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Non so dirvi che cosa sia l’elisir. Dovete cercarlo per conto vostro. Quel che so è che la nostra Terra lo produce senza sosta nel suo calderone, ovunque, e voi fate parte della folle ricetta. Non potete comprarlo né venderlo. Ha inizio quando il denaro e le parole finiscono e diventate ciò che siete, qualcosa per cui vale la pena di salire e scendere tra vette e vallate.
Lo scorso settembre per i tipi di Crocetti Editore è uscita l’edizione italiana di Elisir, terza opera di Kapka Kassabova – anche questa tradotta da Anna Lovisolo – pubblicata nel nostro Paese. Elisir è anche il terzo titolo della tetralogia balcanica a cui Kassabova sta lavorando da ormai una decina di anni, iniziata con Confine(EDT, 2019) e proseguita con Il lago(Crocetti Editore, 2022). Volumi densi di racconti raccolti negli angoli più impervi e reconditi della Bulgaria e non solo: nelle sue traiettorie finora si sono incrociate anche Turchia, Grecia, Macedonia del Nord e Albania. Quest’ultimo libro, però, è interamente ambientato nell’estremo sud-occidentale bulgaro, dove tra le altre svettano alte le cime dei Rodopi e l’impetuoso scorrere del fiume Mesta segna il confine tra le regioni greche della Macedonia e della Tracia.
Il titolo anticipa e unisce i tanti momenti evocativi che costellano le peripezie di Kassabova, la quale non è alla ricerca di una qualche panacea né rimedio specifico, ma più semplicemente di quei luoghi e quelle genti che possano ricongiungerla con le sue radici. A differenza dei reportage precedenti infatti, in quest’ultimo l’autrice continua a viaggiare nello spazio, rimanendo però nei margini di in una porzione di territorio molto più circoscritta; le esplorazioni sono dirette soprattutto alla scoperta del proprio mondo interiore e di coloro che incontra. Profondamente variegata, la storia e la popolazione di questa parte di Bulgaria porta ancora i segni delle violenze che l’hanno attraversata.
Alcuni abitanti di Mesta Nero, come altrove lungo il fiume, avevano iniziato a definirsi “turchi recenti”. Era di moda. Ovviamente non parlavano la lingua, ma qui “turco” voleva dire: “Sono musulmano e non voglio sentirmi un cittadino di serie B, preferisco essere un po’ straniero”. Quando andavano a lavorare nella capitale o all’estero, Turchia compresa, ritornavano a essere bulgari. Un’identità subordinata in un mondo subordinato.
In Elisir la scrittrice disegna una traiettoria triangolare. All’estremo settentrionale si trova il parco nazionale di Rila, celebre per l’omonimo monastero che dal 1983 è patrimonio Unesco, lo spettacolare paesaggio dei sette laghi e il monte Musala, la cima più alta dei Balcani. All’estremo occidentale il massiccio di Pirin, con la nota meta sciistica di Bansko e la località termale di Banja. L’estremo orientale è invece rappresentato dall’inizio della catena dei Rodopi, che conta quindici riserve naturali e una commistione di etnie molto diverse tra loro: da qui nei secoli si sono assecondati gli “eretici” bogomili, i pomacchi (i cosiddetti “bulgari musulmani”) e i turchi di Bulgaria.
Anche in questo volume Kassabova bilancia vari piani temporali, mescolando il presente dei suoi spostamenti per la zona con le biografie di chi condivide le proprie vicende personali con lei. E così alle brutalità del regime socialista, che ha costretto i pomacchi all’esproprio e alla slavizzazione forzata dei loro nomi e infine all’esilio, si accosta l’avidità del nuovo assetto governativo e geopolitico, impietoso nei confronti dell’inestimabile patrimonio naturale minacciato da cementificazione e disboscamento. I cittadini bulgari quasi non possono più permettersi di godere delle acque termali, il cui uso è stato ormai in gran parte privatizzato; i rom sono gli ultimi ancora disposti a raccogliere bacche ed erbe officinali a pochi leva per il mercato occidentale; le famiglie di bulgari musulmani sono sballottate tra i traumi del passato e quelli del presente.
