Come potrai immaginare, questo progetto ha dei costi, quindi puoi sostenerci economicamente con un bonifico alle coordinate che trovi qui di seguito. Ti garantiamo che i tuoi soldi verranno spesi solo per la crescita del progetto, per i costi tecnici e per la realizzazione di approfondimenti sempre più interessanti:

  • IBAN IT73P0548412500CC0561000940
  • Banca Civibank
  • Intestato a Meridiano 13

Puoi anche destinare il tuo 5x1000 a Meridiano 13 APS, inserendo il nostro codice fiscale nella tua dichiarazione dei redditi: 91102180931.

Dona con PayPal

Belgrado sta cancellando il suo passato socialista

Sin dall’antichità, Belgrado ha giocato un ruolo centrale nelle vicende politiche della penisola balcanica. Questo grazie soprattutto alla sua posizione geografica, situata proprio al centro di una regione che ha spesso rappresentato una cerniera tra l’Occidente e il Vicino Oriente. In particolare, a partire dal Novecento, proprio per la sua importanza economica e politica come centro nevralgico del potere, la sua storia è stata indissolubilmente legata alle varie esperienze di unità dei popoli slavi meridionali. Oggi però, parte di quella storia rischia di essere completamente cancellata.

Leggi anche Belgrado 2030: passato, presente e futuro di una città che non muore mai

Belgrado: capitale jugoslava

Il primo tentativo di creare uno Stato che tenesse uniti i popoli slavi meridionali si concretizzò già nell’immediato primo dopoguerra con la nascita, nel 1918, del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Un’esperienza che rimase in vita per un decennio, fino a quando nel 1929 re Alessandro Karađorđević decise di sospendere la Costituzione di San Vito, concessa nel 1921, e cambiare nome del paese in Regno di Jugoslavia. In entrambi i casi, la capitale designata fu proprio Belgrado, sede del potere monarchico serbo.

Proclamazione del Regno di Serbi, Croati e Sloveni a Lubiana il 29 ottobre 1918 (Wikipedia)

Con l’occupazione tedesca durante la Seconda guerra mondiale, l’allora capitale jugoslava mostrò tutta la sua fierezza organizzando una strenua resistenza, tanto da riuscire a liberarsi dal nazismo ancor prima dell’arrivo dell’Armata Rossa nell’ottobre 1944. Da allora e fino al 1992, Belgrado divenne la capitale indiscussa della Jugoslavia socialista, guidata fino al 1980 da Josip Broz Tito. La sua ricostruzione impegnò centinaia di migliaia di volontari e la sua organizzazione urbanistica, basata sulle teorie del funzionalista Le Corbusier, contribuì a creare l’immagine di una città nuova, innovativa, internazionale, costruita da e per il popolo, ma anche sede delle istituzioni federali.

Cancellare il passato socialista

Ancora oggi, passeggiando per la città, è possibile osservare ciò che resta della Belgrado socialista: nei blocchi residenziali di Novi Beograd, nel sovietico e mastodontico palazzo delle poste di fianco al Parlamento, nella famosissima Torre Genex o nei palazzoni in stile brutalista della Porta Est.

Eppure, nonostante i tanti lasciti, l’eredità della Belgrado socialista rischia di scomparire. I tempi sono ormai cambiati, l’economia pianificata ha lasciato il posto al neoliberismo più sfrenato, i grandi fondi di investimento hanno soppiantato lo stato, gli edifici non soddisfano più i bisogni di chi li abita ma solleticano gli appetiti di abitanti e visitatori trasformati in bulimici consumatori. L’internazionalismo è diventato sinonimo di turistificazione.

La famosa Torre Genex a Belgrado (Wikipedia)

Per decenni, ricerche scientifiche e inchieste giornalistiche, supportate da un tangibile sentimento popolare, ci hanno raccontato della jugonostalgija. Un malinconico ricordo di un passato glorioso, irripetibile, in cui non tutto era perfetto ma, tutto sommato, meglio di adesso. Un passato in cui il proprio paese, la Jugoslavia, era rispettato dai nemici e ammirato dagli alleati, specie da quelli del Sud del mondo.

Leggi anche Jugonostalgia: il ricordo mitizzato del passato socialista

E forse è proprio per quest’aura quasi mitologica che avvolge la Jugoslavia che l’attuale governo, longa manus del presidente Aleksandar Vučić, vero deus ex machina della politica serba, ha lanciato la propria inesorabile crociata contro l’eredità socialista di Belgrado. In piena estasi megalomane, il presidente Vučić è convinto di poter concedere al proprio paese un’occasione di rinascita. Non più il paese marginale, isolato, senza prospettiva degli ultimi decenni, ma una nazione proiettata al futuro, capace di dialogare con chiunque, di suscitare interesse in qualsiasi angolo del mondo, di attrarre una quantità enorme di capitali stranieri.

