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Blokada, il podcast che racconta l’assedio di Sarajevo

Blokada è il primo podcast prodotto da Bottega Errante Edizioni ed è scritto e raccontato da Giuseppe Modica e Andrea Baudino. Al centro della narrazione c’è l’assedio di Sarajevo e quei 1425 giorni che travolsero una città nel cuore d’Europa, alle soglie del 2000. Abbiamo parlato con i due autori per capire meglio come nasce e che cosa racconta questo nuovo progetto.

L’assedio di Sarajevo non è certo un tema di attualità. Sono passati più di 30 anni. Perché allora fare un podcast su questo tema nel 2023?

Abbiamo scelto una storia di trent’anni fa perché l’oggi, il succedersi degli eventi soprattutto degli ultimi tre anni, ci propone temi che attualizzano il dramma di Sarajevo anni Novanta. Per noi Blokada è resistenza. Proponiamo agli ascoltatori del nostro podcast una narrazione dell’assedio della capitale bosniaca dal punto di vista dei suoi cittadini, attraverso le loro voci che raccontano le loro esperienze di resistenza alla fame, alla sete, alla morte, all’annientamento culturale e psicologico.

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Narrare la resistenza degli abitanti di Sarajevo tra il 1992 e il 1996 significa raccontare una storia specifica, sì, ma anche un’attitudine universale dell’uomo. Hanno fatto resistenza i sarajevesi intrappolati nella loro città, gli ucraini fanno oggi resistenza nella loro martoriata terra, noi stessi abbiamo fatto resistenza sotto l’assedio del Covid nei periodi più duri della pandemia. L’essere umano trova sempre le risorse per fare fronte al peggio e sopravvivere. L’essere umano resiste, poi vince e si libera. Blokada racconta una storia di trent’anni fa che può essere elevata a paradigma di resistenza.

Detto questo, l’esigenza di raccontare Sarajevo è per noi cosa antica. Ricordiamo nitidamente ancora oggi la prima volta che entrammo a Sarajevo. Potremmo fare una cronaca minuto per minuto della nostra prima esperienza in città. Sarajevo e i sarajevesi ci sono entrati sottopelle. Sarajevo è stata per noi, ed è ancora oggi, emozione pura, una tempesta di emozioni. Bellezza e sgomento. Serenità e angoscia. Felicità e sconfitta. È difficile da spiegare. Infatti, sulla strada del rientro in Italia, ci chiedevamo “e ora come lo raccontiamo tutto questo?”. Le parole giuste le abbiamo trovate svariati lustri dopo… e non sono le nostre, sono quelle dei cittadini di Sarajevo.

E perché fare proprio un podcast?

Le ragioni sono molteplici.

Arriviamo entrambi da esperienze lavorative in comunicazione, ufficio stampa, digital PR. Questo mestiere ti rende curioso, incline al nuovo, attento a ciò che ti succede intorno, a che cosa piace e a che cosa non interessa. Abbiamo osservato la crescita del podcasting originale in Italia con molta attenzione, prima con l’occhio professionale che analizza un fenomeno, poi con l’orecchio degli ascoltatori appassionati. Ci sono in giro tante storie interessantissime raccontate benissimo.

La parola è potente e, forse, oggi lo è ancora di più che in passato. Viviamo il tempo dell’immagine, del video, anzi… del reel breve e disimpegnato. I social hanno trasformato le nostre vite in uno slideshow, in una diretta divorata in streaming. Quindi, oggi, raccontare una storia solo a parole è un atto rivoluzionario con una forza dirompente: ti costringe all’attenzione, ti chiede di abbassare il volume di tutto il resto, di rallentare, di fermarti a sedere. In un certo senso, il podcasting originale è quasi l’evoluzione del racconto attorno al camino. Naturalmente non potevamo rimanere insensibili a qualcosa di così old-fashioned e attuale!

