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Dejan Enev, classe 1960, è uno scrittore e giornalista bulgaro, autore di centinaia di racconti, decine di poesie e oltre duemila tra reportage, articoli e interviste, usciti su diversi quotidiani bulgari. Magistralmente tradotto da Giorgia Spadoni, approda per la prima volta sulla scena letteraria italiana con Circo Bulgaria, una raccolta di 62 racconti pubblicata da Bottega Errante Edizioni. Ambientati nella Bulgaria degli anni Ottanta, Novanta e primissimi Duemila, questi episodi ci narrano di un periodo storico particolare, quello a cavallo tra gli ultimi decenni di comunismo e la lenta e difficile transizione del paese verso la democrazia.
Dejan Enev non è stato però sempre scrittore, né tantomeno giornalista, ma si è anzi cimentato in diverse professioni, tra cui imbianchino, insegnante e persino guardiano e assistente notturno negli ospedali, fatto che emerge in maniera prorompente e talvolta sinistra proprio nei racconti di Circo Bulgaria.
Quelle zolle di terra urbane, quei vicoli asfaltati a metà, tappezzati di immondizia, quei fogli di giornale che volavano verso di noi; quel materasso putrido; quella cucina elettrica abbandonata – erano tutti ottimi sfondi per i titoli di testa… (Dal racconto Niki-Nikola)
Da italo-bulgara cresciuta perlopiù in Italia, spesso mi sono domandata: se chiedessimo a un pubblico di lettori italiani di dirci quali sono le prime cose che vengono loro in mente pensando alla Bulgaria, cosa risponderebbero?
Probabilmente qualcuno potrebbe pensare al muro di Berlino e al blocco comunista; qualcun altro alla migrazione clandestinadella rotta balcanica; un altro ancora agli stereotipi legati un po’ a tutti i paesi dell’area, e dunque al fare a botte, ai brutti ceffi, alle tute acetate Adidas e alla piaga dell’alcolismo.
Qualcuno dall’animo più sensibile potrebbe pensare alla Valle delle rose, giacché la Bulgaria è uno dei maggiori esportatori di olio e profumo di rose al mondo, oppure alla chiesa ortodossa, con le sue icone, le guglie dorate e i grassi pope dalle vesti nere e la barba lunga. Forse, magari, si potrebbe pensare ai canti popolari bulgari e all’alfabeto cirillico, così simile a quello greco, e di cui si dice sia nato proprio in terra bulgara.
E infine, qualcuno potrebbe pensare allo spionaggio dei comunisti in Occidente durante la Guerra fredda, e con esso, al noto ‘caso dell’ombrello bulgaro’, ovvero di quando lo scrittore Georgi Markov, notoriamente dissidente, venne ucciso dai servizi segreti bulgari, in collaborazione con il sovietico KGB, a Londra, alla fermata dell’autobus, proprio con un ombrello.
Qualunque di queste cosa si possa pensare, è tutto giusto, e forse anche tutto sbagliato. Perché in effetti, cos’è poi la Bulgaria? Uno staterello di circa 7 milioni di abitanti, attraversato dalla catena montuosa dei Balcani, con 1 milione di diaspora sparsa per il mondo. È l’ultimo Stato di confine dell’Unione Europea, che la separa dall’odierno conflitto in Ucraina e dall’estraneo Oriente della Turchia, sull’altra sponda del Mar Nero.
Un piccolo Stato di lingua slava, con una storia millenaria, dai fasti dell’Impero bulgaro medievale ai dolorosi secoli di dominazione ottomana, fino ad arrivare, come sappiamo, al regime comunista di Todor Živkov, l’unico capo e leader del Partito comunista bulgaro, in carica dal 1954 al 1989, quasi dall’inizio alla fine di quella fase storica, di cui invece in Occidente, e in particolar modo in Italia, si è quasi all’oscuro.
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Tante piccole Bulgarie
Tutte queste Bulgarie, e tante altre Bulgarie ancora più piccole e sconosciute, sono le stesse di cui ci narra Dejan Enev nei suoi racconti.
Le Bulgarie di Dejan Enev hanno però qualcosa di diverso, di più intimo e personale: hanno per esempio volti di uomini e donne impegnati a diventare scrittori, poeti, ballerine e burattinai; volti di bambini sporchi di marmellata di ciliegie, che imparano a parlare, a camminare e iniziano a frequentare la scuola; volti di ragazzi e ragazze che vivono i primi amori al ballo di maturità, o altri che finiscono la leva militare e tornano a casa, oppure muoiono, e casa non la rivedono mai più; volti di amorevoli nonne che preparano dolci pasquali e anziani soli con pensioni scarne, che lanciano molliche di pane ai piccioni tra le panchine di Sofia, oppure la spendono, quella pensione, in una notte d’amore al bordello, o magari con una prostituta zingara al parco.
