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Università di Sofia (Giorgia Spadoni/Meridiano 13)
È molto probabile che se pensiamo a una scienziata famosa ci venga in mente Marie Curie (nata Maria Salomea Skłodowska), vincitrice per ben due volte del premio Nobel per le sue scoperte in chimica e fisica. Poi forse c’è chi potrebbe anche ricordarsi altri nomi, come quelli delle fisiche Lise Meitner e Irene Joliot-Curie, ma all’inizio del Novecento decine di scienziate in tutto il mondo hanno condotto studi nel campo allora all’avanguardia della radioattività.
Questa prima generazione di ricercatrici che si sono dedicate alla fisica nucleare ha dato un importante contributo allo sviluppo di questo campo, eppure spesso il loro lavoro non è stato riconosciuto come meritava (Marie Curie è solo una felice eccezione che conferma la regola).
Tra queste pioniere degli studi sulla radioattività c’è anche la fisica bulgara Elizaveta Ivanova Karamihailova, la prima donna che è riuscita a diventare membro di una facoltà all’Università di Sofia, la più antica scuola di istruzione superiore in Bulgaria (fondata nel 1888, subito dopo la liberazione dal dominio turco).
Karamihailova è stata la fondatrice della ricerca sperimentale in fisica nucleare nel suo paese e la prima direttrice del dipartimento di fisica atomica dell’ateneo di Sofia, dove è stata anche la prima donna a ricoprire la posizione di professoressa associata e poi di professoressa ordinaria. Ma il suo percorso all’interno dell’accademia è stato costellato di ostacoli.
I primi anni tra Vienna e Sofia di Elizaveta Karamihailova
Elizaveta nasce a Vienna nel 1897: a quel tempo suo padre Ivan Karamihailov (bulgaro di Šumen) studiava medicina nella capitale austriaca, mentre sua madre Mary Slade (originaria dell’Oxfordshire) studiava musica, in particolare pianoforte e composizione.
Nel 1909 la famiglia si trasferisce a Sofia, dove Ivan sarebbe diventato uno dei chirurghi più noti del paese e avrebbe anche fondato e diretto l’ospedale cittadino della Croce Rossa dove si offrivano cure gratuite ai pazienti che ne avevano bisogno.
Giunto il momento di scegliere l’università, Karamihailova torna a Vienna nel 1917 per studiare fisica e da quel momento in poi la sua carriera scientifica la porterà a fare quasi la spola tra i migliori istituti di ricerca d’Austria e della Bulgaria, tranne alcuni periodi che passerà in Inghilterra. Dopo la laurea Elizaveta rimane nell’ateneo viennese per fare il dottorato e nel 1922 discute la sua tesi “Figure elettriche su materiali diversi, specialmente su cristalli”.
In seguito continua le sue ricerche sulla radioluminescenza presso l’Istituto del Radio, dove collabora anche con la fisica austriaca Marietta Blau. Karamihailova e Blau pubblicano insieme un articolo scientifico nel 1931 su una radiazione precedentemente sconosciuta emessa dal polonio: questo lavoro aiuterà il fisico britannico James Chadwick a scoprire l’esistenza del neutrone, una scoperta che gli varrà il premio Nobel pochi anni dopo.
Tra gli anni Venti e Trenta la vita da ricercatrice porta Elizaveta a spostarsi varie volte, prima all’Università di Sofia dove lavora in un piccolo laboratorio nel sottotetto dell’Istituto di Fisica, poi torna a Vienna per mancanza di strutture e l’impossibilità di fare carriera in Bulgaria.
Tuttavia, non essendo austriaca, lavora con contratti temporanei e non può essere assunta come assistente di ricerca, fino a quando la sua posizione viene terminata nel 1933. Karamihailova decide allora di continuare a lavorare in laboratorio anche senza stipendio e riesce a mantenersi dando lezioni private, ma è quasi sul punto di abbandonare per sempre la ricerca.
Nel 1935, dopo più di un decennio senza una posizione stabile, il talento scientifico di Elizaveta finalmente ottiene un importante riconoscimento: vince una borsa di studio della durata di tre anni presso il Cavendish Laboratory dell’Università di Cambridge. Questo era uno degli istituti di fisica nucleare più prestigiosi al mondo in quel periodo e ancora oggi è una meta molto ambita per chi fa ricerca; nelle sue stanze infatti sono passate decine di premi Nobel.
Al netto del prestigio scientifico, Elizaveta Karamihailova trova a Cambridge un ambiente molto diverso da quello austriaco: a Vienna c’erano molte altre donne e studenti stranieri, mentre in Inghilterra si ritrova a lavorare in un ambiente praticamente tutto maschile.
