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Tra aprile e maggio è prevista una doppia tornata di elezioni in Macedonia del Nord, destinate a modificare gli equilibri politici del paese per il prossimo quadriennio. Tra i temi dominanti spiccano l’integrazione europea e il veto bulgaro.
La primavera prosegue con temperature sopra la media in Macedonia del Nord, tanto dal punto di vista climatico che guardando al termometro politico del paese. Il 24 aprile è infatti fissato il primo turno delle elezioni presidenziali, seguite l’8 maggio dal probabilissimo ballottaggio (salvo sconvolgimenti, nessuno dei sette candidati raggiungerà infatti la maggioranza assoluta al primo turno) che avverrà quest’anno per la prima volta nella storia della giovane repubblica balcanica in concomitanza con le elezioni parlamentari. Un doppio appuntamento con le urne destinato a ridisegnare gli equilibri politici del paese per il prossimo quadriennio.
Presidenziali: le incertezze del ballottaggio
La più grande sorpresa di questa tornata elettorale è senza dubbio la frattura maturata in campo albanese, tradizionalmente egemonizzato da Dui, l’Unione democratica per l’integrazione (Demokratska unija za integracija). Dal giorno della sua fondazione nel 2001, Dui è sempre riuscita a guadagnarsi il consenso della maggior parte dei macedoni di etnia albanese, relegando la concorrenza in posizione di assoluta irrilevanza.
Quest’anno però potrebbe essere diverso. A febbraio, in seguito a un incontro con il primo ministro kosovaro Albin Kurti, Arben Tavari (leader del partito Alleanza per gli albanesi) ha deciso di togliere il suo sostegno al governo di coalizione a trazione Sdsm (Socijaldemokratski sojuz na Makedonija, Unione socialdemocratica di Macedonia), di cui Dui rappresenta un azionista minoritario ma indispensabile. Ciò ha causato uno scisma all’interno del partito, passato all’opposizione nonostante le vibrate proteste del predecessore di Tavari, Ziadin Sela.
Tavari si è quindi candidato alla presidenza macedone, riunendo per la prima volta attorno a sé diverse anime dell’opposizione albanese, fino ad oggi prive di una rappresentanza credibile: Alternativa, Besa e Movimento democratico, che insieme ad Alleanza per gli albanesi sono andati a costituire il blocco di opposizione Alleanza europea per il cambiamento.
Una simile iniziativa ha spinto Dui ad abbandonare la sua tradizionale politica di sostegno al candidato di un altro partito, aggiungendo alla corsa per la presidenza un proprio concorrente: Bujar Osmani, attuale ministro degli Esteri del governo ad interim di Talat Xhaferi e del suo predecessore e presidente della Sdsm Dimitar Kovačevski.
Questi sviluppi non rappresentano unicamente un allargamento della scelta elettorale per quelle che vanno a delinearsi come le elezioni più rappresentative della storia macedone, ma hanno anche delle ripercussioni tutte da quantificare nei confronti di quei due partiti maggioritari che andranno effettivamente a contendersi la presidenza.
Per Sdsm, alla ricerca del secondo mandato per Stevo Pendarovski, si tratta di una defezione importante, che limita irrimediabilmente le possibilità di sconfiggere al primo turno il principale candidato di opposizione, Gordana Siljanovska-Davkova di Vmro-dpmne (Partito democratico per l’unità nazionale macedone, centro-destra). Nonostante quest’ultima sia la favorita, restano dei dubbi sulla sua effettiva capacità di raccogliere consensi tra i partiti sconfitti al primo turno, rendendo l’esito delle elezioni non così scontato. Quel che è certo è che il risultato della votazione del 24 aprile andrà a influenzare anche il voto dell’8 maggio.
Gli altri candidati alla presidenza sono Biljana Vankovska di Levica (socialisti), Stevčo Jakimovski di Grom (Gragjanska оpcija za Makedonija, Opzione cittadina per la Macedonia, liberali) e Maxim Dimitrievski di Znam (Za naša Makedonija, Per la nostra Macedonia, nazionalisti di sinistra).
