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“Mamma, sono un tossicodipendente”: la droga nella musica jugoslava degli anni Ottanta

Nel 1981 esce nelle sale cinematografiche il film tedesco, ispirato dall’omonimo libro, Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino di Uli Edel. La storia della giovane Christiane, adolescente smarrita e consumata dalle droghe pesanti in una Berlino Ovest inospitale e piena di eccessi e contraddizioni, apre in maniera radicale gli occhi al mondo occidentale sulla tossicodipendenza tra i giovanissimi. Tuttavia, anche a est, nel mondo socialista il film di Uli Edel desta un certo interesse.

Il trailer in italiano di Noi i ragazzi dello zoo di Berlino (1981)

Nel 1982 il film viene proiettato in Jugoslavia e, a maggio dello stesso anno, sulla rivista Osmica viene pubblicato un articolo intitolato Droga nema miljenika (“La droga non ha favoriti”). Nell’articolo, pur sottolineando che “in Occidente il problema della tossicodipendenza non sia nulla di nuovo”, l’autore ammette che non solo il film ha dato via a numerosi dibattiti in Jugoslavia, ma anche che nel paese balcanico le droghe sono un problema parecchio diffuso tra i giovani. Viene spiegato che la droga è un problema crescente, soprattutto nelle famiglie operaie (fino a quel momento il fenomeno era collegato più che altro ai figli di famiglie benestanti), ma che i sociologi jugoslavi considerano come un segno di ingenua ribellione giovanile, come un modo degli adolescenti di essere diversi.

C’è anche riferimento al fatto che a un concerto dei Bijelo Dugme allo stadio Marakana di Belgrado la polizia ha sequestrato un sostanziale quantitativo di eroina; ma comunque si tiene a precisare che il rock non è e non deve essere considerato come un mezzo per incoraggiare l’uso di droghe e che, soprattutto, non ha nulla a che vedere con esse. La realtà dei fatti è ben diversa.

Già nel 1980 la band polese Visoki napon aveva pubblicato la canzone Narkoman (“Tossicodipendente”), che così recita:

Mama, mama, spasi me
Mama, mama, molim te
Mama, ja bojim se
Mama, ja sam narkoman

Mamma, mamma, salvami
Mamma, mamma, ti prego
Mamma, ho paura
Mamma, sono un tossicodipendente

Trattasi di una canzone straziante, nonostante il ritmo relativamente spensierato, seppur grezzo, che funge da grido d’aiuto per una fetta di popolazione giovanile che viene sostanzialmente ignorata dall’opinione pubblica e dagli esperti in psicologia e sociologia. Questa problematica cade nell’oblio per un paio di anni, fino al 1982.

Nel 1982 la new wave jugoslava è nel pieno del proprio successo. Al 1980 risalgono album come Dolgcajt dei lubianesi Pankrti o il singolo Crno-bijeli svijet degli zagabresi Prljavo Kazalište. Sempre allo stesso anno risale l’album Azra del gruppo omonimo, che tra il 1981 e i 1982, invece, pubblicherà ben tre, fortunati album (Sunčana strana ulice, Ravno do dna e Filigranski pločnici).

Per approfondire la scena musicale jugoslava, leggi anche: “Belli e vuoti”: come il punk in Jugoslavia risollevò la gioventù

Nel 1981, a Belgrado, la locale scena new wave ha fatto il suo debutto ufficiale, di grande successo, con l’album Paket aranžman, coprodotto da tre band: Idoli, Šarlo akrobata ed Električni orgazam. Questi ultimi sono distinti da uno stile particolare. I testi risultano avere spesso una struttura tradizionale, formati da più strofe differenti tra loro e un ritornello sempre uguale, e un ritmo energico, molto vicino al punk, mentre a volte è evidente una chiara voglia di sperimentare, con musiche lente e distorte e testi che ricordano gli haiku giapponesi.

