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La Nuova via della seta e la presenza cinese nei Balcani

Quando alla fine del XIII secolo Marco Polo intraprese il suo famoso viaggio verso la Cina, i Balcani non vennero per nulla tenuti in considerazione (la sua prima tappa fu Acri, in Palestina). A quei tempi, infatti, la regione balcanica si trovava ai margini delle più importanti rotte commerciali, specialmente per la via della seta che collegava l’Asia Centrale e il Mediterraneo. Quasi ottocento anni dopo, Marco Polo non avrebbe invece altra scelta che partire proprio dai Balcani. La Nuova via della Seta, come è stata ribattezzata l’iniziativa economica lanciata da Pechino nel 2013, considera infatti la regione come uno snodo fondamentale dei commerci e dei collegamenti con l’Europa. Con importanti ricadute in termini economici e politici.

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La Nuova via della seta

L’iniziativa si inserisce in una più ampia strategia cinese, sia a livello regionale che globale. Pechino è diventata nell’ultimo decennio tra i più importanti partner commerciali e investitori dei paesi dei Balcani, in particolare di quelli non aderenti all’Unione Europea (Serbia, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro, Macedonia del Nord, Albania) a esclusione del Kosovo la cui indipendenza non è riconosciuta da Pechino.

La presenza cinese ha visto una significativa sistematizzazione proprio con il lancio della Belt and Road Iniziative (BRI), nota anche come Nuova via della seta. Tale strategia ha stimolato sostanziosi investimenti, specialmente nel settore infrastrutturale, con l’obiettivo di favorire la connettività della regione e accelerare così il trasporto delle merci verso l’Europa centrale. Un progetto che rilancia ulteriormente le ambizioni globali cinesi e che unisce processi economici e rapporti diplomatici all’interno di una nuova cartografia delle relazioni geopolitiche.

Mappa della Nuova via della seta (MERICS)

Nel discorso di lancio del settembre 2013, il leader cinese Xi Jinping sottolineava la volontà di avviare un nuovo percorso di sviluppo economico, basato sulla sinergia tra leadership cinese e interessi nazionali, sull’intensificazione della circolazione di persone, beni e competenze e sulla facilitazione degli scambi economici e finanziari. Dal punto di vista dei paesi coinvolti, l’ammodernamento infrastrutturale favorisce una maggiore integrazione economica della regione nelle catene del commercio globale, riducendo così in maniera significativa l’isolamento e la marginalità economica.

Un primo, significativo, tentativo di penetrazione cinese era già stato compiuto nel 2012 con il lancio di un’altra iniziativa nota come “16+1”, un meccanismo di cooperazione con
i paesi dell’Europa sud-orientale poi diventati 17 con l’inclusione della Grecia nel 2019 per poi ridursi a 14 con il ritiro dei paesi baltici.

Nel summit svoltosi nel 2014 nella capitale serba Belgrado, l’allora primo ministro cinese Li Keqiang sostenne la creazione di una linea di credito da 10 miliardi volta a sostenere progetti di cooperazione. Tali progetti sarebbero stati finanziati per l’85% da prestiti della Export-Import Bank of China (EXIM Bank) mentre il restante 15% sarebbe arrivato dai singoli paesi coinvolti.

I più importanti investimenti cinesi nei Balcani

Tra i progetti infrastrutturali più importanti, sia in termini economici che politici, va segnalato l’ammodernamento dei 350 km della ferrovia Budapest-Belgrado, con il raddoppiamento della linea già esistente e una maggiore velocità di viaggio.

A dimostrazione di come i rapporti della Cina con Ungheria e Serbia godano di ottima salute, va ricordato come i due paesi siano stati gli unici, insieme alla Francia, toccati dal leader cinese Xi Jinping nella sua ultima visita in Europa nel maggio scorso.

Lanciata nel novembre 2013 al summit di Bucarest dell’iniziativa 16+1, la linea copre l’ultimo tratto del lungo corridoio che va dal porto del Pireo in Grecia, già in mano per il 67% alla COSCO (China Ocean Shipping Company), fino in Europa Centrale. I costi complessivi del progetto sono stati pari a circa 3 miliardi di euro e ha visto la partecipazione della China Railway International (CRI) e la società russa RDZ International, segno del forte interesse esercitato dall’infrastruttura.

Degna di nota anche la vicenda legata alla costruzione del ponte che collega il sud della Dalmazia (Croazia) con la penisola di Pelješac permettendo così all’exclave di Dubrovnik di essere connessa alla rete autostradale nazionale evitando di attraversare il confine (24 km) nella città bosniaca di Neum.

Il progetto ha rappresentato forse il caso più significativo della cooperazione tra UE e Cina nella regione balcanica. La prima ha infatti finanziato, tramite la Commissione Europea, 357 milioni di euro sui 420 totali previsti dal progetto, ma a costruire il ponte è stata una ditta statale cinese, la China Road and Bridge Corporation.

