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Tra le tante accezioni negative di cui l’aggettivo “bulgaro” gode in italiano (e non solo) c’è sicuramente la locuzione maggioranza bulgara, spesso utilizzata per definire il risultato schiacciante di una votazione a favore di un candidato specifico caratterizzata dall’assenza di libero dibattito, o consultazioni farsa il cui esito si discosta nettamente dal volere dei cittadini. Eppure da oltre tre anni in Bulgaria si susseguono senza sosta tentativi di mettere insieme una maggioranza in parlamento che possa portare a termine un esecutivo per i quattro anni di mandato “naturale” e un conseguente periodo di stabilità al paese.
Nell’estate 2020 i cittadini bulgari erano scesi in massa nelle piazze e strade delle principali città per chiedere a gran voce le dimissioni dell’allora primo ministro Boyko Borisov, leader del partito GERB (acronimo di “Cittadini per uno sviluppo europeo della Bulgaria”). Il suo primo mandato da premier risale al 2009, costretto poi alle dimissioni in seguito alle massicce manifestazioni del 2013 scatenate da corruzione, peggioramento dello standard di vita e costi delle utenze crescenti.
La sua figura però non si è mai eclissata del tutto dal panorama politico bulgaro, anzi, si è trovato alla guida di altri due esecutivi: il secondo dal 2014 al 2016, terminato nuovamente con le sue dimissioni, e il terzo dal 2017 al 2021, l’unico portato a termine nonostante i numerosi rimpasti di governo e le proteste del 2020.
Il 27 ottobre scorso i cittadini bulgari sono stati chiamati alle urne per la settima volta, dopo un incessante susseguirsi di maggioranze risicate, instabili accordi di governo, viavai di formazioni vecchie e nuove, massiccia propaganda e ingerenze straniere. Le cifre restituite dalle urne segnano un’affluenza del 37,5% – maggiore delle attese ma comunque molto bassa – e la percentuale più alta di preferenze per il GERB di Borisov (26,3%), che stacca di molto la coalizione progressista PP-DB (formata dai partiti Continuiamo il cambiamento e Bulgaria democratica), ferma al 14%.
Seguono poi il partito filorusso e di estrema destra Rinascita (13,3%), in ascesa, e le due formazioni rivali nate dalla spaccatura del DPS (Movimento per i diritti e la libertà, che raccoglie i consensi della minoranza turca nel paese). All’11,5% c’è il DPS – nuovo inizio, guidata dal controverso oligarca Delyan Peevski – tycoon con vari capi di imputazione nel proprio palmarès nonché sanzionato dalla legge Magnitsky – e al 7% l’Alleanza per i diritti e la libertà. Da più parti però sono arrivate denunce e segnalazioni di brogli elettorali e voto di scambio.
Le ennesime elezioni in Bulgaria si sono tenute parallelamente a quelle in Georgia e Moldova, ma hanno destato molta meno attenzione a livello internazionale. Tra le varie cause vi è senz’altro la complessità dello scenario politico del paese, e la scarsa conoscenza di quello storico. Per cercare di sbrogliare questa matassa – al di là delle percentuali e delle sigle dei partiti – abbiamo intervistato Radoslav Bimbalov, che oltre a essere scrittore e fondatore di una delle maggiori agenzie pubblicitarie bulgare è spesso ospite dei principali media del paese in qualità di analista politico, sociale e culturale.
La manciata di osservatori stranieri che provano ancora a scrivere riguardo la situazione in Bulgaria spesso la definiscono come “caos”, quasi a voler semplificare. A mio avviso invece si tratta di un quadro rappresentativo della crisi del diritto di voto e della democrazia, che non tocca soltanto la vostra nazione. Mi sembra valga la pena spiegare e andare più a fondo, invece di appiccicare per l’ennesima volta un’etichetta dispregiativa a un paese balcanico. Come si può riassumere il lungo momento che sta vivendo la Bulgaria affinché venga compreso all’estero?
Per spiegare la situazione bulgara occorre tornare brevemente indietro di tre decenni, quando è avvenuta la cosiddetta Transizione in Bulgaria. I processi che avevano iniziato a mettersi in moto nel blocco orientale hanno travolto anche il nostro paese, che esisteva in termini di economia alquanto chiusa, alle esclusive dipendenze dal grande alleato definito “fraterno” – l’Urss.
