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Daniel Schulz: “Gli opportunisti sono il gruppo più numeroso in qualsiasi sistema fascista”

Eravamo come fratelli di Daniel Schulz, uscito recentemente per l’editore Bottega Errante nell’ottima traduzione di Federico Scarpin, è un romanzo travolgente e illuminante che aiuta a comprendere e a contestualizzare meglio l’emergere di fenomeni di estremismo, razzismo e risorgente fascismo in Germania. Si tratta di fenomeni che non affondano le loro radici nei difficili anni Novanta, quanto nel secondo dopoguerra, tanto della Germania Est che della Germania Ovest, e che ciononostante risultano incompresi tuttora anche a molti tedeschi.

Alla luce della sua esperienza e competenza come giornalista autore di inchieste sui fenomeni dell’estrema destra, Schulz ha confezionato un libro prezioso, che con grande leggerezza (lo sguardo è quello di un ragazzino) affronta temi cruciali del nostro tempo.

“Tu non capisci niente”, dico. “Se vincono quelli dell’Ovest, saranno loro a comandare qui”. Non ha mai visto gli adulti aprire un pacco arrivato da là? Sembrano bambini piccoli. Il caffè! La cioccolata! “È come nei film di cowboy” continuo. “Prima i bianchi regalano perle di vetro e alcol agli Apache. E poi gli portano via tutto, oppure li eliminano direttamente”.

(p.15)

Eravamo come fratelli descrive l’infanzia e l’adolescenza di un gruppo di ragazzi nati negli anni Ottanta (o alla fine degli anni Settanta) che vivono la fine delle “due Germanie” e il complesso processo di riunificazione, che viene descritto soprattutto a livello sociale (e per certi versi economico) attraverso dettagli rilevanti per i personaggi o attraverso semplici elementi sullo sfondo. È interessante notare, ad esempio, l’inserimento nella narrazione anche di episodi reali, come le rivolte xenofobe a Rostock, che ci collocano concretamente nell’anno 1992.

A Neuruppin le teste rasate hanno accoltellato un barbone, non molto tempo fa. L’hanno detto alla radio. Stava dormendo, sbronzo, su una panchina del parco. Le teste rasate sono andate da lui, gli hanno urlato contro e l’hanno preso a calci. Sembra portassero scarpe con le punte di acciaio. L’hanno preso a calci in pancia e in testa, finché non si è mosso più. Uno gli ha spaccato una bottiglia di birra in testa. Poi un altro ha tirato fuori un coltello e ha colpito. Diciotto centimetri di lama

(p.88)

[Alla radio] “viene trasmesso qualcosa sullo sciopero della fame a Bischofferode, dove i minatori stanno lottando affinché la loro azienda non venga chiusa. ‘Che noia. Attacca la musica!’ brontola la rana judoka. ‘Puoi anche andartene!’. Mario alza il volume della radio. Ha parenti laggiù, me l’ha racontato l’altro giorno, un suo zio sta scioperando. Anche i miei genitori imprecano per Bischofferode, ma a che serve ora? Se avessimo ancora il nostro esercito e i carri armati, i Wessi non si azzarderebbero. Lo penso spesso, quando chiudono un’altra fabbrica, ma pensieri del genere li respingo sempre sul fondo della mia testa, immediatamente. Altrimenti mi intristisco troppo. È una vera fatica abituarsi all’Ovest”

(p.103)

Al cambiare del contesto, cambiano anche le persone, pur mantenendosi intatte alcune dinamiche:

Di notte mia madre sta di nuovo sui quaderni, come una volta nella DDR, quando tra mezzanotte e le quattro era sempre a calcolare quanto concime spargere su quale campo. Si sta riqualificando professionalmente per diventare assistenza agli anziani. Era il lavoro dei suoi sogni, quando aveva diciassette anni, ma suo padre gliel’aveva proibito, era troppo malfamato e duro per una ragazza, diceva. Dopo essersi licenziata dalla Pflanze è stata per un bel po’ in un progetto nell’ambito dei provvedimenti per l’occupazione. Dovevano trasformare la vecchia stazione di Havelburg in un hotel, ma a metà dei lavori erano finiti i soldi. Mia madre non si è seduta nei garage a bere come i suoi colleghi di un tempo, ma si è trovato un corso di riqualificazione per la professione che voleva fare da ragazza. Trasforma la merda in oro, ha sempre saputo farlo. Però a volte piange, purtroppo. Al corso di riqualificazione ha un Wessi seduto dietro che alza sempre la mano dopo che lei ha detto qualcosa. Ripete esattamente quello che ha detto lei, solo in modo più bello. Lui si becca, uno, lei due. Nella DDR piangeva sulle sue scartoffie perché gli altri, nella direzione, guadagnava più di lei. Naturalmente erano tutti uomini.

