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I danni materiali dell’invasione russa fuori dai confini ucraini

Nel pomeriggio del 15 novembre un razzo ha colpito il villaggio di Przewodów, nella Polonia orientale a pochi chilometri dal confine ucraino, uccidendo due persone. La notizia ha fatto subito il giro del mondo: con un paese membro della Nato finito sotto quello che la stampa internazionale aveva inizialmente (ed erroneamente) descritto come un attacco russo, un’escalation ulteriore del conflitto in Ucraina, con uno scenario apocalittico di uno scontro diretto tra Russia e Alleanza atlantica, non sembrava un’ipotesi così remota.

In realtà, i danni materiali dell’invasione russa fuori dall’Ucraina non si limitano alla sola Polonia e dare un quadro dei singoli casi in cui il conflitto ha colpito paesi terzi, anche membri della Nato, serve a capire la portata globale del conflitto.

Il drone di Zagabria

10 marzo 2022. Sono passate poche settimane da quando il presidente russo Vladimir Putin ha lanciato “l’Operazione Militare Speciale”.

Mentre l’esercito ucraino contrasta sempre più efficacemente l’avanzata dei russi verso Kyiv, un Tupolev-141, un drone di fabbricazione sovietica, dall’Ucraina entra nello spazio aereo rumeno, poi in quello ungherese e, infine in Croazia. Qui finisce il suo volo schiantandosi in un parcheggio a Zagabria, danneggiando diverse macchine, seppur non ferendo o uccidendo nessuno.

Come emergerà dalle indagini successive, si è trattato di  un colpo di fortuna. Il drone trasportava, infatti, una quantità non identificata di esplosivo ⎯ il ministero della Difesa croato ha parlato di 120 chili ⎯ che è detonato nel momento dell’impatto con il suolo.

Anche se non ha causato vittime, l’incidente ha scatenato forti polemiche in Croazia e tra i paesi della Nato, visto che il Tupolev-141 ha sorvolato indisturbato per quasi un’ora lo spazio aereo di tre paesi dell’Alleanza. Al momento, non è ancora chiaro a quale esercito appartenesse il drone, essendo in dotazione di entrambi i contendenti.

Non si è però trattato di un caso isolato. Solamente tre giorni dopo i fatti di Zagabria, il 13 marzo, un drone di osservazione russo Orlan-10 è stato trovato da un gruppo di bambini che giocavano nel distretto di Bistrita, una zona della Romania a un centinaio chilometri dal confine con l’Ucraina. Il drone si era schiantato, probabilmente per un malfunzionamento, ma non trasportava esplosivo o altri armamenti.

Razzi sulla Moldova

Negli ultimi mesi, la Russia ha cambiato tattica nella sua guerra contro l’Ucraina. Visto il fallimento dell’offensiva su tutti i fronti e in concomitanza con l’annuncio della “mobilitazione parziale” lo scorso 21 settembre, il Cremlino ha iniziato a bombardare costantemente le infrastrutture civili ed energetiche ucraine, ormai una triste realtà delle cronache quotidiane del conflitto.

Il 10 ottobre, tre razzi lanciati dalle navi nel mar Nero hanno sorvolato lo spazio aereo moldavo nella loro rotta verso l’Ucraina occidentale. In reazione, il governo di Chișinău ha convocato l’ambasciatore russo nel paese per protestare contro la violazione del suo territorio. Ma non è bastato: lo scorso 31 ottobre, un razzo russo intercettato dalla contraerea ucraina è caduto su Naslavcea, un villaggio in Moldova al confine con l’Ucraina.

L’esplosione conseguente ha infranto alcune finestre, ma fortunatamente non ha causato vittime. L’incidente ha però messo in evidenza la delicatissima posizione della Moldova in relazione alla guerra in Ucraina. Il paese è stato attraversato dall’enorme flusso di profughi ucraini nelle prime settimane dell’invasione ed è stato costretto a lanciare un piano per razionare l’energia elettrica lo scorso 26 ottobre.