Non siamo quello che siamo. La nostra tragedia è che non ce ne rendiamo neppure conto. Il mondo non è quello che pensiamo. È insondabilmente vivo. Nessuno di noi è un’entità singola, abbiamo molte forme, siamo politropi. Ovunque, sempre.
Originale fil rouge che lega tutta l’opera è una sorta di mappatura botanica della regione: assimilati gli insegnamenti del persiano Avicenna e della tedesca Ildegarda di Bingen, passando per la bulgara Vanga, Kassabova offre al lettore nozioni sulle proprietà delle piante che crescono nella zona, tra erboristeria, filosofia e misticismo. Non mancano aneddoti, formule, rituali e ricette, a cui l’autrice si accosta sempre con grande interesse, apertura e voglia di approfondire come sempre in primis la conoscenza di sé attraverso la scoperta dell’altro.
“La cosa più importante per me è l’amore,” disse Alish al tavolo da pranzo. “L’amore è l’unico elisir, amica mia.” Io e Ibrahim ce ne stavamo in silenzio. “Ma in giro ce n’è sempre meno,” proseguì. “Meno amore per gli animali. Meno amore per le persone. Meno amore per la natura. È tutto collegato. Perché l’amore è uno solo.” Ibrahim aveva vissuto focosamente, aveva molte amanti e molti amici ma, come mi disse in un’altra occasione, “finisce sempre che resto solo”. “Senza amore non funziona niente,” proseguì Alish. “Se in te non c’è amore non riesci a fare niente. Amore per quello che fai. Amore per qualcuno a questo mondo. E questo è quanto.”
Come nel resto della sua opera, e in modo particolare negli ultimi tre titoli pubblicati, Kassabova ha la capacità di abbandonarsi completamente alle pieghe spesso inaspettate che prendono i suoi sconfinamenti, trascinando il lettore con sé. Anche stavolta il risultato riconferma il suo talento nel perdersi senza sosta nei territori che esplora, per poi puntualmente ritrovarsi grazie alle minuziose ricerche bibliografiche che ogni volta conduce prima di mettersi a scrivere. Linfa e motore della sua letteratura sono infatti curiosità ed empatia, gli unici rimedi possibili per ricucire lo strappo tra blocco occidentale e orientale.
Io restai ferma in mezzo a un prato in alto, grande come diversi campi da calcio, che dava su un panorama aperto. Era in pendenza e mi fece pensare a un imbuto: scendi di corsa e scivoli in un’altra dimensione. Rimasi ferma e avvertii la musica di un’orchestra che a ondate mi attraversava. Il mio intero essere vibrava di una gioia così intensa che quasi mi sollevai dall’erba, come se mi trovassi in un palazzo di cristallo riecheggiante di suoni armoniosi. Non c’erano né pavimento né soffitto. Mi accorsi che la montagna era molto più alta di quanto riuscisse a cogliere lo sguardo; anch’io ero legata con un filo invisibile a qualcosa che stava ancora al di sopra, e il prato era pieno di altre entità, non avevano forma, era pura gioia.
Elisir, Kapka Kassabova, traduzione di Anna Lovisolo, Crocetti Editore, 2023
Traduttrice, interprete e scout letterario. S'interessa di letteratura, storia e cultura est-europea, in particolar modo bulgara. Ha vissuto e studiato in Russia (Arcangelo), Croazia (Zagabria) e soprattutto Bulgaria, dove ha conseguito la laurea in traduzione presso l'Università di Sofia “San Clemente di Ocrida”. Tra le collaborazioni passate e presenti East Journal, Est/ranei, le riviste bulgare Literaturen Vestnik e Toest, e l'Istituto Italiano di Cultura di Sofia. Nel 2023 è stata finalista del premio Peroto per la migliore traduzione dal bulgaro in lingua straniera e nel 2024 vincitrice del premio Polski Kot. Collabora con varie case editrici e viaggia a est con Kukushka tours.