(p.119)

Molti di quelli che prima erano nella Stasi, oggi lavorano nelle assicurazioni, dove c’è qualcuno della polizia e dell’Armata Popolare Nazionale. Mio padre dice che non ci sono stati controlli, nessuno ha chiesto cosa facessero prima. A volte immagino che questi uomini si proteggano a vicenda, così come un tempo dovevano proteggere la DDR.

(p.199)
Potrete trovare altri approfondimenti sulla DDR alla nostra sezione Germania Est.
Per approfondire alcuni dei temi cruciali del romanzo, abbiamo intervistato Daniel Schulz, che ci ha offerto un’analisi lucida della situazione tedesca.
Daniel, come si spiega la rapida diffusione di “fronti” estremisti nella società tedesca degli anni Novanta? E non parliamo solo di una diffusione tra gli adolescenti, ma anche tra gli adulti, visto che nel libro alcuni genitori sono descritti come portatori di idee piuttosto intolleranti.

La società socialista della DDR, cui appartiene il protagonista, è nata dopo la dittatura nazionalsocialista; lo stesso vale per la società tedesca occidentale della Repubblica Federale. Entrambe le società hanno fallito, a loro modo, nel tentativo di fare i conti con il nazionalsocialismo.

Nella DDR, l’antifascismo servì principalmente a legittimare il potere del SED (Partito Socialista Unificato di Germania). La costituzione affermava che il fascismo era stato sconfitto, quindi nella DDR non potevano esistere né l’estremismo di destra né il razzismo, anche se ovviamente esistevano.

Il primo “pogrom” contro gli stranieri dopo la fine della Seconda guerra mondiale ebbe luogo nella DDR, a Erfurt, nel 1975: in città allora venne data la caccia a centinaia di lavoratori a contratto algerini per diversi giorni. Il carattere razzista di queste aggressioni non fu menzionato dalla polizia e dai servizi segreti; se si esaminano i fascicoli, si parla di “teppismo”. Le autorità della DDR depoliticizzavano la violenza degli estremisti di destra e la tratteggiavano come mera violenza giovanile. Quando non riuscivano a nascondere la verità, sostenevano che si trattasse di nazisti infiltratisi dall’Occidente, o qualcosa di simile.

Con questo voglio dire che il protagonista del libro vede gli atti di violenza perpetrati da estremisti di destra, così come gli atteggiamenti razzisti, come qualcosa di nuovo solo perché lui era un bambino che di DDR non sapeva pressoché nulla. Ma in realtà quello che lui vive è qualcosa di continuo nel tempo. Nel libro lo rendo evidente attraverso il linguaggio razzista, che esisteva anche prima della rivoluzione del 1989. E in disparte, sullo sfondo, descrivo padri che erano già estremisti di destra durante l’epoca della DDR.

La disoccupazione e gli sconvolgimenti sociali dopo la rivoluzione del 1989 hanno certamente contribuito all’escalation di violenza da parte degli estremisti di destra in quel periodo. Ma non si trattava di un fenomeno nuovo per la Germania Est.

Ci sono stati poi altri fattori. Ad esempio, l’amnistia per i prigionieri politici della DDR, tra cui c’erano molti estremisti di destra. Oppure, la lotta contro i gruppi antifascisti indipendenti nella DDR da parte della FDJ (Libera Gioventù Tedesca), dei servizi segreti e della polizia, dato che questi gruppi rappresentavano una concorrenza al Partito Socialista e al suo monopolio sull’antifascismo. O ancora, il rapido unirsi dei movimenti estremisti di destra della Germania Est e della Germania Ovest.

Infine, il cosiddetto “compromesso sull’asilo” del 1993 (Asylkompromiss), attraverso il quale un’alleanza composta da CDU (Unione Cristiano-Democratica), SPD (Partito Socialdemocratico) e FDP (Partito Liberale Democratico) inasprì la legge tedesca in materia di asilo in seguito alle violente rivolte registratesi a Hoyerswerda, Rostock-Lichtenhagen e altrove. In altre parole, punirono le vittime della violenza razzista di quegli anni, non i perpetratori. Le persone non bianche dovettero lasciare le città della Germania Est, mentre i responsabili delle violenze in rarissimi casi furono perseguiti dalla legge.