Quasi barcollava quando finalmente raggiunse l’ingresso; e lì crollò; graffiò il muro; passo dopo passo strisciò verso il suo amore e, come fosse in un obitorio, sollevò le lenzuola dai volti dei suoi ricordi morti per vedere realmente le loro iridi marce e la lingua viola, sporgenti. E il suo amore si difendeva, prendendolo di mira con pezzi di vasi di terracotta, uova marce, civetteria. Il soldato si fermò qua e là sui pianerottoli; le tavole dei comandamenti alle pareti nascondevano nella loro carne consumata il ricordo di centinaia di veglie studentesche antiche e povere. Combatteva come una farfalla a ogni porta, accarezzava le piaghe con la mano, lottava. Alla fine raggiunse la porta di lei; ecco lo zerbino di feltro giallo sbiadito, dove rannicchiato come un cane aveva passato molte ore di fila, tutte con la dolce speranza almeno di vederla… (Dal racconto Il soldatino di piombo)
Nel mosaico di Circo Bulgaria di prostitute ce ne sono in effetti molte, sia povere, squallide e miserabili, che bellissime, attrici, veline e spogliarelliste di alto bordo, che con lo sguardo magnetico e le sode gambe nude ti promettono di farti dimenticare i tuoi problemi, annegandoli in litri di cognac, vodka, e soprattutto rakija, la grappa nazionale per eccellenza, che accompagna tutti i momenti cruciali della vita.
I disperati e le disperate non sono però solo loro, poiché altrettanti sono anche i mendicanti sui logori e distrutti marciapiedi di Sofia. Hanno i piedi neri, vagano con indosso solo un cappotto; portano la barba lunga, i capelli arruffati, e trascorrono le giornate chinati a terra sui sagrati delle chiese, dove vengono fotografati come fenomeni da baraccone da stormi di curiosi turisti giapponesi.
Il mosaico è vasto e illumina migliaia di sfaccettature e profili diversi, dalla miseria umana più estrema, al lusso sfrenato di una notte, in una strana e contorta ricerca di umanità.
Così tanta sofferenza in sei mesi: ma cosa significa “tanta” quando vicino a te ci sono altre persone alle prese con un dolore infinitamente più grande? Come quella donna con il volto sfigurato – beve il suo gin con la cannuccia, però è ben vestita, ma che differenza fa. Come quel vecchio, l’illustre pedone di Sofia, con la biblica barba bianca e una borsa in spalla, un ebreo errante che si trascina tutto il giorno lungo le strade per poi dissolversi lentamente nel buio, la sera, seduto su una qualche sporgenza di pietra, e risorgere all’alba insieme ai più mattinieri – cos’è che ha distrutto la sua vita? (Dal racconto Marionetta)
Tra le storie, particolarmente numerosi sono i personaggi di etnia rom. Chiamati semplicemente ‘zingari’, sono una delle minoranze più popolose e più bistrattate della Bulgaria. Dejan Enev ce li presenta in tutte le versioni possibili: dalle zingarelle mendicanti come Ema, che suona sempre le stesse canzoni alla fisarmonica, alle veggenti che leggono la mano, in entrambi i casi mentre poi aspettano padri e mariti a cui dovranno cedere il ricavato della giornata.
Altri hanno invece mestieri più dignitosi, ma comunque umili, come becchini nei cimiteri di periferia, musicanti d’orchestra ai matrimoni, oppure semplici donne di servizio negli obitori. Anche loro hanno vite complesse, spesso ai margini, per cui la lotta quotidiana per la sopravvivenza è spietata.
Irrazionalità animale
Oltre alla componente romanì, forse ancor più numerosa è quella dei racconti dedicati ai folli: ci sono i matti che urlano per le strade, i matti solitari e soprattutto i matti rinchiusi nei manicomi, tra quelli appena ricoverati, e quelli in libera uscita, quando i parenti, le zie, i padri e le madri li vanno a trovare nello squallore dei corridoi psichiatrici, per trascorrere insieme l’unica ora di libertà.
La follia nei loro occhi, nei loro gesti insensati e violenti, talvolta assume tratti umani, come quando qualcuno dopo vent’anni viene finalmente lasciato libero di andarsene. Altre volte invece quella stessa follia diventa spaventosa e incontrollabile, così che in un giorno come un altro può capitare che un paziente esploda, e in un impeto incontrollato arrivi a colpire a morte l’infermiera di turno quella notte.
