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“It’s time, it’s time, Stalin promised to send a lot of cognac”
Anche nell’ultimo spettacolare film di Aleksandr Sokurov, Fairytale — Una fiaba (Skazka, 2022), pellicola che è stata peraltro prontamente vietata in Russia, Winston Churchill lo ripete: Stalin gli ha promesso casse di cognac.
Tra leggenda e realtà, è passata alla storia la passione del primo ministro britannico per il distillato armeno che da qualche anno è ammesso solo chiamare brandy (a causa di una controversia con l’Unione Europea, dato che una risoluzione del 2011 prevede che solo il brandy prodotto nel dipartimento francese della Charente possa essere denominato cognac). A Erevan, tuttavia, come anche in molti paesi post-sovietici, il fior fiore della produzione alcolica armena viene ancora chiamato comunemente Cognac, un po’ come il Tocai che in Friuli raramente si sente chiamare Friulano.
La leggenda nasce a Jalta (o forse no)
Secondo il mito, Winston Churchill avrebbe per la prima volta assaggiato il cognac armeno durante la conferenza di Jalta nel febbraio del 1945. Sarebbe stato Stalin a offrirgli un bicchierino di Dvin, un distillato di dieci anni di invecchiamento, una novità appena giunta dall’Armenia intitolata all’antica capitale omonima. A Churchill piacque così tanto che Stalin gli promise un invio mensile di casse di questo cognac a vita. Considerato che, sempre stando alla leggenda, Churchill ne beveva una bottiglia al giorno, non è arduo calcolare quante gliene arrivassero dall’alleato sovietico.
Si dice anche che nel 1949, per i 75 anni di Churchill, Stalin gli inviò una cassa contenente 75 bottiglie di Dvin, cui il britannico rispose: “Peccato che io oggi non stia festeggiando 100 anni”.
Un’altra leggenda, che viene narrata anche ai visitatori della storica fabbrica Ararat a Erevan dalle guide locali, riguarda invece il principale tecnologo dello stabilimento, Markar Sedrakyan. Quando un anno Churchill si lamentò con Stalin del peggioramento della qualità del suo amato Dvin, il leader sovietico si informò in merito a cosa fosse accaduto a Erevan. Scoprì così che Sedrakyan era stato allontanato dal suo ruolo e spedito altrove (secondo alcune leggende in Siberia, secondo altre in uno stabilimento di Odessa), da cui Stalin prontamente lo richiamò reintegrandolo al lavoro a Erevan.
Il cognac armeno: più un mito che realtà
Più che attestare la passione per le bevande alcoliche di Winston Churchill (la figlia racconta che iniziava le sue giornate con un “cocktail” a base di acqua e scotch, prima di proseguire con il vino), le fonti storiche tuttavia non confermano (né confutano) le storie leggendarie che ammantano di spirito armeno la figura del premier britannico.
Il mito si è probabilmente cristallizzato e diffuso grazie a un telefilm sovietico dei primi anni Settanta, Diciassette momenti di primavera, in cui la storia del cognac amato da Churchill viene prontamente ripresa.
Ararat, lo stabilimento principe di Erevan
L’imponente stabilimento di produzione del cognac di Erevan si erge alle porte della città su una collina. È possibile visitarlo con dei tour in varie lingue (russo, inglese, tedesco, francese) che terminano sempre con una degustazione guidata più e meno varia a seconda del pacchetto selezionato e accompagnata da chicchi di cioccolato fondente.
Costruito su progetto dell’architetto Hovhannes Markaryan negli anni Quaranta per ospitare l’antica distilleria armena allora in espansione, a partire dal secondo dopoguerra e fino alla dissoluzione dell’Unione Sovietica è stato questo l’unico stabilimento autorizzato a produrre cognac in Urss.
In realtà la sua storia è molto più antica e risale al 1887, quando il mercante Nerses Tairyan decise di provare a investire in una produzione locale di cognac francese secondo le migliori tecnologie dell’epoca.
Trovi altri articoli sull’Armenia nella nostra sezione dedicata.
Nel 1900 giunse il primo riconoscimento internazionale: durante l’Esposizione universale di Parigi non solo venne presentata la produzione armena, ma nel corso di una “degustazione alla cieca” il cognac di Erevan (denominato al tempo “Fine Champagne”) vinse la medaglia d’oro, ottenendo anche l’autorizzazione a definirsi cognac a livello ufficiale.
Nazionalizzata dopo la rivoluzione d’Ottobre, la fabbrica rinominata definitivamente Ararat fece un salto di qualità grazie all’opera del già citato tecnologo Markar Sedrakyan (1907-1973), al lavoro qui dal 1937: c’è il suo nome dietro a molte delle etichette ancora oggi prodotte dall’Ararat e che nel tempo hanno garantito la giusta fama al cognac armeno.
Dottoressa di ricerca in Slavistica, è docente di lingua russa e traduzione presso l’Università di Trieste, si occupa in particolare di cultura tardo-sovietica e contemporanea di lingua russa. È traduttrice, curatrice di collana presso la casa editrice Bottega Errante ed è la presidente di Meridiano 13 APS.