In pratica, la politica, la magistratura e la polizia hanno premiato e quindi incoraggiato le proteste violente degli estremisti di destra. Simili “premi” e incoraggiamenti alla violenza degli estremisti di destra si ritrovano ancora oggi nella Germania Est: ad esempio, in occasione dell’ondata di violenze contro i rifugiati provenienti dalla Siria dopo il 2015 o delle proteste contro le misure di contrasto al coronavirus, che sono state ampiamente dominate dagli estremisti di destra.

Il protagonista del tuo libro riesce in qualche maniera a rimanere “sano di mente” mentre infuria questa “malattia” sociale che si diffonde rapidamente dividendo amici e parenti. Cos’è che gli permette di restare “incolume”, oltre forse all’influsso positivo di Mariam, la compagna di classe georgiana di cui è innamorato?

Questa è una delle tante domande che pongo ai lettori, dato che raramente rivelo ciò che il protagonista sta pensando. La narrazione in prima persona e l’anonimia del protagonista hanno lo scopo di aiutare i lettori a mettersi nei panni del personaggio e a chiedersi: cosa avrei pensato io? E soprattutto: cosa avrei fatto? Avrei fatto qualcosa?

Mentre scrivevo il libro, sui social media era pieno di europei occidentali che dicevano che, se si fossero confrontati con una dittatura fascista, avrebbero sicuramente fatto la cosa giusta, non avrebbero tenuto la bocca chiusa come i loro nonni. Ho voluto sfidare questa affermazione provocando nei lettori la sensazione fisica di avere di fronte il fascismo, nella forma “piccola” e meschina del fascismo di strada, e chiedendo loro: dunque, amico mio, cosa farai adesso? Altrimenti non si può comprendere per davvero il potere e la seduzione violenta del fascismo. Il fascismo è molto più un sentimento che un ragionamento.

Nel libro, però, ho lasciato alcuni indizi. La famiglia del protagonista non è ideale, ma sembra funzionare meglio di tante altre. Lui cresce ascoltando storie di comunisti rispettabili che hanno dato la vita lottando contro il fascismo. Suo padre è un ufficiale e il protagonista sembra esserne affascinato, forse ha conservato qualcosa di simile all’idea infantile dell’“onore del soldato”, che non attacca i più deboli. Forse è anche perché sua madre frequenta attivamente la chiesa e il protagonista esprime interesse per Gesù. Forse, e questa è una possibilità concreta, queste due istituzioni molto autoritarie, ossia la sua chiesa che è molto severa e le forze armate, lo proteggono dalla tentazione autoritaria e razzista a cui altri soccombono. O meglio, ciò che il protagonista trae da queste istituzioni. Ma non possiamo dirlo con certezza.

In ogni caso, non sono teorie marxiste a salvare il protagonista, né un qualche gruppo Antifa di sinistra. Non volevo rendere le cose così facili per il protagonista o per chi legge il libro. Io sono di sinistra, ma non scrivo propaganda.

Oggi i resoconti giornalistici sulla società e sulla politica tedesca sottolineano sempre il ruolo rilevante delle idee di estrema destra e dell’intolleranza all’interno della società (incarnate dall’AfD, ma non solo). Tuttavia, nel libro illustri abilmente che non si tratta di un fenomeno nato negli ultimi anni. Negli anni Novanta – sembri dire – c’erano tutti i segnali che indicavano l’emergere di questo fenomeno.
Pensi che allora si sia semplicemente deciso di chiudere un occhio, pensando che fosse solo una conseguenza a breve termine del processo di riunificazione? E quanto è stato significativo il lungo (e piuttosto stabile) periodo di governo di Angela Merkel per il rafforzarsi della convinzione che la società tedesca avesse trovato una soluzione a questi dibattiti interni, dibattiti che sono riaffiorati con tutta la loro forza dopo Merkel?