Come riportato sui canali social di Meridiano 13,  la scelta è stata una conseguenza dei bombardamenti russi alle centrali elettriche in Ucraina, tra i principali fornitori di energia elettrica della Moldova. La più grande centrale elettrica del paese, quella di Dubăsari in Transnistria ⎯ territorio secessionista internazionalmente riconosciuto come parte della Moldova ⎯ ridurrà del 70% la fornitura di elettricità al resto del paese. Inoltre, le città principali della Moldova hanno elaborato individualmente piani di razionamento elettrico.

Infine, gli attacchi missilistici dei russi sull’Ucraina hanno causato un massiccio blackout in Moldova il 15 e il 23 novembre. Con i prezzi dell’energia alle stelle, il paese con il PIL pro capite più basso in Europa è in una situazione molto difficile.

Per saperne di più sulla situazione nella Repubblica di Moldova, vi rimandiamo a questo articolo di Claudia Bettiol per Valigia Blu.

I danni materiali dell’invasione russa…in Russia

Ma i danni materiali dell’invasione russa fuori dall’Ucraina si contano soprattutto in Russia e su infrastrutture russe, testimonianza diretta della fallacità di quella narrazione del Cremlino che giustifica la guerra come una necessità per garantire la sicurezza del paese (narrazione che, peraltro, è molto recepita anche in Italia). All’opposto, la decisione di invadere l’Ucraina dimostra il totale disinteresse del governo russo per la vita dei propri cittadini al fronte e altrove.

In primo luogo sono da annoverare gli attacchi contro la penisola di Crimea, regione annessa illegalmente alla Russia nel 2014.

Nella penisola la situazione è rimasta relativamente calma fino alle fine dello scorso luglio. Da allora una serie di obiettivi militari russi è finita periodicamente sotto attacco. Tra gli altri sono stati colpiti il quartier generale della flotta russa a Sebastopoli, la base aerea di Saky e, soprattutto, il ponte sullo stretto di Kerč, simbolo per eccellenza dell’occupazione russa della Crimea. Kyiv ha inizialmente negato la responsabilità degli attacchi, salvo poi ammettere parzialmente di esserne l’artefice.

In secondo luogo, il sabotaggio dei gasdotti North Stream 1 e 2, le condutture proprietà dell’azienda governativa russa Gazprom che trasportavano il gas dalla Russia alla Germania attraverso il mar Baltico. La magistratura svedese ⎯ uno degli attacchi è avvenuto nelle acque territoriali del paese scandinavo ⎯ ha trovato tracce di esplosivo nell’area in cui le tubature si sono danneggiate, confermando l’ipotesi del sabotaggio intenzionale; l’autore degli attacchi, avvenuti lo scorso 26 settembre, non è però ancora stato identificato.

Infine, gli attacchi contro la Russia occidentale, una realtà quasi quotidiana nelle regioni di Belgorod, Brjansk e Kursk. A essere colpite sono soprattutto basi militari, ponti, infrastrutture energetiche, ma anche aree residenziali. Anche in questo caso l’Ucraina non ha confermato direttamente la propria responsabilità. Gli attacchi hanno causato almeno quattordici vittime e più di cinquanta feriti tra i civili e i militari. 

Il portale indipendente Meduza ha raccontato come la percezione della guerra nella popolazione di Belgorod e Kursk sia cambiata negli ultimi mesi: se prima era un qualcosa di lontano, si è passati dall’incredulità dopo i primi attacchi alla consapevolezza di questa nuova realtà quasi quotidiana.

Con il perdurare del conflitto, è quindi lecito aspettarsi che la guerra continuerà a causare distruzione anche fuori dai confini dell’Ucraina.

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Aleksej Tilman
Aleksej Tilman

Nato a Milano, attualmente abita a Vienna, dopo aver vissuto ad Astana, Bruxelles e Tbilisi, lavorando per l’Osce e il Parlamento Europeo. Ha risieduto due anni nella capitale della Georgia, specializzandosi sulle dinamiche politiche e sociali dell’area caucasica all’Università Ivane Javakhishvili. Oltre che per Meridiano 13, scrive e ha scritto della regione per Valigia Blu, New Eastern Europe, East Journal e altre testate.