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Celebrazione è un romanzo breve di Damir Karakaš, giovane autore croato già conosciuto in Italia grazie alla raccolta Memorie della foresta. Entrambi i romanzi sono editi da Bottega Errante Edizioni, nella traduzione dal croato di Elisa Copetti.
In poche pagine l’autore condensa le vicende di tre generazioni, che attraversano due guerre e tanta miseria, affrontando decisioni difficili che segnano il loro destino. Le vite dei personaggi sono sempre intimamente legate alla quotidianità di un piccolo villaggio ai margini della foresta della Lika, dove la natura e i suoi abitanti regolano il ritmo degli esseri umani.
La Lika è una regione della Croazia che si trova tra l’isola di Pago e la Bosnia ed Erzegovina, attraversata dalle Alpi Bebie, sulle quali svetta il monte Velebit. È l’area dei meravigliosi laghi di Plitvice, che rendono alla perfezione l’idea di quanto la natura qui sia ricca e quanto siano suggestivi i suoi paesaggi.
È una zona con una densità abitativa molto bassa, le città e i villaggi sono piccoli, e l’ambiente è dominato da una natura ancora per lo più incontaminata: mare, laghi, monti verdissimi. Proprio in questo territorio, dove anche lui è cresciuto, l’autore ambienta le sue storie.
I protagonisti si muovono nella foresta, disinvolti, conoscono ogni tronco, ogni foglia, ogni fruscio. Sanno bene come orientarsi ogni volta che la luce cambia. Procedono sicuri nei verdeggianti boschi della Lika e passeggiano nella storia.
Le storie di tre generazioni si intrecciano tra i rami delle foreste della Lika
Il romanzo si snoda in quattro episodi e presenta le vicende di tre generazioni di contadini che abitano in un piccolo villaggio circondato dalla foresta. Lo stretto legame con la natura e in particolare con il bosco è l’elemento essenziale di ciascuna delle storie: la foresta nasconde, protegge, diventa scenario di scelte complicate, di addii, ma anche di piacevoli incontri e contatti con le persone amate. Per raggiungere la città, il luogo lontano in cui accade la storia con la S maiuscola, semplicemente ci si incammina a piedi attraverso la foresta; per gli abitanti di questa piccola realtà agricola non ci sono strade o mezzi di trasporto alternativi.
La vita contadina dei primi decenni del Novecento, difficile e faticosa, abbraccia in questo romanzo la storia della Croazia: la nascita dello Stato Indipendente Croato, l’ascesa degli ustascia dal 1941, la vittoria dei partigiani nel 1945 e la creazione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia.
La lettura di Celebrazione lascia ampio spazio all’immaginazione: è come se le pagine stesse proiettassero colori e giochi di luce, dando forma alle immagini descritte dall’autore. Ma oltre alla vista sono sollecitati anche gli altri sensi: i rumori della foresta: il verso degli uccelli, i segnali che altri animali si scambiano, il fruscio delle foglie. Odori e profumi: di muschio, di pioggia e di tronchi seccati dal sole. La sensazione della pioggia sulla pelle, le pietre calde di sole, la corteccia ruvida e bagnata. Ci si sente completamente immersi nella natura, selvatica e sempre salvifica.
La prima parte del testo ha come protagonista un uomo che si nasconde nella foresta: è in simbiosi con essa, si sente protetto e al sicuro. E intorno a lui brulica un mondo di rumori e profumi che sembrano seguire il flusso dei suoi pensieri e delle sue vicissitudini.
Stava disteso sulla coperta che negli ultimi giorni aveva assorbito il lezzo di foglie marce e di terra umida: sotto le sopracciglia folte osservava soprattutto il villaggio, poi la foresta variopinta sopra la sua testa, notando in lei sempre meno colori. A volte con la coda dell’occhio fissava la sfera luccicante del sole, calcolando con lo sguardo il tempo che non era mail trascorso tanto lentamente; giaceva sempre nello stesso punto, sentendo nelle narici l’odore acre della resina colata, e cominciava a infastidirlo ogni cosa che intorno a lui si muoveva: il sole, il vento, gli uccelli che con i loro suoni d’ali spesso attraversavano in volo radente il bosco.