Quest’ultima tendenza del gruppo è più che evidente nell’album Lišće prekriva Lisabon (“Le foglie ricoprono Lisbona”) del 1982. L’album è figlio di quella fase in cui i membri del gruppo, specialmente il cantante Srđan Gojković, fanno uso costante di allucinogeni e di altre droghe, come ad esempio l’LSD. Esse vengono citate in canzoni come Nezgodno (“Sgradevole”):

Ja sam taj
Što mirno pere noge
Drogu, naravno, ne pipam
Samo jednom u usta

Io sono colui
Che con calma lava i piedi
La droga, ovviamente, non me la metto
Soltanto una volta in bocca

L’uso delle droghe viene citato indirettamente in un’altra, famosa canzone dello stesso gruppo, inclusa nell’album Distorzija (“Distorsione”) del 1986, ma scritta, stando a quanto ha riferito Gojković in un’intervista per Blic.rs nel 2016, nei primi anni Ottanta: Kapetan Esid (“Il capitano Esid”). La canzone, una tenera dichiarazione d’amore per la propria ragazza dell’epoca da parte del cantante, così recita:

Danju plovim kroz oblake
Kapetan Esid kaže maloj Lini
Noću plovim kroz nečije snove
Sa kolima je sve u redu

Di giorno navigo tra le nuvole
Il capitano Esid dice alla piccola Lina
Di notte navigo tra i sogni di qualcun altro
Con la macchina va tutto bene

Copertina dell’album

Durante la già citata intervista, Gojković ha asserito che il periodo in cui fu scritta la canzone era proprio il periodo in cui i membri del gruppo sperimentavano l’uso di LSD e che i citati Esid e Lina sono nomi inventati dallo stesso Gojković, sotto l’effetto degli stupefacenti, per sé stesso e la propria ragazza.

Il consumo delle droghe pesanti, tuttavia, rimane un tabù per gran parte degli anni Ottanta. Sono poche le citazioni a esse nella musica per quasi l’interezza della decade, se si eccettuano le canzoni degli Električni orgazam. Il consumo delle sostanze stupefacenti è ancora visto come un fenomeno inaccettabile nell’immacolata società socialista autogestionaria jugoslava (nonostante ormai le droghe leggere e pesanti siano ormai la normalità nelle discoteche e nei club di Belgrado e di altre città maggiori) e, oltretutto, dopo la morte del maresciallo Tito nel maggio 1980, nonostante la crisi economica la popolazione in generale nutre ancora una relativa fiducia verso il sistema.

Ad essere citato ampiamente è l’uso dell’alcol. Il gruppo post-punk lubianese Otroci socializma (“I figli del socialismo”) basa buona parte della propria produzione musicale su testi che hanno come protagonista l’alcol e i suoi effetti. È presumibile il fatto che gli effetti stordenti di cui parlano le canzoni degli Otroci socializma siano dovuti anche al consumo di stupefacenti, che, come già accennato, stavano diventando particolarmente popolari, soprattutto negli ambienti alternativi, ma si tratta di speculazioni.

Nel 1984 esce nei cinema jugoslavi, diretto da Jovan Jovanović, Pejzaži u magli (“Paesaggi nella nebbia”). Questo film ha un approccio quasi documentaristico, similmente al nostrano Amore tossico (Claudio Caligari, 1983) o al già citato film di Edel, e narra le vicende di una ragazza belgradese che passa le giornate stordita dall’eroina, dalla quale è dipendente e da cui sarà incapace di disintossicarsi. Trattasi del primo film jugoslavo ad affrontare la piaga della tossicodipendenza. La scelta di far interpretare il ruolo di protagonista alla zagabrese Anamarija Petričević, già famosa per la fortunatissima serie televisiva per ragazzi Smogovci, trasmessa da TV Zagabria, rende il film ancor più di impatto, per non parlare della scelta della colonna sonora. Fanno da sfondo alle vicende del film le musiche del gruppo belgradese Du Du A, pioniere della musica hip hop ed elettronica in Jugoslavia. Canzoni come Ja ne bi ne bi ne bi ne bi (“Io non voglio non voglio non voglio”), con i loro ritmi frenetici e psichedelici allo stesso tempo, contribuiscono a trasmettere una sensazione di perdizione e confusione nello spettatore che si accinge a guardare la pellicola, spesso caratterizzata da scene i cui colori vengono alterati, così come anche i suoni non facenti parte della colonna sonora.

