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Da alcuni mesi ed a intervalli regolari, ogni sabato, si radunano nelle piazze di diverse città croate; una su tutte, quella principale di Zagabria, dedicata al Bano Jelačić, semi-inspiegabile simbolo e macchietta del patriottismo croato. La loro composizione interna è pressoché interamente di sesso maschile.
Si fanno chiamare molitelji, ossia “coloro che pregano”. Confluiscono da gruppi social i cui nomi – ad esempio Muževni budite, “Siate virili” – paiono decisamente emblematici, non lasciando spazio ad alcun dubbio sulle idee e/o intenzioni dei rispettivi membri. Pregano per la patria, la castità prematrimoniale, l’autorità familiare maschile, la decenza femminile, auspicano che l’aborto venga vietato.
Preghiere e rosari contro i diritti delle donne
Nell’immaginario collettivo dei croati più moderati o tendenti al centrosinistra ben presto sono diventati “i genuflessi” per la platealità ed il disagio che le loro performance generano nel variopinto pubblico di fascia liberal-progressista. Sono muniti di tutti i possibili accessori dei fondamentalisti nazional-religiosi tipici di questo scorcio del XXI secolo: bibbie, crocifissi, rosari, ritratti della Madonna (venerata come massima divinità nella cultura nazionalpopolare croata) o quelli del controverso arcivescovo zagabrese Alojzije Stepinac, noto per le sue orazioni ultraconservatrici e misogine e, stando a quello che asserisce la narrazione revisionista degli ultimi trent’anni, vittima e martire innocente della “persecuzione jugocomunista”.
Aggiungiamo a questo mini festival alt-right le bandiere nazionali e soprattutto paranazionali con le scacchiere dal primo riquadro bianco, richiamo inequivocabile all’NDH o Stato Indipendente Croato, entità fantoccia nazifascista responsabile dello sterminio di serbi, ebrei, zingari, croati antifascisti ed altri “inferiori” nel corso della Seconda Guerra Mondiale e ci si delinea davanti agli occhi un quadro a dir poco raccapricciante e preoccupante per un paese che, più di ogni altro, ama sbandierare la sua identità “civilizzatrice” e mitteleuropea, fuggendo dallo spettro dell’odiata balcanicità “guerrafondaia”.
Armati di trasudante proselitismo che fa storcere il naso ai rari teologi su posizioni moderate, i maschi ultraconservatori croati si radunano, si inginocchiano e recitano in successione Padrenostro e rosari in favore di un modello societario patriarcale, contro l’aborto e l’uso degli anticoncezionali, per la salvezza della mascolinità tradizionale che, a detta loro, sta scomparendo dalla faccia della Terra a causa dell’ideologia gender e dell’emancipazione femminile. Si difendono dalle accuse di misoginia affermando di pregare per una giusta causa e di essere increduli nel venire considerati “fondamentalisti” solo per il fatto di recitare il rosario in pubblico.
Inoltre, in una recente dichiarazione, uno dei rappresentanti di questi “gruppi di preghiera maschili” ha esortato le donne croate a vestirsi e comportarsi in maniera casta e rispettosa, visto che il “mostrarsi” o avere modi disinibiti genera, sempre a detta di questo personaggio, “reazioni” e comportamenti peccaminosi negli individui maschi. Si è arrivati addirittura a sostenere che “I musulmani fanno bene a obbligare le donne a coprirsi”.
Non bisogna nemmeno sforzarsi eccessivamente nel leggere fra le righe per accorgersi che esortazioni ed affermazioni del genere sono apologetiche nei confronti della violenza sessuale e giustificano senza troppi giri di parole molestie verso le donne in un contesto sociale in cui diritti acquisiti da decenni hanno subito notevoli processi di erosione da parte di istituzioni come la Chiesa cattolica croata o associazioni di stampo ultraconservatore (Vigilare, U ime Obitelji – Nel nome della famiglia, i vari “Movimenti per la vita” locali, Grozd ecc.), le cui uscite discriminatorie non sono mai state apertamente e fermamente contrastate dai governi succedutisi dall’indipendenza croata nel 1991.