Narrare qualcosa che appartiene al passato, che magari la gente non ricorda più bene o che ignora del tutto e farlo con l’eccezionale capacità di evocare immagini che ha la parola raccontata, ci è sembrato il modo migliore per raccontare l’assedio di Sarajevo. In aggiunta, c’è una suggestione in più. Blokada è fatto da voci che arrivano da una città da cui non si poteva uscire e in cui non si poteva entrare. Questo flusso narrativo solo audio evoca molto una situazione di emergenza, claustrofobica, bloccata, “blokada” per l’appunto.

Una delle scelte vincenti del vostro podcast è l’utilizzo delle testimonianze dirette, come quelle della giornalista e scrittrice Azra Nuhefendić, del giornalista e scrittore Gigi Riva, della sciatrice Paola Magoni, della regista Aida Begić e dell’architetta e interprete Kanita Fočak. Perché avete intrapreso questa strada narrativa e come avete scelto le persone da intervistare?

Perché volevamo mettere al centro del nostro lavoro le persone. Come accennato prima, la nostra è una narrazione dell’uomo e della sua capacità di resistere, prima ancora di essere un podcast di storia. Nulla come il racconto dell’esperienza di vita narrata proprio da chi l’ha vissuta restituisce all’ascoltatore un’immagine diretta, viva, credibile ed efficace. Le donne e gli uomini sono gli eterni protagonisti della Storia, a volte carnefici, a volte vittime, a tratti masticati dalla Storia a tratti artefici del proprio destino, “un ciclo macellati e un ciclo macellai”, come diceva Giovanni Lindo Ferretti.

Foto degli autori di Blokada
Giuseppe Modica e Andrea Baudino (foto degli autori del podcast)

I protagonisti del nostro podcast sono le persone, sconosciuti eroi quotidiani che, lottando insieme, scrivono la storia. Alla narrazione storica e alla cronaca dei fatti ricorriamo quel tanto che basta a contestualizzare l’evento assedio di Sarajevo. Spiegato come e perché si arriva a quel fatidico 5 aprile 1992, la nostra narrazione si perde per le vie della città. L’obiettivo è lasciare i nostri ascoltatori da soli per strada, privi di riferimenti; non concediamo loro neanche l’orientamento nel tempo. I nostri ascoltatori devono sentirsi persi in una città sotto assedio, l’unico conforto e l’unica possibilità di orientamento sono le voci dei loro vicini. Vorremmo che l’ascoltatore possa quasi diventare parte di quell’umanità in lotta che elabora strategie di sopravvivenza inattese, disperate e talvolta geniali.

Come abbiamo scelto le persone da intervistare? Arriviamo a Blokada dopo anni di passione per l’argomento, di ricerche fatte, di studi, di viaggi, di libri letti. I nostri testimoni sono, in gran parte, persone che in questi anni abbiamo incontrato nel nostro percorso di formazione e di educazione sentimentale. Si può dire che i protagonisti del nostro podcast li conosciamo da anni, un po’ per avere letto i loro libri, un po’ per aver visto i loro film, un po’ per aver seguito le loro gare di sci o le pagine dei quotidiani su cui scrivono. Un bel giorno ci siamo detti: “ma perché non li contattiamo e chiediamo loro se hanno voglia di condividere Blokada?”.

Entrando in un’epoca più matura del podcast, è giusto sottolineare come il vostro prodotto sia anche ben realizzato dal punto di vista tecnico. Volete raccontarci il lavoro che c’è stato dietro?

Prima di tutto, grazie per aver apprezzato Blokada anche dal punto di vista tecnico. Dietro questo podcast c’è davvero molto lavoro, ore e ore di impegno quotidiano e… molta pignoleria. La realizzazione della parte autoriale è il punto di partenza e, per certi versi, ricorda le dinamiche di produzione di un servizio giornalistico e, per altri, il lavoro di ricerca storica che c’è dietro la scrittura di un saggio. La verifica delle fonti e della veridicità di ciò che ci viene raccontato sono la Stella Polare.