Parlamentari: difficoltà in vista per la nuova maggioranza
Secondo quanto comunicato dalla Commissione elettorale statale, a queste elezioni parlamentari sono state presentate 17 liste elettorali. Anche in questo caso la fazione favorita è Vmro-dpmne, la cui vittoria comporterebbe un cambio colore del gabinetto a seguito di un settennato di governo socialdemocratico, ininterrotto a seguito dell’accordo di Pržinsk e alla fine poco gloriosa di Nikola Gruevski (condannato per riciclaggio di denaro e tuttora rifugiato politico in Ungheria). Anche in questo caso tuttavia permangono dei dubbi sull’effettiva capacità di Vmro-dpmne di costruire una coalizione in grado di governare con stabilità.
Inizialmente le elezioni erano previste per luglio, ma l’impossibilità di trovare una maggioranza parlamentare per l’inserimento dei bulgari quale minoranza costitutiva del paese (sono necessari due terzi dei 123 seggi al Sobranie, l’assemblea monocamerale macedone), indispensabile per aggirare il veto bulgaro all’apertura dei negoziati per l’ingresso in Ue, ha spinto il governo a indire elezioni anticipate.
Sembra difficile, tuttavia, che nuove elezioni riusciranno a sbloccare la situazione senza il raggiungimento di un difficile compromesso tra le parti. Mentre Sdsm sarebbe infatti disposto a scendere a compromessi con la Bulgaria pur di avviare i negoziati con l’Ue, Vmro-dpmne, pur essendo un partito europeista, non è dello stesso avviso. Lo scenario che si staglia all’orizzonte è quello di un parlamento a maggioranza relativa di parlamentari appartenenti a Vmro-dpmne, restii a un accordo con i bulgari, e al conseguente blocco delle negoziazioni con l’Ue per l’imposizione del veto da parte di Sofia.
Al netto di queste incognite, che saranno dipanate nelle settimane e nei mesi a venire, è interessante e significativo commentare lo spostamento compiuto dai principali partiti all’interno dello spettro politico macedone nel corso del tempo. Biepag (Balkans in Europe policy advisory group) si è preso la briga di investigare – attraverso l’analisi di lungo termine di testi, discorsi e post pubblicati sui social media – la retorica dei principali attori politici e il loro sviluppo dal 2010 al 2021.
Il metodo utilizzato prevede l’assegnazione di un punteggio per ciascuna parola chiave pronunciata o scritta, che appartiene tradizionalmente al vocabolario progressista o conservatore. Per esempio, le parole sociale, salute e integrazione appartengono tradizionalmente a un gergo di sinistra, mentre i vocaboli budget, progetto e sviluppo rientrano più nel vocabolario delle destre. Il ricorso a questi termini viene quindi conteggiato e il punteggio complessivo farà muovere il partito analizzato lungo due assi: destra-sinistra e Gal-Tan (green, alternativo, libertario e tradizionale, autoritario e nazionalista).
I risultati sono sicuramente interessanti e degni di essere commentati, nonostante lo studio interrompa la sua analisi tre anni fa. Significativamente, si riscontrano relativamente poche oscillazioni lungo l’asse destra-sinistra, con la maggior parte dei partiti che assumono posizioni centriste. A smarcarsi da questa uniformità sono Levica e Integra, che si pongono rispettivamente all’estrema sinistra e all’estrema destra dello spettro politico macedone. Se questo è abbastanza prevedibile, trattandosi di un partito socialista l’uno e di un partito conservatore l’altro, quello che stupisce è invece il loro posizionamento lungo l’asse Gal-Tan: entrambi risultano schiacciati su posizioni nettamente nazionaliste, distaccando di diversi punti tutti gli altri partiti, che comunque hanno assunto nel tempo una retorica via via più tradizionalista.