A differenza di paesi come l’Ungheria e la Repubblica Ceca (allora Cecoslovacchia), che rispettivamente nel 1956 e nel 1968 avevano vissuto tumultuosi tentativi di sollevamento contro i propri regimi, da noi la dissidenza era limitata, repressa per tempo e persino tenuta efficacemente sotto controllo. Perciò anche quando il 10 novembre 1989 abbiamo visto in televisione la rimozione del nostro leader totalitario Todor Živkov siamo rimasti sorpresi quanto lui stesso.
Nella vicina Romania la rivoluzione appariva di gran lunga più violenta e addirittura insanguinata (Ceaușescu e la moglie sono stati quasi giustiziati pubblicamente, in fretta e senza particolari processi), ma in Bulgaria tutto è accaduto con una sorta di tranquillità e organizzazione. Che si fosse trattato di un semplice colpo di stato lo avremmo realizzato soltanto anni più tardi, quando abbiamo visto che non c’era nessun particolare desiderio di riforma e non era avvenuto un reale cambiamento.
Le cose parevano avessero iniziato a funzionare con l’entrata della Bulgaria nella Nato e nell’Unione europea, ma trascinati da questi eventi tanto attesi abbiamo mancato gli importanti primi passi della nostra democrazia. Ad esempio non c’è stata lustrazione e i tentacoli della DS [la Dăržavna Sigurnost, i servizi segreti di stato della Repubblica popolare di Bulgaria, NdR], tramite cui il regime di Mosca controllava la Bulgaria, non sono mai venuti alla luce. Si sono anzi abilmente intrecciati alle neonate reti di organizzazioni criminali: forzute formazioni costituite da ex atleti (ovvero quelle che da noi sono le cosiddette mutri) che hanno preso il controllo del paese con metodi repressivi.
Il risultato è un’unione tra la criminalità organizzata e i sistemi statali, cioè la classica piovra ben conosciuta come “mafia”. Quella è stata la reale transizione dei bulgari verso il sistema democratico, accanto agli emblemi pubblici apposti dal nostro ingresso nelle strutture euroatlantiche.
La profonda verità è che per noi bulgari troppo a lungo il moderno mondo europeo era stato l’uovo di cioccolato dietro la vetrina di quei proverbiali negozi chiamati Corecom, in cui si facevano compere soltanto con valuta estera (e quindi inaccessibili ai cittadini ordinari che non ne avevano a disposizione). Non abbiamo lottato per la nostra democrazia, bensì l’abbiamo ricevuta e, come quell’uovo di cioccolato, per noi era importante vedere cosa ci fosse dentro. Presi dal consumare la nostra libertà, quasi ci siamo dimenticati di realizzare in cosa consiste, che in realtà la democrazia è il controllo dei processi da parte della società, la condivisione delle responsabilità, la presa di iniziative, il rispetto delle norme e dell’ordine.
Quello che accade ora, trent’anni dopo, è la conseguenza dei mancati anni di maturazione della nostra società.
Anche stavolta, come le ultime tre, il partito GERB di Boyko Borisov ha di nuovo “vinto” le elezioni in Bulgaria. Nell’estate 2020 però nel paese sono scoppiate (di nuovo, dopo quelle del 2013) massicce e lunghe proteste proprio contro Borisov, punto di partenza della situazione attuale. Cos’è cambiato e cosa non è cambiato in questi anni? Perché la figura di Borisov non si è ancora eclissata?
La fusione delle formazioni criminali con i sistemi statali, di cui ho già parlato, ha portato in primo piano la figura di Borisov oltre vent’anni fa. La scalata della sua carriera politica – da capo della polizia, sindaco della capitale fino a leader del partito più grande e premier con un record di tre mandati – è il risultato del suo forte legame con le formazioni criminali (quelle che sono sopravvissute nei violenti anni della transizione e si sono “illuminate” in qualità di enormi imprese commerciali) e l’invidiabile sostegno dei partner europei di GERB, nella figura del PPE.
La personalità di Borisov è iperscandalosa e passa attraverso un’incredibilmente fitta rete di legami sospetti e incessanti rivelazioni da parte dei giornalisti d’inchiesta, ma il suo controllo sugli organi giurisdizionali è talmente grande che in pratica tutte le accuse contro di lui vengono scoraggiate sul nascere.