In Germania, molte persone nere, disabili, povere o senzatetto si chiedono se i cosiddetti “anni della mazza da baseball” (Baseballschlägerjahre), che descrivono gli anni Novanta, siano effettivamente mai finiti. A loro avviso, sono se mai le persone bianche e privilegiate a percepire che questa violenza abbia avuto una pausa. Per quanto mi riguarda, direi che ci sono state delle fasi più tranquille di altre, in cui la violenza era meno evidente. Ma queste sono terminate al più tardi con la mobilitazione degli estremisti di destra contro l’accoglienza dei rifugiati siriani dal 2015 in poi, durante l’era Merkel.

Come ho già cercato di spiegare, le ragioni risiedono strutturalmente in entrambe le società tedesche, quella dell’Est e quella dell’Ovest, e nel fatto che non hanno fatto i adeguatamente conti con l’epoca nazista e con il razzismo. E certamente, in tempi di crisi com’erano gli anni Novanta, ci sono sempre cose più importanti da fare che occuparsi del fascismo. 

Tuttavia, anche oggi notiamo che affrontare il razzismo e l’estremismo di destra resta difficile per molti, forse per la maggior parte delle persone, dunque è qualcosa che vale a prescindere dal momento. Perché bisogna sempre chiedersi quali vantaggi si traggono da una società razzista. Perché bisogna chiedersi fino a che punto ci si aspetta di ottenere un vantaggio quando vengono attuate politiche fasciste.

Prendiamo le campagne elettorali che si sono tenute in previsione delle elezioni di settembre in tre Länder. I politici di spicco dei partiti di sinistra, come l’SPD e i Verdi, hanno condotto campagne elettorali razziste sulle spalle dei rifugiati e degli immigrati pur di salvarsi in parlamento. I conservatori, cioè la CDU e la CSU, hanno fatto lo stesso. Questi partiti democratici hanno deciso di fare dei rifugiati e degli immigrati il problema principale della nostra società, sperando di ottenere voti in questo modo. Ma quando lo si fa notare a questi politici, reagiscono con insulti. Se sono i nostri politici a negare per primi di trarre vantaggio dal razzismo, perché dovrebbero farlo gli altri?

Spesso non è necessario offrire molto alle persone per convincerle ad aderire a un certo tipo di fascismo. Spesso è sufficiente promettere loro che faranno parte della maggioranza, che non verranno disturbati. Questo accordo è sufficiente per il protagonista del libro [non a caso deciderà a un certo punto di vestirsi tutto di nero per girare in sicurezza per Berlino: “in questo modo si hanno meno seccature con gli altri, pur avendo i capelli lunghi”; p. 257]. E la maggior parte delle persone odia essere messa di fronte alla realtà di essere così facili da comprare.

Spesso si sente dire che la colpa di tutta l’intolleranza e l’ideologia di estrema destra ricade sugli Ossis (tedeschi dell’Est). Cosa rispondi a queste voci?

È uno schema molto tipico in Germania. La gente dell’Ovest dice che basta ricostruire il muro intorno alla Germania Est e il problema del nazismo sarà risolto. La gente dell’Est dice che l’estremismo di destra è così tanto diffuso solo grazie ai partiti di estrema destra che provengono dall’Ovest.

Le persone non amano confrontarsi con il nazismo dentro e intorno a loro. Per questo motivo lo allontanano il più possibile. Per quanto riguarda la Germania, da Ovest a Est e viceversa. Questo schema vale anche quando gli estremisti di destra feriscono gravemente o addirittura uccidono qualcuno. Spesso l’attenzione non si concentra sul lutto per il morto, ma sulla difesa. Di chi è la colpa? Dov’è che i neonazisti hanno ucciso più persone, nella Germania Est o Ovest? Ma il senso di colpa è un sentimento poco interessante e improduttivo in questo contesto. Si dovrebbe piuttosto porre al centro la responsabilità, tentare di affrontare le questioni, di riflettere, di fare meglio. E questo dovrebbe avvenire sia a Est che a Ovest.

Se ad agire non sono stati i politici, allora perché gli intellettuali e gli artisti tedeschi sono rimasti in silenzio di fronte alla graduale diffusione di ideologie estremiste nella società? Forse non hanno taciuto, ma non c’era nessuno ad ascoltarli?

Ci sono molti scienziati, scrittori e giornalisti che dicono esattamente queste cose. E alcuni di loro sono, siamo, tedeschi dell’Est che conoscono la natura razzista e autoritaria della DDR e della società che qui è nata. Si tratta di intellettuali noti come Anne Rabe, Ilko-Sascha Kowalczuk, Wolgang Biermann, Manja Präkels, Patrice Poutrus, Katharina Warda e sì, anche io.

