verranno finanziati con 245 milioni di euro.
L’obiettivo più importante in assoluto resta però quello della metropolitana. Un’idea nata nel 1923 e che già nel 1938 prevede tre linee di cui una turistica nell’area della fortezza di Kalemegdan. L’idea venne poi ripresa innumerevoli volte a partire dalla fine degli anni Cinquanta senza però mai vedere la luce. L’attuale progetto, i cui lavori sono già iniziati, prevede la costruzione di due linee. La prima, lunga 21,3 km, sarà completata entro il 2028 e collegherà Železnik e Mirijevo, la seconda nel 2030, di 19,2 km tra Zemun e Mirijevo per una spesa complessiva di circa 4,5 miliardi di euro. Un consorzio formato dalla tedesca Deutsche Bahn, dalle francesi Systra e Alstom e dalla cinese Power Construction Corporation of China gestirà e supervisionerà il progetto di costruzione della prima linea della metropolitana. Il progetto ha provocato opinioni contrastanti: secondo alcuni sarà un’occasione di rilancio per la mobilità, per altri è solo occasione di speculazione visto che collega due aree della città scarsamente abitate.
Altri investimenti verranno fatti per il sistema dei tram (848 milioni) e dei filobus (95 milioni) e per parcheggi e garage pubblici (75 milioni). Una parte consistente delle risorse verrà destinata anche alla regolamentazione dei sistemi fognari per il trattamento delle acque reflue (1,5 miliardi di euro), nel tentativo di limitare l’inquinamento dei due fiumi della città. Nell’attuale discarica di Vinča verrà invece costruito un inceneritore, mentre dovrebbero essere circa 8mila gli ettari in più di aree verdi che al momento sono solo il 12%.
I rischi
Il faraonico e forse irrealizzabile progetto di trasformazione di Belgrado, oltre agli investimenti, porta con sé gravi rischi. Principalmente dal punto di vista ambientale. Poca attenzione, rispetto alle infrastrutture, viene dedicata ai temi della transizione energetica e alla tutela dell’ambiente. Costruire autostrade, tunnel e ponti, aumentare le concessioni edilizie, significa anche ricoprire la città di cemento, mentre il nuovo porto sul Danubio contribuirebbe al già precario stato di salute del fiume (il più inquinato d’Europa).
Ad approfittarne potrebbero essere imprenditori e i grandi gruppi industriali, come abbiamo visto anche internazionali. Le cosiddette Public-Private Partnership (Ppp) con cui verranno finanziati i progetti rischiano di dare un enorme potere ai privati a scapito del pubblico. Un dubbio alimentato anche dalla poca trasparenza che spesso accompagna questo tipo di accordi. Recentemente, l’Istituto di regolazione per le energie rinnovabili e l’ambiente (Reri) ha sottolineato durante un’udienza pubblica che “le proposte di modifica della Legge sull’urbanistica e le costruzioni favoriscono gli interessi privati rispetto a quelli pubblici”. Inoltre, anche se esistono degli strumenti di consultazione della cittadinanza, specialmente online, su alcuni temi che riguardano il territorio, sempre il Reri ha dichiarato che gli emendamenti sono stati adottati illegalmente per la mancata pubblicazione del rapporto sull’udienza pubblica.
I precedenti non giocano a favore del governo. La battaglia per una maggiore trasparenza negli investimenti pubblici e un reale e più ampio coinvolgimento dei cittadini alle scelte è stata alla base delle lotte contro il progetto del Belgrade Waterfront già a partire dal 2014. I cittadini inoltre rischiano di veder aumentare notevolmente i prezzi ed essere costretti a trasferirsi in altre aree lontane dal centro della città. Per stessa ammissione del vicesindaco Vesić, i prezzi degli appartamenti e dei locali commerciali hanno già raggiunto il loro massimo storico. Infine, uno sforzo economico così importante, di ben 18 miliardi di euro (aumenti permettendo), rischia di far saltare i conti e far aumentare il debito pubblico, mettendo in seria difficoltà l’economia del paese che qualora non dovesse riuscire a ripagare i propri debiti sarebbe costretto a svendere gli asset principali. Il progetto di Belgrado 2030 è per molti aspetti innovativo e può avere importanti ricadute positive. A patto che si tengano in considerazione criteri di sostenibilità ambientale, sociale ed economica.
Dottore di ricerca in Studi internazionali e giornalista, ha collaborato con diverse testate tra cui East Journal e Nena News Agency occupandosi di attualità nell’area balcanica. Coautore dei libri “Capire i Balcani Occidentali” e “Capire la Rotta Balcanica”, editi da Bottega Errante Editore. Vice-presidente di Meridiano 13 APS.