L’obiettivo è quello di superare in grandezza la Jugoslavia di Tito. E per farlo è necessario cancellare il ricordo di quella esperienza. Non solo riscrivendo o ignorando la storia, ma trasformando anche lo spazio pubblico, ridefinendo l’urbanistica della città simbolo, abbattendo in nome del progresso luoghi ed edifici del passato.

I diversi progetti urbanistici che da ormai un decennio interessano Belgrado vanno tutti in questa direzione: costruire una città nuova, esattamente come fatto da Tito, all’avanguardia dal punto di vista architettonico, funzionale da quello della mobilità, dedita al commercio e ai grandi affari. La designazione di Belgrado per ospitare l’Expo 2027 è il riconoscimento internazionale di questo sforzo.

Solo negli ultimi mesi, sono stati almeno tre i simboli del passato socialista destinati a essere cancellati dalla mappa e dalla storia di Belgrado.

Lo Stari Savski most

Lo scorso 1° novembre, il famosissimo Stari savski most (Vecchio ponte sulla Sava), uno dei ponti simbolo della città, è stato chiuso al traffico in vista di una sua completa demolizione. Al suo posto verrà eretto, dalla società Power China, un nuovo ponte tecnologicamente più avanzato. Costruito nel 1942 durante l’occupazione nazista per collegare il cuore della città con l’altra sponda del fiume Sava, dove sorge il quartiere di Novi Beograd, il ponte è stato utilizzato fino ad oggi come importante arteria stradale e tramviaria. Nonostante il tentativo di farlo saltare in aria durante la ritirata dell’esercito nazista, l’eroica azione dell’insegnante Miladin Zarić ne impedì la distruzione il 20 ottobre 1944, giorno della liberazione di Belgrado.

Vista dello Stari savski most prima della costruzione del Belgrade Waterfront (Wikipedia)

Negli ultimi anni il Ponte vecchio ha però perso la sua utilità e si è dimostrato sempre più obsoleto per la nuova organizzazione urbana. Una delle due estremità si trova infatti nel quartiere di Savamala, al centro del faraonico progetto urbanistico noto come Belgrade Waterfront (Belgrado sull’acqua), un quartiere residenziale e commerciale di lusso in costruzione da parte della Eagle Hill, azienda con sede negli Emirati Arabi.

Per il ponte sono state proposte diverse soluzioni: dalla demolizione totale allo spostamento in altre aree della città, passando per una sua monumentalizzazione nel parco verde di Ušće. Anche se una decisione definitiva non è stata ancora presa il suo futuro appare ormai segnato, nonostante le proteste di un gruppo di cittadini contrari alla demolizione.

L’Hotel Jugoslavija

Ancora più triste, per la storia e l’enorme portata “nostalgica” della struttura, è il destino toccato all’Hotel Jugoslavija, forse uno degli edifici più rappresentativi del periodo d’oro della federazione. I primi lavori di costruzione iniziarono già nel 1947 ma dovettero interrompersi per via della rottura con l’Unione Sovietica e la conseguente, seppur breve, crisi economica.

I lavori ripresero nel 1961, anno in cui Belgrado ospitò il primo summit del Movimento dei Paesi non allineati, voluto con forza proprio dal Maresciallo Tito, e terminarono nel 1969. Con oltre mille camere disposte su sette piani, l’Hotel Jugoslavija è stato per decenni tra gli alberghi più grandi d’Europa. Nella sua lunga storia ha ospitato personaggi come la Regina Elisabetta, Richard Nixon e Jimmy Carter, il leader libico Muammar Gheddafi, oltre a cantanti e attori di fama internazionale.

Il vecchio Hotel Jugoslavija a Belgrado (Peleplay)

Con la fine della Jugoslavia anche l’hotel cominciò il suo declino. Considerato quartier generale del gruppo paramilitare delle Tigri di Arkan, la notte tra il 7 e l’8 maggio 1999 venne colpito da due bombe Nato durante un attacco aereo che toccò anche l’edificio dell’ambasciata cinese. Da allora abbandono e degrado hanno preso il sopravvento, fino alla definitiva chiusura nel 2006. L’anno successivo una parte dell’edificio venne acquistata dalla società Grand Casino per ospitare la sala da gioco della città.

Proprio quest’anno, nel mese di marzo, l’intera struttura è stata acquistata dalla compagnia Marriott International, con stretti legami con il Partito Progressista Serbo di Vučić, per 27 milioni di euro. A metà novembre 2024 sono partiti ufficialmente i lavori di abbattimento della vecchia struttura per fare posto a un nuovo edificio avveniristico, composto da due torri alte 150 metri che ospiteranno aree commerciali e residenziali di lusso.