Questo spostamento lungo l’asse Gal-Tan riflette la tendenza dell’intero spettro politico macedone di attestarsi su posizioni sempre più conservatrici. Tendenza di lungo corso, iniziata con il veto greco e proseguita con quello bulgaro all’apertura dei negoziati con la Macedonia del Nord per l’ingresso in Ue, che nonostante le differenze sostanziali di una certa rilevanza hanno almeno una matrice e un effetto comuni: la messa in discussione dell’identità nazionale macedone e la reazione in sua difesa da parte di ampi settori della società. Reazione che, ovviamente, è stata strumentalizzata da tutti i partiti macedoni per ampliare i propri consensi. Ivi inclusa Levica, che nonostante la tanto sbandierata ideologia socialista a cui fa riferimento non si fa scrupoli a utilizzare slogan e vocaboli presi in prestito dal nazionalismo nostrano (vedi i continui riferimenti alla revisione dell’accordo di Prespa durante la campagna elettorale del 2020).
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Curiosità sulle elezioni in Macedonia del Nord
Secondo una consuetudine iniziata nel 2016, 100 giorni prima delle elezioni parlamentari il presidente del Consiglio in carica si dimette e viene nominato un primo ministro ad interim con lo scopo di traghettare il paese verso le elezioni, assicurandone trasparenza e correttezza. Questa usanza fu istituita con il già menzionato accordo di Pržinsk del 2015 tra i principali partiti macedoni a seguito dello scandalo che colpì l’allora premier Nikola Gruevski – alla guida del paese da un decennio – e il suo partito, Vmro-dpmne. Il principale oppositore e futuro primo ministro socialdemocratico Zoran Zaev rivelò al paese come circa 20mila cittadini macedoni (un numero esorbitante per una popolazione di circa 2 milioni) fossero posti sotto sorveglianza dagli apparati statali, tra i quali politici, giornalisti e funzionari pubblici.
Lo scandalo, assieme alle accuse di brogli elettorali mosse dall’opposizione (si parlò di circa 100mila “elettori fantasma” all’interno delle liste elettorali, il 12% della popolazione di etnia macedone), lo sperpero di denaro pubblico per il progetto Skopje 2014, l’insabbiamento dell’omicidio di un giovane macedone da parte delle forze di polizia e il controllo governativo sui principali media del paese, scatenò una serie di manifestazioni di massa (passata alla storia come “rivoluzione colorata”, in riferimento al lancio di gavettoni di vernice contro ai tanto discussi monumenti eretti dal governo nella capitale) e una grave crisi politica e istituzionale.
Gruevski fu costretto a dimettersi e un governo di transizione fu nominato in vista delle elezioni anticipate. Onorando questa consuetudine, Kovačevski ha ceduto il posto lo scorso gennaio a Xhaferi, primo politico etnicamente albanese a ricoprire questa carica. Scelta che ha però sollevato non poche polemiche: mentre l’opposizione albanese lamenta il fatto che si tratti di una carica meramente formale per accontentare la minoranza etnica senza eleggere un primo ministro albanese nel pieno dei suoi poteri, Vmro-dpmne si straccia le vesti per i trascorsi militari dello stesso Xhaferi.
Ufficiale dell’esercito popolare jugoslavo dal 1985 e alto ufficiale dell’esercito della Repubblica di Macedonia dal 1991, durante il confronto armato del 2001 tra gli irregolari albanesi e le forze di sicurezza macedoni egli disertò in favore dei guerriglieri, assumendo posizioni di comando all’interno del neonato esercito di liberazione nazionale macedone (sorto su ispirazione dell’Uçk, l’esercito di liberazione del Kosovo). Ricercato per alto tradimento, fu amnistiato in seguito all’accordo di Ohrid che pose fine al conflitto.
Mosso da un sincero interesse per la storia e la cultura della penisola balcanica, si è laureato in Studi Internazionali all’Università di Trento, per poi specializzarsi in Studi sull’Europa dell’Est all’Università di Bologna. Ha vissuto in Romania, Croazia e Bosnia ed Erzegovina, studiando e impegnandosi in attività di volontariato. Tra il 2021 e il 2022 ha scritto per Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa. Attualmente risiede in Macedonia del Nord, dove lavora presso l’ufficio di ALDA Skopje.