Locandina del film Pejzaži u magli (Eastern European Movies)

Nella seconda metà degli anni Ottanta, la crisi jugoslava si inasprisce. All’instabilità economica e agli scontri nel Kosovo tra serbi e albanesi iniziati ormai nel 1981 si aggiungono le tensioni tra Belgrado e Lubiana, mentre inizia a farsi strada l’idea di un imminente disfacimento della federazione.

Al contempo, il periodo della fine degli anni Ottanta è caratterizzato da una censura definitivamente indebolita e da un gran fervore culturale. Nelle grandi città della federazione nascono, oltre a numerosi centri sociali, anche associazioni di cittadini che hanno come scopo la sensibilizzazione su temi come l’ambiente, la libertà di parola e altre tematiche socialmente rilevanti. A ciò si aggiunge il rinnovato fervore patriottico e nazionalista delle varie etnie della federazione, specialmente tra i serbi, gli sloveni e, più tardi, tra i croati. Nonostante la varietà di espressioni artistiche e culturali e la mancanza di veri e propri limiti imposti dalla censura, gli esponenti di quelle correnti artistiche o musicali socialmente impegnate sono talvolta pervasi da un diffuso senso di inadeguatezza e di impotenza davanti allo scorrere degli eventi.

Questi sentimenti sono evidenti soprattutto nella produzione musicale del gruppo belgradese Ekatarina Velika (o EKV), conosciuto per essere uno dei gruppi di maggior successo e influenza nell’area ex-jugoslava. Nati nel 1982 come Katarina II, gli Ekatarina Velika si distinguono immediatamente per una new wave dai testi sensibili, profondi e d’impatto. Non solo per questo, però, si chiamano in causa gli Ekatarina Velika.

Nel 1984 il batterista Ivan Vdović viene allontanato dalla band per problemi di tossicodipendenza (egli morirà nel 1992 a causa di un’infezione da HIV, sarà il primo caso del genere in Jugoslavia) e la tastierista del gruppo, Margita Stefanović inizia presto a dare problemi alla band per il massiccio uso di droghe pesanti come l’eroina, la quale sta diventando pericolosamente popolare in quel periodo nel paese balcanico.

Nei testi degli EKV figurano, invero, riferimenti, per lo più impliciti, alla tossicodipendenza. La canzone Srce (“cuore”, del 1989) è dedicata a una ex ragazza del cantante Milan Mladenović, morta per overdose da eroina. Sulla canzone Oči boje meda (“Occhi color miele”) tutt’ora, soprattutto su internet, nei forum dedicati alla musica ex-jugoslava, si discute sul fatto che possa in realtà contenere riferimenti all’uso sempre di eroina. In particolare, spesso viene avanzata la teoria che gli “occhi color miele” citati nella canzone rappresentino, in realtà, il colore che assume l’eroina quando riscaldata su un cucchiaio. Spiegazioni simili esistono per molte altre canzoni della band, nonostante manchino delle conferme – che mai arriveranno, dato che tutti i membri originali della band sono morti, anche a causa dell’uso di stupefacenti.

Comunque sia, è indubbio che gli Ekatarina Velika siano stati una band fortemente influenzata dalla citata dipendenza. A differenza degli Električni orgazam, tuttavia, per i quali l’LSD era parte di un processo creativo, per gli EKV l’eroina era una drammatica via di fuga dalla pesantezza e dai problemi del mondo.

