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Arriva in libreria un nuovo volume della collana le “metamorfosi”, Capire i Balcani orientali di Gian Marco Moisé, ricercatore e divulgatore scientifico che da anni si occupa di est Europa.
Un giorno di qualche anno fa sedevo a un tavolo con un mio vecchio conoscente e la sua nuova ragazza. Sapendo che era originaria di una piccola cittadina della Repubblica di Moldova cercai di fare il brillante:
– Ah bene, sai che qualche parola di rumeno la conosco anch’io? – Sì, ma il moldavo è diverso. – In che senso? – È un’altra lingua. – E com’è che se parlo rumeno i moldavi mi capiscono e mi rispondono nella stessa lingua? – Beh, mia madre è insegnante di lingua e dice che è moldavo.
Lì per lì rimasi interdetto, ma con gli anni capii che parlare di lingua in Repubblica di Moldova è complesso. Se sei con determinate persone e sollevi l’argomento lo scontro te lo stai andando a cercare. È un po’ come ingraziarsi un italiano appena conosciuto informandolo delle origini cinesi della pasta. Vero forse, ma non sempre l’argomento genera simpatie nell’interlocutore.
Quando mi sono messo a scrivere il primo capitolo di Capire i Balcani orientali mi sono a lungo soffermato a riflettere su quanta polemica avrebbe generato un dibattito del genere tra i moldavi in Italia. D’altra parte, questo discorso sarebbe servito anche agli italiani per riflettere sui limiti e inesattezze dell’identità collettiva.
La verità è che l’identità collettiva non è altro che un costrutto sociale solo in parte determinato da movimenti spontanei che nascono dal basso. In gran parte l’identità collettiva nasce da politiche precise volute dai governi in dati momenti storici e dalle reazioni delle popolazioni a queste politiche. Il fatto che non abbiamo sufficiente memoria storica è diverso dal dare valore assoluto ad una determinata, oltre che presunta, caratteristica collettiva. Questo dovrebbe essere più che mai chiaro nell’Italia di oggi, dove l’estrema polarizzazione politica si sta orientando verso un revisionismo storico che vorrebbe far prevalere il mito degli “italiani brava gente” sulla complessa e pesante eredità fascista.
Ma me l’ha ricordato anche la Repubblica di Moldova il 16 marzo, quando il governo pro-europeo ha approvato una legge che ha cambiato ufficialmente l’espressione “lingua moldava” in “lingua rumena” in tutti i dispositivi di legge e nella Costituzione. Cosa vuol dire questo, che i moldavi hanno perso la propria lingua come suggeriscono alcuni politici pro-russi nel paese? Chiaramente no. Ciò che dovrebbe suggerire è che l’identità collettiva, oltre che essere un costrutto sociale, è uno spazio di lotta politica. L’ignavia non è prevista in società polarizzate, perché cedere terreno significa lasciare all’avversario il potere di definire una collettività, che di per sé non può essere circoscritta da nessuna definizione.
Non fraintendetemi, non voglio far scadere il discorso in retorica sofistica, tutto all’opposto. Voglio far notare quanto il confronto politico si basi su narrazioni. Quanto queste narrazioni siano fedeli alla verità non è importante per il loro prevalere. Piuttosto, quanto siamo disposti a far prevalere una narrativa su un’altra definisce il nostro orientamento politico. Ma per capire i Balcani orientali (e non solo) servono gli strumenti linguistici e socio-politici per poter accedere alla verità, che per sua natura è complessa, e in sé contiene diversi aspetti di narrazioni politiche concorrenti. E quindi riconoscere che essere italiano nel 2023 significa essere cittadino di uno Stato e non membro di un gruppo etnico non solo equivale a una comprensione complessa della società in cui viviamo, ma orienta verso determinate scelte politiche.
Con la ragazza dell’incipit non ci saremmo mai potuti capire: il moldavo non è che un dialetto del rumeno. Dal punto di vista linguistico non c’è dibattito sull’argomento: stesse parole, stessa grammatica, stessa lingua. Ma lei mi ha dato una risposta politica volta a creare la narrativa di una nazione distinta dai rumeni, con una storia e un’eredità culturale a sé stanti. Quanto questa narrazione fosse consapevole nella mia interlocutrice non sta a me giudicare. Ma se cercate gli strumenti per accedere a questa consapevolezza, e soprattutto, se volete approfondire come mai il rumeno è lingua di Stato in Repubblica di Moldova mentre il moldavo è la lingua ufficiale in Transnistria, vi tocca comprare il libro. Non ve lo posso certo raccontare in seicento parole.
Capire i Balcani orientali di Gian Marco Moisé, Bottega Errante Edizioni, 2023.
Ricercatore e divulgatore scientifico, esperto in relazioni internazionali, scienze politiche e dell'area dello spazio post-sovietico con un dottorato conseguito alla Dublin City University. Oltre all’italiano parla inglese, francese, russo, e da qualche mese studia romeno.