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In principio furono in tre: Loro Boriçi, Naim Krieziu e Riza Lushta. Sono questi i nomi dei primi e più importanti calciatori albanesi in Italia prima degli anni Novanta. È una storia lontana, che affonda le sue radici in un’epoca molto diversa da quella odierna, ma – per svariati motivi – anche molto simile. Come oggi, anche allora, le sponde dell’Adriatico erano molto vicine. Negli anni Trenta e Quaranta l’Albania era un possedimento dell’Italia fascista, oggi lo scambio è senza dubbio più reciproco e interconnesso con una vicinanza culturale dovuta ad almeno tre decenni di emigrazione e contaminazioni.
Torniamo però agli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso. L’Italia governa sull’Albania e sul Kosovo. Ad alcuni “fortunati” albanesi viene concessa la possibilità di andare a studiare in Italia. Sono tre atleti che giocano nella principale squadra cittadina, lo Sport Club Tirana che va d’amore e d’accordo con il nuovo regime (questa scelta verrà pagata a caro prezzo quando la Terra delle Aquile diventerà una repubblica popolare dopo la seconda Guerra mondiale).
Naim Krieziu, la “Freccia di Tirana”
Naim Krieziu nasce a Giacovizza (nell’attuale Kosovo) nel 1918 e qualche anno dopo si trasferisce a Tirana, dove giocando a calcio viene notato da un insegnante di educazione fisica italiano che lavorava oltremare. Questi chiama un amico per organizzare l’arrivo in Italia e un provino con la Roma, a Campo Testaccio,
Male che va puoi sempre tentare l’ISEF, ora aperto anche a voi albanesi, e diventare un insegnante proprio come me.
Tuttavia di sedere dietro a una cattedra non se ne parla. Il diciottenne Krieziu con il pallone ci sa fare davvero, usa il destro e il sinistro senza problemi e corre i cento metri in undici secondi. Per lui è già pronto un soprannome: sarà la “Freccia di Tirana”. Siamo nel 1940 e quest’ala imprendibile entra subito nel cuore della tifoseria giallo-rossa. Come riporta Roberto Amorosino su SportMemory:
L’esordio è del 10 marzo 1940, 4-2 al Bari, Campo Testaccio strapieno e tutti a ritmare – come forsennati – con i piedi sulle tribune di legno. Cinque minuti e Krieziu vola sulla fascia, imprendibile, fino al cross basso e teso per l’argentino Pantò che deve solo spingere la palla in rete con il piattone. Racconta Krieziu “quando il frastuono finì, sentii chiaramente una voce dagli spalti gridare “ma se po’ sape’ come cazzo te chiami?”.
Con la Roma è amore a prima vista. Nel 1942 insieme al “fornaretto” Amedeo Amadei compone una coppia di giocatori letali che, insieme a Miguel Angel Pantò, regalano ai capitolini il primo titolo di Campioni d’Italia della loro storia. Non fu però il primo albanese a vincerlo, in quanto nel Bologna del 1941 era in rosa Sllave Llambi, che non disputò nessuna partita, ma faceva comunque parte di quella squadra. L’amore eterno però sembra non esistere nel calcio e dopo la splendida luna di miele fra l’albanese e la Roma, arrivò la cessione.
Krieziu va al Napoli
“Dissi alla dirigenza: se non vi dà disturbo vorrei restare a Roma. Ma non ci fu verso. Sul treno Roma-Napoli piansi”. Come riportato da Luca Sisto in Football&Life Krieziu si trasferisce alla corte degli azzurri e dopo un’iniziale fase di assestamento, entra nel cuore dei tifosi, diventando una bandiera di quel Napoli. Siamo nell’estate del 1947, forse dietro all’acquisto c’è proprio il fatto che nel campionato precedente Krieziu aveva segnato ai partenopei una tripletta. La Roma dal canto suo non se la passava bene economicamente e si privò del forte atleta per la cifra di 18 milioni di lire.
“Aveva un grande amore per Napoli e per questo quando mi capitava di andare per questioni di lavoro, sapendo di fargli un regalo, gli chiedevo sempre di accompagnarmi. E una volta lì, ritrovava i luoghi in cui aveva vissuto negli anni Quaranta e Cinquanta. I suoi ricordi puntavano soprattutto sulle vacanze a Ischia fatte assieme ad Amadei per dei rigeneranti ‘fanghi’.
Poi c’erano i pellegrinaggi alla ricerca dei ristoranti che frequentava allora. E la cosa aveva un risvolto comico, perché molti di quei locali non esistevano più o, nella migliore delle ipotesi, avevano cambiato gestione. Però il suo preferito c’era ancora, ‘Zì Teresa’ a Borgo Marinari. Era molto bello ascoltarlo mentre rievocava e parlava della sua casa a Posillipo. Mio padre ha molto amato Napoli, ma certamente l’essere stato costretto ad abbandonare Roma fu un dolore enorme per lui.”
Appese le scarpette al chiodo, Krieziu iniziò ad allenare, tornando nella capitale. Guidò l’Almas, ma si tolse anche la soddisfazione di guidare i giallorossi nel 1963. Fu una breve parentesi, ma non priva di soddisfazioni per entrambe le parti. Svolse anche il ruolo di osservatore scoprendo Giuseppe Giannini, detto “Il Principe”, futura stella romanista. Rimase per tutta la vita a Roma, aprendo una lavanderia. Si spense nel 2010, senza sapere che qualche anno dopo la sua squadra avrebbe trionfato nel suo unico trofeo europeo, proprio nella città che lo aveva lanciato, Tirana.