È uno scenario strano, ma ogni elemento, finanche gli animali del giardino zoologico, le scimmie arrapate, le tigri spelacchiate, i leoni dei circhi e le cavallette rinchiuse nelle scatole, sembra avere una storia e una sensibilità diversa dalla nostra, per cui tutto è umano.
Il comunismo
La Bulgaria raccontata da Dejan Enev vive una profonda fase di transizione, dagli ultimi decenni di comunismo, a quelli del primissimo e timido capitalismo, anche se la geopolitica rimane solo un elemento di sfondo, che crea una cornice di riferimento alle vicende personali dei singoli personaggi.
Eppure siamo (o siamo stati) nel blocco comunista e gli elementi che ce lo ricordano sono molti, disseminati qui e là: tra le numerose piazza Lenin e vicoli con nomi di patrioti ed eroi russi che compongono la geografia delle città, e i soldati che mentre fanno la leva militare trascorrono le noiose notti di guardia immersi nella lettura de Il placido Don dello scrittore russo Michail Šolochov.
Abbiamo poi i bimbi di prima elementare, con i grembiulini tutti uguali, che vengono fotografati in posa davanti alla statua di Maksim Gorkij, padre del realismo socialista, fino a giovani appassionati di poesie che si cimentano nella trascrizione dei versi di Vladimir Vysockij, tra i più amati cantautori russi di tutta l’Unione Sovietica.
Tutte queste piccole tracce russe e soprattutto sovietiche approdano in Circo Bulgaria, a ricordare il forte ed evidente legame politico con Mosca e con l’Urss, voluto o indesiderato che fosse, ma comunque inequivocabilmente presente.
La morte in “Circo Bulgaria”
Infiniti sono poi gli addii. I personaggi sono vividi e vivi proprio in virtù del fatto che a un certo punto si spegneranno e moriranno. La morte viene vissuta e scavata fino in fondo: dalla morte di un’anziana e gracile nonna, che si era presa cura di noi per tutta l’infanzia, alla morte di un maialino, che da amico delle vacanze estive diventa l’arrosto del banchetto natalizio, a cui niente e nessuno può sottrarlo, nemmeno un bambino che credeva di volergli bene.
Particolarmente intenso è il rapporto con la morte sviluppato nel racconto Obitorio, tra i più lunghi della raccolta, in cui il giovane protagonista si ritrova ad assistere quotidianamente alla fine della vita e delle vite, comprendendo che vi è una sottile differenza che separa i semplici defunti, da quelli che invece sono propriamente ‘morti’, con l’inconscia consapevolezza che:
Le persone sono una roba curiosa […] Hanno così tanta paura della morte. E soffrono così tanto per i loro morti. Ma anche la morte è parte della vita, la parte più lunga. Semplicemente apri la porta e passi di là. Ma così come un uccellino non può dire all’uomo cos’è il volo, neanche i morti possono raccontarci le loro esperienze.
Questa Bulgaria è quindi un circo: un circo di disperati, di puttane e preti, di infermiere e soldati, di becchini, maestre e domatori di leoni, che con i loro gesti cercano di dare un senso al quotidiano scorrere dei giorni e delle loro esistenze. Essi si trascinano per le strade, si ubriacano nei bar notturni di Sofia, si innamorano, si lasciano, si sposano, o semplicemente sognano di piantare alberi di arancio; ma tutti loro, immersi nei loro microcosmi, ci ricordano che niente e nessuno è davvero normale, ma in quelle tante piccole Bulgarie, tutto, a suo modo, lo è.
Bulgara di nascita, ma milanese d’adozione, è una mediatrice culturale, blogger e studiosa che si occupa di Russia, Bulgaria e più in generale dei Paesi Est europei. Dopo la laurea in Mediazione Linguistica e Culturale presso l’Università degli Studi di Milano e alcune esperienze di studio all’estero tra Mosca, San Pietroburgo e Plovdiv, ha scritto per Il Tascabile, Pangea News e MowMag. È ideatrice del canale Instagram @ilmaestroemargherita_ dedicato alla promozione della letteratura e della cultura russa, con l'intento di approfondire la "Cultura" in senso ampio, contro ogni forma di pregiudizio e cancel culture. Collabora inoltre con il canale Instagram @perestroika.it che si propone di presentare e promuovere il cinema russo in lingua italiana.