Un’opposizione ignorata
Non sono in tanti in realtà a opporsi senza indugi a questa deriva neoconservatrice, a esclusione delle solite voci grosse delle tigri da tastiera ritrovabili fra i commenti sui social: dalle poche (e non sempre compatte) associazioni femministe o quelle per i diritti civili, ai partiti di sinistra come Fronte dei Lavoratori (Radnička Fronta) che a inizio febbraio si sono uniti per dare un segnale importante di resistenza e per incentivare anche quei tanti, forse troppi rintanati nei silenzi ambigui o di difficile interpretazione.
Durante l’ultima iniziativa di protesta, intitolata ironicamente e in maniera sprezzante Tiha misa, “Messa silenziosa”, la Rete delle donne della Croazia (Ženska mreža Hrvatske), attraverso la sua portavoce Arijana Lekić Fridrih, ha sottolineato il grosso fardello dei femminicidi nel paese ed il relativo silenzio in cui i problemi della condizione femminile vengono sostanzialmente ignorati.
Altri contributi significativi sono arrivati dal partito di sinistra Fronte dei Lavoratori (Radnička Fronta) che ha ricordato l’importanza del principio di parità fra i sessi e quanto sia fondamentale per l’emancipazione della donna riportare il diritto all’aborto nella costituzione croata che, a differenza di quella del periodo jugoslavo, rimase ai tempi della scissione statale dei primi anni novanta alquanto ambigua riguardo ai temi riproduttivi e alla questione dell’emancipazione femminile.
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Chi supporta gli inginocchiati?
Resta infine poco chiaro da chi o che cosa questi “apostoli della mascolinità” siano finanziati e supportati logisticamente, anche se la presenza di personaggi del calibro di Vice Batarelo (presidente di Vigilare) e Stjepo Bartulica (Domovinski pokret, Movimento Patriottico) o quella di esponenti degli ultraconservatori polacchi di Ordo Iuris pare non lasciare grossi dubbi. Tenendo conto del fatto che la Conferenza Episcopale croata non ne ha preso formalmente le distanze, ma non ha nemmeno appoggiato apertamente l’iniziativa e sta probabilmente vagliando la situazione almeno dal punto di vista ufficiale, si può intuire che questo ruolo di osservatrice, nell’attesa di eventuali sviluppi, possa cambiare anche repentinamente.
Dopo la questione lavorativa e demografica – ricordiamo che la Croazia dal 1991 ha perso quasi 1 milione di abitanti stando all’ultimo censimento del 2021 – un’altra questione ritorna in auge formando una specie di trittico tematico, quella della vera emancipazione femminile, un’emancipazione – questa sì dai tratti molto occidentali – che sui mass media viene quasi totalmente canalizzata nella propaganda del carrierismo alienante in cui la visione di donna viene depoliticizzata e che dall’altra parte voci ultraconservatrici sempre più insistenti vorrebbero annientare soggiogando e sottomettendo la donna alla volontà dei novelli patriarchi pronti sui blocchi di pregh… partenza.
Nel frattempo la Croazia, un paese in cui fa notizia il passare di un giorno senza che spunti un grosso scandalo, si avvicina lentamente a un altro otto marzo dalle prospettive oscure e a livello sociale non vuole nemmeno più apparire in ginocchio. Ma lo è.
*Classe 1983, sanguemisto di cultura balcano-mediterranea, contagiato dal dolce morbo del bilinguismo, attratto dalla passione per interminabili utopie e curiosità metafisiche di orizzonti linguistici, letterarari, musicali e geopolitici. Nostalgico impenitente del contatto umano, dei campetti e dello sport che fu. Legge, scrive e traduce per comprendersi e comprendere.