Riza Lushta, che fece crollare lo stadio
Anche Riza Lushta alla fine degli anni Trenta giocava nel Tirana e anche lui colpì per destrezza e capacità gli osservatori italiani, che lo portarono a Bari. Era in campo nella partita d’esordio di Krieziu con la Roma e segnò anche un gol, pare dopo aver stoppato il pallone con un braccio. Dopo la parentesi pugliese il giocatore si trasferì a Torino, sponda Juventus, dove raggiunse la notorietà contribuendo in maniera importante alla vittoria della Coppa Italia 1942, dove segnò otto reti.
“Lushta aveva buona reputazione di bomber e l’attesa per i suoi gol si manifestò subito. Il Napoli partì col piede giusto. […] Segnavano in molti, […] Solo Lushta non segnava. Sembrava che per lui le porte avversarie fossero chiuse a doppia mandata. Il pubblico aveva colto questo singolare fattore negativo e anche la stampa ne parlava, non senza una spolverata di irritazione.
Un giorno, un big delle cronache sportive, Carlo di Nanni, raccolse, tra il serio e il faceto, la delusione dei tifosi e scrisse: «… quando Lushta segnerà, se ne cadrà lo stadio». Incredibile a dirsi, la domenica successiva il Napoli affrontò il Bari al Vomero e segnò finalmente Lushta. Fu un attimo: la palla in rete, la folla in tripudio e una parte della tribuna crollò. Si contarono 110 feriti, per fortuna non gravi.”
Riza Lushta, lo jugoslavo
Lushta continuò la sua carriera in giro per il paese e anche in Francia, vestendo le maglie di Alessandria, Cannes, Siena, Forlì e Rapallo. Nell’ottobre 1979 fu intervistato dal giornalista Dante Grassi per “Hurrà Juventus ” come riportato su Tuttojuve.com. Rileggere quell’intervista con gli occhi di oggi lascia abbastanza sorpresi. Il 63enne parla delle sue origini:
“Innanzitutto Riza Lushta, che trovo al circolo di Galleria San Federico, tiene a precisarmi com’egli non sia affatto di origine albanese, come invece si era sempre pensato, bensì soltanto proveniente dall’Albania, dove ancora nel 1939 figurava nei ranghi dello Sport Club Tirana prima di approdare al Bari. […]
Ma allora, di dov’è esattamente? Chiedo a Lushta: “Sono jugoslavo, nativo esattamente di Mitroca (Kosovska Mitrovica n.d.r), e da bambino i miei mi portarono in Albania e di qui è sorto l’equivoco. Pensi che anche Krieziu si diceva fosse albanese e invece anche lui, come il sottoscritto, era originario della Jugoslavia. A Tirana frequentai sino al quarto anno di agricoltura ma la passione per il calcio era al di sopra di ogni cosa, così andai allo Sport Club dove ebbi la fortuna di trovare un ottimo allenatore di scuola ungherese. Poi un amico italiano un giorno vedendomi giocare mi disse: «perché non vieni in Italia a provare?» Cosa che feci quasi subito e finii al Bari.”
Chissà se dietro a queste parole c’era la volontà di prendere le distanze dall’Albania comunista, oppure Lushta si sentiva sinceramente jugoslavo. Certo è che oggi difficilmente una persona di etnia albanese nata negli anni Settanta o Ottanta a Mitrovica si definirebbe jugoslava. Però i tempi cambiano e cambia anche la percezione della propria identità.
Fra Krieziu, Lushta e Boriçi solo quest’ultimo fece ritorno in patria dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Sia Naim che Riza morirono in Italia dopo che l’Albania comunista era caduta, senza tuttavia fare ritorno in patria. Come riporta Giovanni Armillotta sia Krieziu che Lushta furono vicini a vestire la maglia azzurra, ma poi non se ne fece niente. Non indossarono neanche quella albanese: avrebbero potuto partecipare a una competizione balcanica, ma le due squadre di club non li liberarono. Altri tempi.
Oggi a Boriçi è dedicato lo stadio della sua città, Scutari, mentre a Lushta è intitolato un piccolo impianto che si trova sulle rive dell’Ibar nella sua Mitrovica. Sarebbe la casa del Trepça 89 ma, in attesa che finiscano i lavori allo stadio principale, ci gioca anche il Trepça. Nessuno ha mai dedicato uno stadio a Naim Krieziu (anche se nella sua città esiste un’accademia a lui dedicata e inaugurata da Lorik Cana), forse fra Roma e Giacovizza qualcuno potrebbe pensarci.
Autore dei libri “Questo è il mio posto” e “Curva Est” - di cui anima l’omonima pagina Facebook - (Urbone Publishing), "Predrag difende Sarajevo" (Garrincha edizioni) e "Balkan Football Club" (Bottega Errante Edizioni), e dei podcast “Lokomotiv” e “Conference Call”. Fra le sue collaborazioni passate e presenti SportPeople, L’Ultimo Uomo, QuattroTreTre e Linea Mediana. Da settembre 2019 a dicembre 2021 ha coordinato la redazione sportiva di East Journal.