Il Generalštab

Altra vittima illustre dell’operazione di cancellazione del passato jugoslavo è l’edificio noto come Generalštab, che ospitava la sede del ministero della Difesa e il quartier generale dell’esercito. Venerdì scorso il governo ha infatti deciso di togliere lo status di “bene culturale” alla struttura, danneggiata da un bombardamento della Nato durante l’operazione Allied Force del 1999 e da allora lasciato danneggiato a perenne memoria di quell’aggressione militare.

Questa volta a essere accontentati sono stati gli appetiti dell’Affinity Global Development, un fondo di investimenti posseduto da Jared Kushner, genero del rieletto presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.

A maggio scorso, il governo serbo aveva sottoscritto un accordo per la “rivitalizzazione del complesso” che prevede la costruzione di un hotel, di circa 1.500 unità abitative e un museo storico sui bombardamenti del 1999 della Nato. Il ritiro dello status di “bene culturale” rappresenta un passo decisivo per implementare l’accordo di maggio e dare il via al passaggio di proprietà dell’area e ai lavori di “rivitalizzazione”.

La tomba di Tito e la Casa dei fiori

Ciò che, almeno per ora, sembra esser sfuggito alla scure antisocialista delle istituzioni serbe è la Casa dei fiori, uno dei gioielli di Belgrado che ospita la tomba del Maresciallo Tito e il Museo della storia jugoslava. In quanto luogo di sepoltura del leader jugoslavo, l’unico che, forse insieme a Slobodan Milošević, supera per fama l’attuale presidente Vučić, la Casa dei Fiori non poteva restare indenne da attacchi politici.

Le tombe del Maresciallo Tito e di sua moglie Jovanka Budisavljević conservate presso la Casa dei fiori a Belgrado (Wikipedia)

A settembre di quest’anno, il sindaco di Belgrado Aleksandar Šapić aveva proposto di spostare i resti di Tito nella sua città natale a Kumrovec, nell’attuale Croazia, e di rinominare il museo dedicandolo alla storia serba invece che a quella jugoslava. Una richiesta dal netto sapore nazionalista, volta a cancellare la memoria del socialismo e dello jugoslavismo come idea di unità dei popoli slavi meridionali in favore di un pericoloso etnocentrismo serbo.

Oltre alla tomba del Maresciallo, il sindaco proponeva di eliminare anche il monumento commemorativo dedicato ai quattro eroi del popolo (gli jugoslavi Moša Pijade, Ivo Lola Ribar, Djuro Djaković e Ivan Milutinović) nella fortezza di Kalemegdan. Al loro posto, Šapić proponeva la costruzione di un monumento dedicato al leader dei Cetnici, movimento monarchico collaborazionista del nazismo, Draža Mihailović. Al momento, la stravagante idea del sindaco di Belgrado è stata bocciata dallo stesso presidente Vučić, ma non è detto che in un futuro più o meno prossimo anche la Casa dei Fiori non possa rischiare di scomparire, come accaduto ad altri simboli jugoslavi.

Leggi anche La “spada della rivoluzione” jugoslava: l’OZNA

Davanti a questi progetti di “rigenerazione urbana” non si tratta di portare avanti una battaglia contro il progresso o in difesa di un sentimento nostalgico reazionario secondo cui tutto ciò che appartiene al passato è necessariamente più bello di ciò che prospetta il futuro. Le città cambiano da sempre, Belgrado stessa è stata distrutta e ricostruita decine di volte nella sua millenaria storia.

Si tratta di riconoscere ciò che le istituzioni locali e nazionali serbe stanno mostrando chiaramente: un attacco senza precedenti alla storia socialista della città e del paese. Un passato capace ancora oggi di oscurare i (presunti) successi di Vučić e della sua cricca.

La distruzione dei simboli del passato non ha niente a che fare con l’ammodernamento della città o con la sua rinascita urbanistica. Ognuno di questi edifici sarebbe infatti potuto essere ristrutturato e conservato a perenne memoria di un passato di pace e relativa prosperità, come simbolo di “fratellanza e unità” per citare il motto socialista jugoslavo. E, invece, al loro posto si propone di costruire statue di carnefici nazisti, hotel di lusso in cui la popolazione locale può solo sperare di lavorare come camerieri e centri commerciali dove sperperare i propri risparmi. Un modello di città neoliberista che prova a cancellare una Storia collettiva.

Condividi l'articolo!
Marco Siragusa
Marco Siragusa

Dottore di ricerca in Studi internazionali e giornalista, ha collaborato con diverse testate tra cui East Journal e Nena News Agency occupandosi di attualità nell’area balcanica. Coautore dei libri “Capire i Balcani Occidentali” e “Capire la Rotta Balcanica”, editi da Bottega Errante Editore. Vice-presidente di Meridiano 13 APS.