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Il caso montenegrino

Nel 2014 il governo montenegrino, allora guidato dall’attuale presidente Milo Đukanović, concordò con la China Exim Bank un prestito di quasi un miliardo di dollari per finanziare i primi 41 km, dei 165 complessivi, dell’autostrada Boljare-Bar. Alla fine, il progetto risultò essere tra i più costosi al mondo: oltre 20 milioni di dollari per km. Un aumento causato dalla necessità di costruire tunnel e viadotti (in totale 130) per far fronte alle caratteristiche morfologiche del territorio.

Quell’anno il debito estero del Montenegro era pari al 59,6% del Pil mentre nel 2020 era quasi raddoppiato, raggiungendo il 104,8% (Banca Mondiale, 2021). Secondo i dati rilasciati dal governo montenegrino, nel 2019 la Exim Bank possedeva crediti pari a 640 milioni (circa il 16% del debito totale). Il paese era stato travolto da quella che molti analisti avevano definito “trappola del debito”.

Ponte Moračica (960 metri) tra Podgorica e Kolasin (Montenegro) costruito dalla China Road and Bridge Corporation (Highestbridges.com)

Colpita duramente dalla pandemia e dal crollo degli arrivi turistici, l’economia montenegrina ha vissuto momenti di ulteriore difficoltà. Una crisi che ha avuto gravi ripercussioni proprio sulla capacità di far fronte agli impegni nei confronti di Pechino.

A marzo 2021 il vice primo ministro Dritan Abazović chiese all’UE di rifinanziare il prestito, così da evitare un ancora più stretta dipendenza dalla Cina. Le istituzioni europee, da sempre contrarie al progetto, si rifiutarono di accogliere la richiesta. La vicenda si concluse con il raggiungimento di un accordo tra il governo montenegrino, la banca francese Société Générale, la tedesca Deutsche Bank e le statunitensi Merrill Lynch e Goldman Sachs che si sono impegnate a ripagare il debito con un abbassamento del tasso di interesse per il Montenegro. Un’operazione per rendere più sostenibile il rimborso e soprattutto impedire alla Cina di mettere le mani su alcune asset strategici del paese.

Il settore energetico

Ad aver attratto l’interesse di Pechino è stato soprattutto il settore delle materie prime di cui la Cina ha sempre più fame, in particolare prodotti in ferro e altri metalli e prodotti chimici. Nel 2022 le esportazioni montenegrine verso la Cina, ad esempio, hanno riguardato per quasi il 90% l’alluminio e suoi derivati, mentre i prodotti più esportati dall’Albania sono stati cromo e rame, estratti direttamente da aziende cinesi presenti nel paese.

In Bosnia ed Erzegovina, dove il governo ha recentemente bloccato una nuova unità operativa della centrale termoelettrica a carbone nei pressi di Tuzla da parte di due aziende cinesi, il primo grande investimento ha riguardato la costruzione di un parco eolico a Ivovik per un costo di circa 160 milioni di euro.

Complessivamente, tra il settore dell’energia rinnovabile e delle infrastrutture, la Cina ha investito negli ultimi anni oltre 3,5 miliardi di euro nel paese.

Una vista aerea del parco eolico di Ivovik in Bosnia ed Erzegovina (PowerChina)

In Albania, la società Geo-Jade Petroleum ha acquisito nel 2016 la società canadese Bankers Petroleum per 575 milioni di dollari e con essa il controllo di due giacimenti petroliferi, Kuçova e Patos-Marinëz, quest’ultimo il più grande del paese. L’anno successivo la China Everbright ha invece acquistato i titoli di gestione dell’aeroporto “Madre Teresa” di Tirana, poi passati nuovamente in mano albanese.

La Serbia come testa di ponte

Tra i paesi dello spazio post-jugoslavo, quello che può vantare i rapporti più solidi con Pechino è senza dubbio la Serbia. Non solo per volumi di investimenti e scambi commerciali ma anche per il supporto politico garantito dalla Cina riguardo la questione kosovara, con il non riconoscimento dell’indipendenza di Pristina da Belgrado. Negli ultimi anni i rapporti tra i due paesi si sono intensificati sempre di più, grazie anche alla forte sintonia tra il presidente serbo Aleksandar Vučić e Xi Jinping.

Un’alleanza che si è mostrata in tutta la sua forza anche durante la crisi pandemica del 2020. Alla decisione europea di bloccare le esportazioni di materiale sanitario verso i paesi non membri, Pechino rispose immediatamente mandando aerei carichi di materiale verso la Serbia e gli altri paesi della regione. Una strategia che è stata soprannominata “mask diplomacy”. Non a caso, nella sua polemica con l’Europa, il presidente Vučić sostenne che “solo la Cina ci può aiutare”. Un messaggio chiaro, che sottolinea come i legami tra i due paesi siano ormai strutturati e difficili da scalfire.