In questi dodici anni a capo del paese Borisov si è circondato di un’enorme tavolata di persone che dipendono da lui: il potere di GERB nei comuni e municipi ha creato una gestione quasi feudale. Soltanto i funzionari delle oltremodo rigonfie amministrazioni e le figure connesse a queste ultime rappresentano buona parte degli elettori bulgari attivi. Per farvi capire le dimensioni di questo fenomeno vi farò un piccolo esempio: in una minuta cittadina costiera come Pomorie vivono 15mila persone, mentre i funzionari amministrativi sotto la guida diretta del sindaco, scelto dal partito GERB, sono quasi mille.
Nel 2021 sembrava davvero che l’energia scaturita dall’insoddisfazione nei confronti dei sistemi statali erosi dalla corruzione in seguito al lungo governo di GERB avrebbe finalmente ribaltato quell’irremovibile sovrano di Boyko Borisov. E in effetti GERB aveva cominciato a perdere le elezioni successive, ma poi la forza di Borisov si è gradualmente ristabilita, dopo che la nazione si è trovata in mezzo a turbolenze e a una serie di elezioni anticipate. La ragione di tutto questo si cela nelle collisioni interne delle forze progressiste che vorrebbero un cambiamento contro il muro dell’amministrazione assoggettata e gli organi giurisdizionali non indipendenti, ma in gran parte anche nella notevole pressione legata alla politica estera.
Se devo dare una risposta univoca, probabilmente c’è una e una sola cosa che ha aiutato Borisov a rimanere sulla cresta dell’onda da noi, e cioè l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
I media italiani e occidentali in generale si sono interessati molto delle elezioni in Moldova e Georgia, ma non di quelle in Bulgaria, anche se le dinamiche nel paese balcanico non sono troppo diverse da ciò che vive la gente nelle altre due nazioni citate. Perché la situazione in Bulgaria non attira (più) l’attenzione?
Penso che le elezioni bulgare appena trascorse avranno molta più eco all’estero questa volta, perché quanto accaduto da noi è esemplificativo delle minacce che incombono sulle democrazie europee.
Un oligarca, Delyan Peevski, sanzionato tempo fa per corruzione massiccia dalla legge internazionale Magnitsky, ha spaccato un partito, oltretutto proprio quello che esisteva ai margini del divieto di partiti su base etnica in Bulgaria: il DPS. La nuova formazione di Peevski sta per entrare nel prossimo parlamento con un solido numero di deputati, dopo falsificazioni elettorali senza precedenti, compravendita dei voti e voto controllato, sotto la protezione di polizia, procura e tribunale, con l’evidente sostegno della persona che abbiamo nominato prima: il lungamente premier Boyko Borisov e il suo partito GERB.
Questa arroganza nutre l’ancora più furiosa radicalizzazione dei partiti filorussi in Bulgaria. Con ogni probabilità ce ne saranno ben tre nel prossimo parlamento, anche se il più piccolo dei quali – il nuovo partito Magnificenza, guidato da un sospetto imprenditore accusato di frode – è tra quelli svantaggiati dalle falsificazioni elettorali.
Fuori dal parlamento, ma con posizioni sempre più forti, è anche il nostro dichiaratamente russofilo presidente Rumen Radev, che da tempo parla della necessità di una nuova formazione ed è solo questione di tempo prima che la crei e guidi allo scadere del suo mandato presidenziale. A coronamento di tutto ciò, la formazione che ha posto l’integrazione europea della Bulgaria alla base del suo programma – la coalizione PP-DB – è seriamente in crisi e perdita di posizioni.
La crisi politica in Bulgaria deve essere osservata attentamente da tutti fuori, perché è estrema e mostra tutti i culmini a cui possono essere portate a confrontarsi anche le grandi democrazie europee, per quanto pensino che difficilmente possano diventare vittime della guerra ibrida che il Cremlino conduce da un decennio.
Quali sono i fattori che a tuo vedere hanno maggiore influenza? Qual è il ruolo della Russia, dell’Unione europea e degli Stati uniti?
La dipendenza della Bulgaria nei confronti della Russia è molto forte per via del nostro legame storico. La Russia zarista è stata un fattore decisivo nel distacco della Bulgaria dall’impero turco dopo cinque oscuri secoli, definiti da generazioni di bulgari come “schiavitù”.