Ekaterina Velika (Wikicommons)

Sempre nel 1989, contemporaneamente alla già citata Srce, sono presenti altri, più espliciti riferimenti al consumo di droghe nella musica jugoslava. In quell’anno il gruppo di musica elettronica lubianese Borghesia filma un videoclip per la propria canzone Discipline (che in realtà parla dell’ascesa di Slobodan Milošević, del nazionalismo, della tesa atmosfera politica e, in generale, della decadenza dell’epoca) in cui, in più scene, si possono vedere i membri della band fumare da una pipa ad acqua e ingoiare pasticche di dubbia natura.

Per approfondire, leggete la nostra recente intervista ad Aldo Ivančić e Dario Seraval dei Borghesia.

La band sarajevese Zabranjeno pušenje è invece autrice di Pišonja i Žuga u paklu droge (“Pišonja e Žuga nell’inferno della droga”). Questa canzone garage rock del 1989 parla di due amici, Pišonja e Žuga (presenti nella canzone Balada o Pišonji i Žugi, “La ballata di Pišonja e Žuga”, e ispirati a due personaggi realmente esistiti, conoscenti dei membri della band) che si ritrovano a una festa studentesca:

Pišonju i Žugu je zovnuo na dernek jaran koji studira
Rekao je „Momci nemojte belaja, tu su raja kulturna!”
Amila je bila lijepa kao vila, starci su joj radili negdje u Iraku,
Rekla je samo “Uđite, momci!”, pa se poslije izgubila u mraku
“Pišonja”, reče Žuga, “ovo mjesto mi se ne sviđa
‘Ajmo radje pred “Piramidu”, ima finih putera”
“Odmori, Žuga, malo, matere ti, zar ne vidiš kakve su ovde trebe,
Zar već poslje pete pive moraš da praviš budalu od sebe?”

Pišonja e Žuga furono invitati a una festa da un loro amico studente
Disse loro “Ragazzi, non fate cazzate, questa è gente di cultura!”
Amila era bella come una fata, i suoi genitori lavoravano da qualche parte in Iraq
Disse soltanto “Entrate, ragazzi!”, poi si perse nel buio
“Pišonja”, disse Žuga, “questo posto non mi piace
Andiamocene alla ‘Piramide’, che c’è del buon cibo lì”
“Rilassati un po’, Žuga, che diamine, ma non vedi che razza di fighe ci sono qui,
Devi proprio fare il cretino già dopo la quinta birra?”

La festa è di una ragazza benestante (i cui genitori probabilmente lavorano nell’industria petrolifera in Iraq) ma c’è qualcosa che non quadra, come fa notare Žuga nel ritornello:

Pišonja, ovo mjesto mi se ne sviđa,
Niko se ne smije i čudna je muzika
Pišonja, ovdje se nešto čudno događa,
Sve je puno drogiranih pedera

Pišonja, questo posto non mi piace
Nessuno ride e la musica è strana
Pišonja, qui sta succedendo qualcosa di strano
Tutto è pieno di froci drogati

Žuga cerca ripetutamente di convincere l’amico ad andar via, perché la situazione potrebbe farsi pericolosa, ma quest’ultimo, ammaliato dall’affascinante Amila, non intende demordere. Quest’ultima, una volta che dei poliziotti irrompono in casa, con la scusa di fare un dono d’amore, consegna a Pišonja una busta con dell’erba:

Al’ negdje oko pola tri na dernek upadoše drotovi
Neke frajere odmah prisloniše uza zid
Amila se prestraši, kaže “Joj, stari će me masakrirati!”
A onda ugleda Pišonju i pogled joj đavolski zasvjetli
“Maleni, želim nešto da ti poklonim
Maleni, primi ovaj dar moje ljubavi
Maleni, al’ nešto moraš mi obećati
Prije jutra nećeš ga otvoriti”
Jedan drot prifura Pišonji, džepove mu prebira
Nadje Amilinu travu i reče “Slavko, imamo dilera!”
Pišonja reče “Drugovi, jel’
se to, možda, snima neki film?”
Pišonja reče “Drugovi, ja nemam ništa s tim”