Stiamo avvertendo tutti che l’estremismo di destra e il razzismo non sono così forti solo a causa dei neonazisti, ma perché i democratici e le “persone normali” reagiscono pigramente, lasciandosi sedurre, minimizzando il pericolo e accettando in parte le richieste dei fascisti. Alla maggior parte delle persone non piace sentire queste cose. È forse diverso in Italia? Sarebbe bello lo fosse.

In ogni caso, i principali programmi televisivi in Germania invitano per lo più intellettuali che non vedono il razzismo nella società tedesca come un problema cruciale e strutturale; sono intellettuali che spiegano gli atteggiamenti nazisti additando i soli sviluppi economici. Del tipo: se a un tedesco le cose vanno male, se non ha abbastanza soldi, allora non può che diventare nazista per farsi ascoltare dai politici. Come se fosse una questione genetica e non una scelta.

Fra stimolo e risposta c’è uno spazio, come disse Viktor Frankl. C’è uno spazio tra la rabbia comprensibile verso la società, verso la politica, e una scelta elettorale. È in questo spazio che si prende una decisione. Ma molti vogliono ignorare questa verità. Le spiegazioni puramente economiche, che spesso provengono da esponenti della sinistra, distogliono l’attenzione dalle responsabilità personali di chi sceglie la politica fascista. Negano che la maggior parte degli elettori dell’AfD non sia povera. Negano che ci siano estremisti di destra in governi relativamente ricchi come quelli dei paesi scandinavi. Tutto pur di evitare di parlare del fatto che il fascismo ha a che fare con se stessi. Per questo ho scritto un libro sull’opportunismo. Gli opportunisti sono il gruppo di persone più numeroso in qualsiasi sistema fascista. Senza di loro, il sistema fascista non funziona.

Tu sei un giornalista e questo è il tuo primo libro di finzione. Hai scelto la narrativa perché l’hai percepita come uno strumento utile per riflettere su argomenti che hai ampiamente trattato nelle tue inchieste giornalistiche, quali le ideologie di estrema destra? Quanto di questo libro è finzione e quanto è realtà?

Ho scritto questo romanzo perché la letteratura è una casa con più stanze rispetto ai testi giornalistici. C’è spazio anche per l’ambivalenza, per narratori inattendibili, per le voci di corridoio, per provare tenerezza per chi tu, come persona di sinistra, potresti e forse dovresti disprezzare. Non si possono capire i fascismi, soprattutto quelli sporchi e sudici della strada, se si comprende il fascismo solo come qualcosa di malvagio, fatto da persone malvagie.

Il fascismo è una proposta, una promessa di guadagno: vieni da noi, ti offriamo comprensione, fratellanza, senso di appartenenza. E questa proposta può provenire da persone molto amichevoli. La domanda è: quand’è che queste persone non sono più amichevoli? Quando gli si ribatte troppo. Con chi non sono quasi mai amichevoli? Con le persone queer, con i neri, con i disabili.

Il libro contiene elementi autobiografici, ma non è un’autobiografia. Nel libro le persone parlano poco. Parlano poco gli adulti con i bambini, ma anche i bambini stessi tra di loro. Eppure, sono dialoghi più ricchi di parole di quelli che venivano effettivamente pronunciati all’epoca. Se si trattasse di un’autobiografia, molte pagine dovrebbero essere vuote, dopo le quali ci sarebbe un solo “ehm” o il suono di un uomo che mugugna o nient’altro. A quei tempi, ciò che accadeva veniva raramente discusso, se non da uomini ubriachi e disoccupati che si incontravano nei loro garage per bere ancora di più. Io ho verbalizzato ciò che non veniva detto, l’ho tradotto in azione, a volte anche nei miei pensieri. Il modo in cui racconto è vero, ma non è andata così.

Ci sono ambienti, strati sociali, classi in cui, a mio avviso, si dice meno e si fa di più. Una “ideologia dell’azione”, anche se non è un’ideologia. È il modo in cui si fanno le cose. Parlare è considerato effeminato, snob; chi usa troppe parole viene dalla città, ha frequentato il liceo, è una persona distaccata. Questo può rendere più difficile far trasformare il materiale in letteratura. In ogni caso, io ho cercato di letterarizzare questo mondo, di universalizzarlo, in modo che possa essere compreso in altri contesti, come quello italiano. In questo senso, è un tradimento del mondo silenzioso incentrato sull’azione. Questa non è un’autobiografia.