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La stesura dello script è una fase delicata in cui devi scegliere le parole, pensando che dovranno essere ascoltate e non lette. Un altro aspetto molto importante è che, mentre scrivi, devi già avere un’idea di massima dei contributi extra che vorrai inserire: come detto prima, i protagonisti di Blokada sono i testimoni presenti di puntata in puntata.

Il testo viene scritto a quattro mani e poi modificato e revisionato un numero infinito di volte fino a che entrambi non siamo soddisfatti. Una volta ottenuta la versione finale e prima di andare in produzione, la giriamo a Leonardo Barattin di Viaggiare i Balcani che verifica che tutti i riferimenti storici siano corretti. È qualcosa di assimilabile alla peer review (revisione tra pari) tipica dell’ambito scientifico. Siamo molto rigorosi in questo e, come dicevamo prima, pignoli.

La seconda fase è quella di produzione, in cui speakeriamo lo script. Chiunque entri in una sala di registrazione sa quanto può diventare lungo e ricco di imprevisti questo momento del lavoro.

La post-produzione è certamente la parte che porta via più tempo. Senza scendere troppo in dettagli ultratecnici, si tratta di un lavoro che richiede preparazione, orecchio, impegno, creatività e molta attenzione ai dettagli: editing audio di ogni clip – nostra e degli ospiti di puntata –, editing audio di ogni contributo esterno, scelta dei temi musicali per la colonna sonora (ci teniamo particolarmente a ringraziare Christian Trapani che è l’autore della musica originale della sigla di Blokada), sound design, montaggio, mixing. Molte, molte ore di cuffia, insomma! Però poi l’alchimia si compie e la soddisfazione è tanta.

Se non aveste raccontato l’Assedio di Sarajevo, quale altro evento vi sarebbe piaciuto narrare?

Confessiamo di essere decisamente innamorati, oltre che di Sarajevo, di tutta l’area ex jugoslava. I Balcani e l’umanità che li abita ti arano l’anima. Sono un teatro in cui ogni giorno entrano in scena la gioia e la malinconia, la passione e il gelo, la solidarietà e la rabbia, il mare e la montagna, il sole e il vento. Ribolle la vita. I Balcani ti si conficcano nel cuore. Qualche anno fa la penna incantata e incantevole di Paolo Rumiz scriveva qualcosa che ci ha fatto sobbalzare il cuore per quanto l’abbiamo sentita nostra:

Potrei parlarvi di odio e scannamenti, di profughi e kalashnikov; dirvi di una terra lacerata con l’occhio gelido della geopolitica. Invece no. Vi dirò dei suoni di un mondo inquieto, dell’acustica che nasconde l’anima dei suoi luoghi. La mia anima è piena di quelle frequenze. Essa li cerca come Orfeo e la sua cetra, gli va dietro oltre il confine del mondo dei vivi, là dove abita Persefone. Sente che quei suoni partigiani resistono alla grande omologazione globale, alla tirannia del pensiero unico”. I Balcani sono “due ex belle donne di Novi Sad, alte sul metro e ottanta, che si avvicinano a un fisarmonicista seduto davanti al Danubio, gli mettono in mano una banconota, gli dicono “dai, facci piangere”, gli fanno spremere dallo strumento oceani di tristezza e secoli di sradicamenti, ballano e si abbracciano senza badare ai passanti.

I Balcani sono queste e mille altri immagini. Se non fosse stata Sarajevo, sarebbe stata un’altra storia balcanica.

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Gianni Galleri
Gianni Galleri

Autore dei libri “Questo è il mio posto” e “Curva Est” - di cui anima l’omonima pagina Facebook - (Urbone Publishing), "Predrag difende Sarajevo" (Garrincha edizioni) e "Balkan Football Club" (Bottega Errante Edizioni), e dei podcast “Lokomotiv” e “Conference Call”. Fra le sue collaborazioni passate e presenti SportPeople, L’Ultimo Uomo, QuattroTreTre e Linea Mediana. Da settembre 2019 a dicembre 2021 ha coordinato la redazione sportiva di East Journal.