Nell’ultima parte del romanzo tre generazioni di uomini camminano insieme nella foresta. Il nonno ormai anziano che sta per spegnersi, il figlio adulto che l’accompagna e gli dà conforto e sostegno verso la fine, e il nipote, ancora bambino, che li segue, convinto di non essere visto, e comprende con il suo intuito naturale quello che sta per accadere.
Guarda il bambino, che si nasconde come se cercasse costantemente un appoggio sotto ai piedi. «Vieni qui, forza!», grida e il bambino ride di felicità, inghiotte il sorriso e salta e corre con brevi piccoli passi. L’uomo risistema meglio il vecchio sulla schiena, sentendo sulla nuca il suo respiro pesante. Camminano e nel biancore del giorno lentamente conquistano lo spazio, muovendosi attraverso il rigoglio della foresta fitta e verde, ricca di abeti neri, di betulle cineree e di giovani carpini, respirando il respiro della foresta.
Damir Karakaš: “La fatica è un talento”
Abbiamo intervistato Damir Karakaš per conoscerlo meglio e avvicinarci ai meccanismi della sua scrittura, e alle esperienze che modellano il suo modo di comunicare e che lo guidano ad addentrarsi nella foresta, sia in senso fisico sia figurato.
Il romanzo Celebrazione, e anche la raccolta precedente Memorie della foresta, mostrano un legame molto intimo con l’ambiente, la foresta. Quanto sono profonde queste radici? Si tratta di qualcosa legato alla tua infanzia e alla tua crescita, oppure è una riscoperta successiva?
In Memorie della foresta scrivo dell’infanzia, che è un periodo molto importante per ogni individuo, perché è allora che creiamo la nostra prima immagine del mondo. Non è stato però facile scrivere questo libro, perché era necessario trovare il modo di entrare nel mondo metafisico dei bambini, nel mondo intimo dei sentimenti e della sensibilità.
Il romanzo Celebrazione è stato per me pieno di sfide perché ho messo in primo piano qualcuno che apparteneva all’esercito del diavolo, ho cercato di entrare nei labirinti della coscienza di quella persona, ho descritto in 120 pagine tre generazioni e due guerre, cosa che sembra impossibile, ma Faulkner diceva anche che la letteratura è un tentativo di raggiungere l’impossibile. Entrambi i romanzi sono ambientati nella regione montuosa della Lika, famosa per i lupi, gli inverni rigidi e il noto scienziato Nikola Tesla, e la foresta è dominante.
Con noncuranza rispetto allo scopo o alla destinazione, la strada da percorrere per i personaggi del tuo romanzo passa sempre attraverso la foresta. La foresta nasconde, protegge, guida, conduce. La foresta come allegoria: che cos’è per te, per la tua formazione come individuo?
Sono cresciuto nella foresta, da bambino vedevo spesso orsi e lupi. Lì non ci sono scuole, né chiese, né negozi, ed è lì che finisce la strada che porta al mio villaggio. E non c’è altro, puoi solo andare nella foresta e da poche altre parti. Qui si lavorava dalla mattina alla sera, la domenica, nei giorni festivi, perché era necessario per sopravvivere, e chi non è capace di vivere deve morire, diceva mio padre. Quindi la foresta è stata molto importante per la mia formazione.
Una scrittura realista, e soprattutto sensoriale. Il romanzo evoca in modo molto marcato le sensazioni fisiche. L’odore della foresta e della terra, la pioggia che bagna i vestiti che si incollano alla pelle, il sole che scotta sulla nuca. Il verde accecante, la luce che cambia, le sfumature del cielo. La conoscenza dettagliata e minuziosa dei percorsi nella foresta, orientarsi riconoscendo tronchi e foglie, rocce e radure. Cosa può raccontarci delle sue sensazioni?
