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Dalla collina del monastero di Khor Virap, in Armenia, si distinguono chiaramente i minareti delle moschee di Aralık, un centro abitato in territorio turco situato a non più di 3-4 chilometri di distanza. Da una rapida ricerca su Google Maps, si evince però come per viaggiare tra questi due luoghi così vicini sia necessaria una deviazione di quasi 400 chilometri attraverso la Georgia. Se i confini sono normalmente luoghi di divisione, ma anche di incontro e di mescolanze, la frontiera tra Armenia e Turchia, chiusa dal 1993, mantiene solo la prima di queste caratteristiche.
Dal genocidio armeno al conflitto del Nagorno-Karabakh
Nonostante Ankara sia stata una dei primi paesi a riconoscere l’indipendenza dell’Armenia nel 1991, i rapporti tra i due paesi si deteriorano rapidamente. Le vittorie armene ai danni dell’alleato Azerbaigian nel primo conflitto del Nagorno-Karabakh, portarono infatti il governo turco alla decisione di chiudere il confine.
Dopo trent’anni, la situazione non è cambiata. Questa frontiera rimane il simbolo della relazioni inconciliabili tra Armenia e Turchia, divisi dalla memoria del genocidio armeno: le deportazioni ed eliminazioni di armeni perpetrate dall’Impero ottomano tra il 1915 e il 1916, che causarono circa 1,5 milioni di morti. Il governo turco rifiuta di riconoscere tali eventi come genocidio, mentre in Armenia la memoria collettiva degli stessi rimane viva, visto che non c’è famiglia che non annoveri almeno una vittima tra le sue file.
Nei pressi del confine ci sono due luoghi che ricordano costantemente agli armeni del proprio tragico passato. Il primo è il monte Ararat, la montagna simbolo dell’Armenia. Pur essendo visibile da tutta Erevan, le due cime dell’Ararat sono collocate in territorio turco. Similmente, il sito archeologico dell’antica città armena di Ani, con le sue mura e le sue chiese, si trova letteralmente sul confine tra Armenia e Turchia, ma dal lato turco della frontiera chiusa.
Il confine turco-armeno tra passato e futuro
Lo stato attuale delle cose consente di fare un balzo nel passato. Durante la guerra fredda, questo era uno dei pochi confini diretti tra un paese membro della Nato e l’Unione Sovietica. Le infrastrutture dell’epoca – torri di osservazione, filo spinato e basi militari – ormai un retaggio del passato in Europa, sono ancora attive al confine tra Armenia e Turchia, forse un monito per il nostro futuro?
Esiste però anche un passato diverso, fatto di unione e commercio. Nel biennio in cui il confine rimase aperto tra il 1991 e il 1993, i movimenti transfrontalieri erano intensi. L’Armenia, alle prese con la distruzione causata dal terremoto di Spitak (1988) e alla catastrofe economica comune ai paesi emersi dal crollo dell’Unione Sovietica, si apriva al mondo esterno.
Luogo simbolo di questo periodo è la ferrovia che connetteva la città armena di Gyumri a Kars, dalla parte turca del confine. Mentre le stazioni di Gyumri e Kars ancora fremono di attività, quella di Akhuryan, un villaggio sulla frontiera è caduta in disuso. Ciò nonostante, a distanza di trent’anni dalla sua chiusura, i vecchi dipendenti delle ferrovie, ormai in pensione, aspettano ancora la sua riapertura. Le recenti discussioni sulla normalizzazione delle relazioni tra Armenia e Turchia potrebbero non rendere vana questa lunga attesa.
Alessio Saburtalo è uno pseudonimo. L'autore che vi si cela si occupa principalmente di Caucaso con sporadici sconfinamenti in Russia e Asia Centrale. Saburtalo è un quartiere di Tbilisi.