Ma intorno alle due e mezza alla festa irruppero gli sbirri
Immediatamente misero dei ragazzi spalle al muro
Amila s’impaurì, disse “Oddio, mio padre mi ammazzerà!”
Poi guardò Pišonja e il suo sguardo s’illuminò diabolico
“Tesoro, voglio darti qualcosa
Tesoro, accetta questo dono del mio amore
Tesoro, però devi promettermi
Che non lo aprirai prima del mattino”
Uno sbirro si avvicinò a Pišonja e gli svuotò le tasche
Trovò l’erba di Amila e disse “Slavko, abbiamo lo spacciatore!”
Pišonja disse “Compagni, state forse girando un film?”
Pišonja disse “Compagni, io non c’entro niente”

Nella canzone è ancora presente quell’idea secondo cui siano i rampolli delle famiglie benestanti a far uso di droghe, come anche agli studenti, nonostante, come è si è già visto, la situazione in Jugoslavia fosse ben diversa.

Il fenomeno della droga nella musica jugoslava

Pochi sono, in realtà, nella storia della new wave, del punk e del rock jugoslavo tra gli anni Settanta e Ottanta, i riferimenti all’uso di droghe, se si prende in considerazione la vasta produzione musicale riguardante quei generi. I motivi sono molteplici e spesso discordanti. I membri degli Električni orgazam, ad esempio, hanno asserito più volte come le droghe facessero parte della loro quotidianità e di come, perciò, fossero una cosa quasi “normale”, sicuramente meno importante di altre tematiche sociali o politiche. In altri articoli e/o interviste sul rock jugoslavo, invece, si afferma addirittura che i giovani dell’epoca facessero poco uso di stupefacenti, mentre era certamente più diffuso il consumo di alcol. In generale, nel migliore dei casi la tossicodipendenza era molto probabilmente vista come un caso limite, come un affare di pochi individui. Nel peggiore dei casi, invece, essa veniva semplicemente ignorata. Una maggiore risonanza a tale problematica è stata data negli anni Novanta quando, per via della povertà dilagante e delle guerre, la diffusione delle droghe pesanti raggiunse livelli allarmanti. A farne uso erano soprattutto gli adolescenti e i soldati al fronte.

Si può dire che tutto ciò che era stato messo a tacere, che era rimasto inascoltato o che era stato nominato in maniera spesso soltanto implicita durante gli anni Ottanta riguardo la tossicodipendenza sia venuto fuori all’improvviso subito dopo il disfacimento della federazione, con conseguenze disastrose che ancora oggi sono ben visibili in buona parte delle società post-jugoslave.

D’altronde, nei critici anni Ottanta, così pieni di preoccupazioni e tensioni di ogni genere, persino l’arte e la musica si sono permesse, seguendo più o meno la linea generale, di trascurare un fenomeno che, per buona parte dei casi, era la conseguenza del grido d’aiuto, rimasto inascoltato, di una generazione di giovani desiderosa di fuggire dall’incertezza, dal rigido grigiore autogestionario, dal vecchiume della società e dall’imminente disastro degli anni Novanta.

Dedico ancora una volta questo articolo a mio padre Miro, uno di quei giovani che “gridarono aiuto”, senza essere ascoltati.

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Marco Jakovljević
Marco Jakovljević

È dottorando in letterature comparate presso l’Università di Zagabria. Le sue ricerche e i suoi interessi vertono sulla cultura pop e giovanile in Jugoslavia e sulla letteratura della transizione in Croazia e Slovenia. Da aprile 2024 collabora in qualità di ricercatore indipendente con l'Istituto di Etnologia e Folkloristica di Zagabria. Collabora coi progetti Est/ranei e Andergraund.