Questa connessione è talmente forte anche perché rinsaldata dalla propaganda russa. Nella nostra storia la “fratellanza” tra le due nazioni è stata alimentata a tal punto da essere inclini a cancellare un’altra vicenda storica: l’Armata rossa praticamente è entrata in quanto occupatrice nelle nostre terre alla fine della Seconda guerra mondiale e ha agito come tale, con tutta la sua intrinseca violenza e brutale violazione dei diritti umani. Tutto ciò negli anni è stato coperto dalla propaganda, ma perfino oggi viene messo in discussione dalle forze politiche e sociali annidate nel profondo della nostra nazione.
In effetti per la Russia il nostro paese è sempre stato facile da controllare. All’epoca del regime socialista totalitario la dipendenza economica della Bulgaria nei confronti dell’Urss era enorme, ma anche il Kgb è riuscito a infiltrare le proprie strutture in diversi livelli della nostra società in modo incredibilmente efficace.
Un fatto storico poco noto (ma assolutamente dimostrato) è che negli anni Sessanta del secolo scorso il capo della nazione bulgara in via del tutto ufficiale aveva deciso di rinunciare alla propria sovranità territoriale e proposto che il nostro paese diventasse la sedicesima repubblica sovietica. Per nostra fortuna l’allora collerico leader del Cremlino, erede del dittatore Stalin – Nikita Chruščëv – aveva rifiutato quella proposta con le parole: “Quei furbacchioni di Sofia vorrebbero sedersi alla nostra tavola”.
Tornando al momento attuale, negli ultimi dieci anni la propaganda russa ha condotto una guerra ibrida incredibilmente vincente, con l’abile introduzione di notizie false, imposizione di tesi comode per la Russia e impostazione contraria della società al percorso europeo della Bulgaria. Dopo l’invasione dell’esercito russo dell’Ucraina questa battaglia è uscita pienamente alla luce e ci sono ormai abbastanza partiti, personaggi pubblici e leader di opinione che in modo sempre più aperto e libero stanno dalla parte dell’aggressore russo, e addirittura sostengono che la Bulgaria debba prendere la via di ritorno verso la “fraterna” Russia.
Ovviamente tutto questo non sarebbe stato possibile se le stesse strutture europee e funzionari delle nomenclature a Bruxelles non avessero chiuso gli occhi sull’influenza russa in Bulgaria, ad esempio con l’implementazione del TurkStream, che è realmente la canna che Putin tende attraverso la Bulgaria per tenere a bada tramite forniture di gas alcune economie dell’Europa centrale e orientale.
Circa gli Stati uniti, per la politica estera americana la Bulgaria rappresenta un qualche fattore nei Balcani, specialmente in un quadro mondiale tanto incerto, ma sarebbe folle pensare che oltreoceano abbiamo strategie particolare di rafforzamento della propria influenza qui. Al momento i loro problemi interni sono talmente grandi, e sul piano della politica estera è di gran lunga più importante per loro la condizione dei conflitti in Medio oriente e Ucraina.
Quali possibili futuri attendono la Bulgaria secondo te?
I processi in corso in Bulgaria non mi rendono ottimista. La divisione tra le persone è sempre più drammatica, le faglie sembrano farsi sempre più profonde e insormontabili. La verità è che la Bulgaria non si trova in una crisi politica, bensì in ostaggio. Il nostro paese è rapito da due bande criminali: una è quella degli oligarchi e del mondo sotterraneo, cricca abituata a prosciugare i fondi europei e trarre vantaggio dall’integrazione europea della Bulgaria. L’altra è il Cremlino.
Queste due bande non solo non si fanno la guerra, ma sono anche in condizione di silenziosa alleanza da anni. Un tremendo cartello, senza una goccia di pietà per il futuro della Bulgaria.
Traduttrice, interprete e scout letterario. S'interessa di letteratura, storia e cultura est-europea, in particolar modo bulgara. Ha vissuto e studiato in Russia (Arcangelo), Croazia (Zagabria) e soprattutto Bulgaria, dove ha conseguito la laurea in traduzione presso l'Università di Sofia “San Clemente di Ocrida”. Tra le collaborazioni passate e presenti East Journal, Est/ranei, le riviste bulgare Literaturen Vestnik e Toest, e l'Istituto Italiano di Cultura di Sofia. Nel 2023 è stata finalista del premio Peroto per la migliore traduzione dal bulgaro in lingua straniera e nel 2024 vincitrice del premio Polski Kot. Collabora con varie case editrici e viaggia a est con Kukushka tours.