Dopo l’esperienza inglese Elizaveta Karamihailova rifiuta un’offerta di lavoro a Halle in Germania e torna di nuovo in Bulgaria perché nel 1939 ottiene (dopo alcuni tentativi andati a vuoto) il ruolo di docente di fisica sperimentale presso l’Università di Sofia, dove porta le sue conoscenze all’avanguardia maturate facendo ricerca all’estero.
Purtroppo, i suoi sforzi per creare un dipartimento di fisica nucleare praticamente da zero coincidono con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, e tutto si ferma. Nel 1940, il suo laboratorio consiste solo in un microscopio e una camera oscura, tanto che Elizaveta Karamihailova finirà per donare all’ateneo tutte le preziose attrezzature che aveva portato con sé da Vienna e Cambridge.
Il conflitto segna l’inizio del declino per la sua brillante carriera scientifica: anche se nel dopoguerra Elizaveta diventa la prima titolate della cattedra in fisica atomica appena istituita, paga un prezzo molto alto per le sue idee politiche. Infatti con l’instaurazione del regime comunista in Bulgaria, dal 1944 il partito intraprende una serie di epurazioni per eliminare i simpatizzanti “fascisti” dall’intero sistema educativo.
Karamihailova è anticomunista e le autorità lo sanno, ma riesce a mantenere il suo posto all’università, sebbene a causa dei suoi contatti con ricercatori che si trovano oltre la cortina di ferro il suo nome viene inserito nell’elenco dei cosiddetti “scienziati non affidabili”.
Per questo motivo, anche in seguito, Elizaveta Karamihailova subisce altri tentativi di emarginazione, oltre al divieto di viaggiare all’estero che le impedisce di partecipare a conferenze internazionali e collaborare con altri scienziati. Documenti ufficiali dell’epoca la descrivono come una “nemica del regime”, ma per fortuna due colleghi fisici la difendono presso le autorità competenti e così conserva il suo incarico, sebbene venga costretta a trasferirsi all’Accademia delle Scienze bulgara. Qui continua a fare ricerca passando però a studiare la radioattività nei fanghi termali e nelle acque minerali di cui è ricca la Bulgaria.
Questo clima di sospetto continuerà a perseguitare Karamihailova fino alla sua morte, avvenuta nel 1968 per un cancro probabilmente a causa dell’esposizione prolungata alle radiazioni, una sorte che la accomuna a molte persone che facevano ricerche in fisica nucleare. Solo dopo la sua morte e la fine del regime in Bulgaria, la statura scientifica della fisica bulgara verrà riconosciuta e apprezzata come avrebbe meritato anche in vita.
Le pioniere della radioattività
Elizaveta Karamihailova è stata una delle prime scienziate a studiare la radioattività, ma all’epoca anche altre donne in vari istituti di ricerca europei cercavano di farsi largo in un mondo quasi esclusivamente maschile. Lei per esempio è stata membro del gruppo di Vienna a cui appartenevano scienziate come le austriache Lise Meitner e Marietta Blau, la polacca Stefanie Horovitz o l’ungherese Elizabeth Rona.
Molte di queste pioniere condividevano una provenienza socio-culturale comune (erano figlie della classe media istruita) e alcune caratteristiche delle loro biografie spiegano molto bene cosa significava dedicarsi alla ricerca per una donna nella prima metà del Novecento.
Innanzitutto, la maggior parte di loro non si è sposata perché questo avrebbe significato quasi certamente la fine della carriera scientifica. Inoltre, tendevano a collaborare strettamente e a pubblicare i risultati delle loro ricerche in articoli a firme congiunte. Infine, spesso costruivano una rete di sostegno reciproco e mantenevano contatti personali che duravano anche per tutta la vita.
Oggi per fortuna la situazione è sicuramente molto diversa, ma nelle cosiddette discipline STEM (science, technology, engineering, mathematics) il divario di genere è ancora un problema non del tutto risolto, in Italia come all’estero.
Conoscere e celebrare vicende poco note come quella di Elizaveta Karamihailova può essere però un modo per ispirare nuove generazioni di ricercatrici e spianare la strada a un futuro in cui le ragazze e le donne possano pienamente realizzare il loro potenziale scientifico.
Science writer & editor, con una laurea in Scienze naturali all’Università di Trieste e un master in Comunicazione della scienza alla SISSA, lavora da 20 anni nell’editoria scolastica e scrive per vari magazine online (come Il Bo Live e La Falla), oltre a divertirsi con i podcast.