Negli ultimi tempi ti sei anche occupato, come giornalista e corrispondente, di Ucraina. Che impatto hanno avuto in Germania, sulla società e sulla politica, l’invasione e le sue conseguenze? Come stanno reagendo i “fronti” dell’estrema destra?

Sì, sono stato recentissimamente in Ucraina, tra cui in una città a quindici chilometri dal fronte nel Donbas. Quando ero lì, i colpi dell’artiglieria russa arrivavano sempre a circa cinque-dieci chilometri da noi. Era come vivere su un’isola, la foresta bruciava intorno a noi.

In Germania, la questione di come il paese dovrebbe rapportarsi a questa guerra è uno dei temi politici più polarizzanti. I partiti più forti della Germania, l’SPD e la CDU, sono stati a lungo in rapporti amichevoli con la Russia. Non hanno voluto vedere la serietà delle minacce russe di aggressione. Non volevano frenare le opportunità per la propria economia in Russia, volevano gas e petrolio russi a basso costo. Per i politici tedeschi questo è sempre stato più importante dell’autodeterminazione dei popoli in Ucraina o in altri stati ex-sovietici. Dopo l’invasione su larga scala del 2022, la situazione è cambiata molto lentamente, ma se l’SPD volesse, potrebbe invertirebbe la rotta in tempi rapidi. La Germania si è lasciata comprare dalla Russia e sarebbe pronta a farlo di nuovo.

La maggior parte dei partiti estremisti di destra è dalla parte della Russia e l’AfD lo è certamente. Per gli estremisti di destra, la Russia è la proiezione di uno stato ideale: un uomo forte che regola tutto e che non deve preoccuparsi delle obiezioni delle minoranze o dei diritti delle donne. La vita di gay, lesbiche e trans è di fatto vietata e i conflitti vengono risolti con l’esercito, se necessario. Questo è il sogno erotico di molti estremisti di destra tedeschi. Non sanno nulla della Russia e delle sue contraddizioni interne; come ho detto, è solo una proiezione.

Per inciso, questo vale anche per la Germania Est. Durante l’epoca della DDR, la maggior parte delle persone aveva un rapporto ambivalente con l’Unione Sovietica. Persino molti membri del Partito Socialista riconoscevano l’Unione Sovietica e il suo popolo come vincitori a livello politico, ma li disprezzavano a livello culturale. Se non c’era nessuno in ascolto, nella DDR si potevano sentire molte cose razziste sui soldati occupanti dell’Unione Sovietica, soprattutto se erano meno biondi e più scuri di pelle. Venivano descritti come poco più che animali, piuttosto che come persone che vivevano nella sporcizia. Le condizioni di vita dei soldati sovietici nella DDR erano dure e sporche. La gente lo sapeva. Ma molti ne hanno tratto pregiudizi razzisti. Trasformare tutto ciò in un presunto amore dei tedeschi dell’Est per la Russia, cresciuto nel corso dei decenni, come sta facendo l’AfD, è semplicemente ridicolo.

No, la Russia è semplicemente una costruzione che fa comodo alla destra, così come a certi populisti autoritari di sinistra.

Daniel Schulz

In tutta sincerità è da tanto tempo che sono un Wessi. Me ne sono accorto all’Est, cioè ancora più a est. Tra la scuola e il servizio civile ho viaggiato altri due mesi in bici con un tizio della mia chiesa, tra il Baltico e la Polonia. Spesso delle persone gentili ci hanno fatto dormire a casa loro. E a me facevano così schifo le vasche da bagno, in cui a volte c’erano ancora i segni marroni come un tempo a casa nostra, quando c’era la DDR. È per il calcare, da piccolo non mi davano il minimo fastidio. Ma là mi facevano schifo come se fosse merda, e al tempo stesso mi vergognavo di questo. Non c’è trasformazione senza tradimento.

(p.283)
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Martina Napolitano
Martina Napolitano

Dottoressa di ricerca in Slavistica, è docente di lingua russa e traduzione presso l’Università di Trieste, si occupa in particolare di cultura tardo-sovietica e contemporanea di lingua russa. È traduttrice, curatrice di collana presso la casa editrice Bottega Errante ed è la presidente di Meridiano 13 APS.