È difficile parlare di sé, dei propri sentimenti, ma per quanto riguarda la letteratura bisogna lavorare molto, sottolineo sempre che anche la fatica è un talento, che bisogna leggere molto, lavorare su se stessi, perché ogni sforzo porta ad una certa conoscenza, ma nella scrittura c’è anche un’esperienza molto importante, perché ciò che non sperimentiamo attraverso noi stessi non è così profondo.
Al giorno d’oggi gli scrittori spesso non hanno esperienza di vita, mentre io da giovane ho vissuto una brutta guerra in prima linea, mi sono sposato, ho vagato per le capitali del mondo senza un soldo in tasca, sono diventato padre, ho divorziato e forse la cosa peggiore è stata proprio quel divorzio, perché ogni rottura con una persona che ami è una specie di morte. Come dicono alcuni, la guerra fa schifo, ma in essa si può morire solo una volta, in pace si può morire più volte, ed è quello che è successo a me.
Veniamo agli eventi storici e politici: è più frequente che questi siano protagonisti, mentre l’ambiente circostante è sullo sfondo. Nel tuo romanzo la foresta e il bisogno di essa nutrito dall’uomo è sempre protagonista, è sempre il nodo intorno al quale si dipana ogni altro evento. Come hai creato tutto questo?
Mi sveglio con la mia scrittura e vado a dormire con lei. Spesso la gente mi chiede quando scrivo: scrivo quando mangio e quando dormo e non faccio altro, scrivo e basta. Un testo di cento pagine può richiedere tre o quattro anni, ma voglio scrivere come diceva Čechov: essere meschino con le parole e largo con i pensieri. Non mi piacciono le chiacchiere in letteratura e talvolta mi sembra che la mia letteratura sia come una lotta con un gran numero di demoni contro i quali ho armi limitate: ogni pallottola deve finire nel cuore.
Vieni descritto come “scrittore della propria terra”: come percepisci questa affermazione e che significato ha per te? Ti riconosci in questa definizione?
Tutti i romanzi che ho scritto rappresentano una sorta di tumulto d’identità, ma la cosa più importante per me è che i miei libri siano dalla parte dell’umanità. Sono nato in Croazia, nei Balcani, questo sicuramente mi ha determinato in molte cose della vita, ma il desiderio di piacere e di appartenere non è mai stato qualcosa che mi ha attratto o interessato. Ciò che desidero è scrivere e realizzare così il mio destino di scrittore. Perché per me scrivere è questo, non una professione, ma un destino.
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Dal mondo sensoriale alla leggenda
Dalle parole di Karakaš possiamo percepire nitidamente il suo legame con la foresta, con le sue radici che sfiorano e accarezzano le stesse radici degli alberi tra i quali è cresciuto. Una vita intensa, che trae origine dalla foresta. E lo slancio profondamente umano di voler trasmettere, comunicare il proprio vissuto e quello della propria terra arriva come una vocazione, una missione. Scrivere è il destino di Damir Karakaš.
Nella postfazione di Miljenko Jergović emerge l’evoluzione della scrittura dell’autore e la sensazione che il suo messaggio e il suo mondo interiore trasmettono a chi legge le sue opere:
Dal mondo vivo dei suoi romanzi precedenti, da un’infanzia materiale, sensoriale e sensibile […], Karakaš è passato alla leggenda, all’allegoria, alla premonizione degli eventi. Non ha mai scritto in modo più veritiero, sebbene sia difficile dire di che cosa parli questa sua verità. Il lettore lo sa e lo sente, ma non appena cerca di esprimerlo, ciò che dice d’un tratto non lo è più.
Appassionata di Est Europa e in particolare di ex Jugoslavia. Studia mediazione culturale presso l’Università degli Studi di Udine, approfondendo la conoscenza del serbo-croato e del russo. Ha partecipato (e lo farà ancora) a diversi progetti europei nei Balcani.