Dal punto di vista economico, gli investimenti cinesi in Serbia hanno riguardato, oltre alla già citata autostrada Belgrado-Budapest, il settore energetico e tecnologico. Nel 2016, la compagnia cinese Hesteel ha acquistato l’acciaieria di Smederevo, fino ad allora di proprietà della US Steel. Ad oggi, l’acciaieria è la terza industria per esportazioni di tutto il paese.

Negli ultimi anni, altri progetti hanno riguardato la miniera di rame nella città di Bor con l’acquisto da parte della Zijin Mining e la costruzione di una nuova unità della centrale elettrica a carbone Kostolac B, con il coinvolgimento della China Machinery Engineering Corporation (CMEC), per un valore di circa 700 milioni di euro. Ancor più consistente (circa un miliardo di euro) l’investimento destinato alla costruzione di una fabbrica di pneumatici per veicoli a Zrenjanin da parte della società cinese Linglong.

Acciaieria di Smederevo (Sinosure)

Nel luglio 2021 è stato inoltre approvato dal governo serbo la costruzione a Belgrado del Mihajlo Pupin IT park, un parco altamente tecnologico che copre un’area di 300 ettari per un costo complessivo di circa 250 milioni di euro. Il parco sorge a pochi passi dall’omonimo ponte Mihajlo Pupin, costruito nel 2014 dalla China Road and Bridge Corporation, ed è diviso in tre aree: l’International Commercial Center, l’Industrial Park e l’High-Tech Park. Il ministro serbo dell’Innovazione e dello sviluppo tecnologico Nenad Popović, in occasione della presentazione del piano, ha presentato il Mihajlo Pupin Industrial Park come “la zona economica più innovativa e tecnologicamente avanzata d’Europa che farà di Belgrado una Shenzhen europea”.

Il progetto dell’IT Park segue quelli già lanciati negli anni scorsi da Huawei. Nel 2020 l’azienda cinese ha concluso i lavori nella capitale serba per un hub di trasformazione digitale. L’azienda ha inoltre fatto emergere l’intenzione di lanciare nella città serba di Kragujevac, già sede degli impianti FCA, un data center regionale di riferimento per tutta l’Europa sud-orientale e il terzo più grande in Europa dopo quelli in Germania e Paesi Bassi.

Lo scorso 7 maggio, in occasione del 25° anniversario del bombardamento Nato dell’ambasciata cinese a Belgrado, il presidente cinese Xi Jinping ha ricordato come “la Serbia sia il primo partner di libero scambio della Cina nell’Europa centrale e orientale. L’anno scorso, la Cina è stata la principale fonte di investimenti esteri della Serbia e il suo secondo partner commerciale”.

Critiche e difesa dell’ambiente

Tuttavia, al di là della spesso entusiasta accoglienza dei governi nazionali non sono mancate negli ultimi anni critiche e preoccupazioni. Per alcuni, la politica adottata da Pechino altro non è che una nuova forma di “colonialismo economico” che aggrava ulteriormente la dipendenza dai capitali stranieri, soprattutto non europei. Un’altra critica riguarda l’impatto ambientale dei progetti approvati. Sempre più spesso infatti, abitanti e organizzazioni ambientaliste denunciano i rischi per la salute, lvaumento dell’inquinamento e la distruzione dei territori.

Il sito Just Finance International ha pubblicato nell’aprile di quest’anno una mappatura delle proteste e delle denunce penali contro gli investimenti cinesi in Serbia, Montenegro, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia del Nord e Albania tra il 2014 e il 2024 registrando oltre 100 casi.

Nonostante le controversie, sempre presenti quando si tratta di progetti con enormi ricadute in termini ambientali e di trasformazione del territorio, la prospettiva di una Cina sempre più tra i leader regionali non sembra essere messa in discussione. Una presenza che non rischia, ad oggi, di esser minacciata dal processo di adesione all’Unione Europea dei paesi della regione. Al contrario, visto l’impegno economico messo in campo, Bruxelles e Pechino dovranno presto trovare una convergenza per evitare di correre il rischio di una, ulteriore, guerra economica e commerciale.

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Marco Siragusa
Marco Siragusa

Dottore di ricerca in Studi internazionali e giornalista, ha collaborato con diverse testate tra cui East Journal e Nena News Agency occupandosi di attualità nell’area balcanica. Coautore dei libri “Capire i Balcani Occidentali” e “Capire la Rotta Balcanica”, editi da Bottega Errante Editore. Vice-presidente di Meridiano 13 APS.