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Femminicidi in Kosovo: prodotto di una società che normalizza la violenza di genere

di Gezim Qadraku*

Secondo l’ONG Kosovo Women Network dal 2017 al 2020 sono stati almeno 74 i casi di femminicidi in Kosovo. I casi di violenza domestica riportati alla polizia sono passati dai 1.038 del 2015 ai 2.069 nel 2020. Il governo di Pristina non ha delle statistiche ufficiali riguardo i femminicidi; i casi riportati ufficialmente negli ultimi due anni sono 9, secondo il report pubblicato da Kosovo Women Network. Ciò che ha contraddistinto gli ultimi casi è stata la risposta arrivata dalla popolazione, che è scesa in piazza in massa per protestare contro la mano troppo leggera dello Stato nei confronti dei colpevoli e contro una società maschilista. Gli slogan più utilizzati nelle proteste sono stati #notonemore, non una di più, e #edukodjalin, educa il figlio maschio.

  • Marigona Osmani, 18 anni, stuprata prima dal suo ragazzo e successivamente da un amico di lui, morta a causa delle ripetute violenze il 22 agosto 2021
  • Shqiponja Isufi, 41 anni, rinomata economista e professoressa all’Università di St. Gallen, uccisa dal marito il 25 settembre 2022
  • Bambina di 11 anni stuprata da 5 ragazzi a Prishtina nell’agosto 2022
  • Sebahate Morina, 42 anni, uccisa dal marito il 14 marzo 2021
  • Armenda Aliu, 42 anni, uccisa dal marito con 14 colpi di pistola nell’agosto del 2019

Questi sono soltanto alcuni nomi delle vittime.

Una società maschilista

Per indagare questo fenomeno e provare a comprenderlo nella sua complessità, è necessario prendere in considerazione tre fattori fondamentali della società kosovara: la differenza di importanza della donna e dell’uomo, il ruolo del matrimonio e l’orgoglio.

Partendo dal primo fattore, si può tranquillamente dire che la società kosovara è patriarcale, maschilista. Il sesso utile è quello maschile, mentre quello femminile è di relativa importanza. La denigrazione verso la donna si manifesta ancora prima che questa venga alla luce. Sia uomini che donne, alla notizia del sesso di un neonato, se maschio, lo festeggiano e lo acclamano nelle maniere più disparate possibili. Mentre se femmina la reazione è diametralmente opposta. Con gradazioni che oscillano dalla finta e simulata felicità, come espressione massima di gioia, alla vera e propria delusione, come rappresentazione più sincera. Il maschilismo da parte del genere maschile è un qualcosa di prevedibile, mentre da parte del genere femminile è uno strano, difficilmente comprensibile, cortocircuito mentale. Soprattutto considerando come viene trattata la donna nella società kosovara.

Manifestazione contro i femminicidi in Kosovo, 8 marzo 2022 (Antigonë Isufi/Prishtina Insight)

Il suo ruolo nella società è circoscritto, con specifiche funzioni, residui diritti e innumerevoli doveri. L’indipendenza di essa non è previsto, perché il suo percorso è già scritto dal momento in cui viene alla luce. La donna è di proprietà del padre fino al giorno del matrimonio. Nel momento in cui si sposa, diventa proprietà del marito. Il primo periodo della sua esistenza è una corta, o lunga, preparazione per diventare ciò che di meglio un uomo possa trovare sul mercato da maritare e portare in casa. Nel secondo periodo, alla donna viene richiesto di essere una moglie obbediente, un’impeccabile donna di casa, di procreare (possibilmente almeno un maschio), crescere i figli ed essere sempre a disposizione del marito.

Questo però non deve far pensare che una ragazza kosovara cresca privata di diritti o che la società kosovara sia un enorme dittatura maschilista nel quale le donne vengono fatte muovere come dei burattini. Al contrario. L’immagine della società kosovara vista da occhi esterni, somiglia in tutto e per tutto a qualsiasi paese occidentale. Il diavolo, però, si manifesta dentro le mura di casa. Gli scheletri nell’armadio sono parecchi. Il punto cruciale della questione è che per quanto una donna kosovara possa essere in grado di raggiungere obiettivi personali nell’ambito dell’educazione e del lavoro, questo non le impedirà di poter fare a meno del matrimonio per essere completamente accettata dalla società. E il matrimonio, per la donna, significa diventare la donna di qualcuno. Con tutte le conseguenze che questo può comportare. Di conseguenza è molto probabile che la donna, anche dopo studi di un certo livello o traguardi importanti nell’ambito lavorativo, sia costretta a mettere da parte sé stessa per il matrimonio.

Successivamente, se il matrimonio non dovesse andare come previsto, la donna kosovara si troverebbe in una situazione di estrema difficoltà. Potrebbe tornare a casa dei genitori, se questi sono ancora in vita. Ma se così non fosse, non avrebbe più posto da nessuna parte. L’usanza vuole che i figli maschi ereditino la ricchezza del padre e nulla vada alle figlie, perché queste sono diventate proprietà del marito. E anche la legge, in questo caso, non aiuta le donne. Tornare a vivere dai fratelli non è un’opzione. Diventare o restare indipendenti risulta difficile, se non impossibile, perché nell’esercizio dell’essere una buona moglie, il lavoro e l’essere economicamente autonoma, non sono previsti. È un qualcosa del quale si può fare a meno. Ci pensa il maschio (in teoria) a portare i soldi in casa.

Questa descrizione è volutamente portata all’eccesso, per dare un’immagine degli estremi che la situazione può raggiungere. Quello che è stato descritto sopra non verrà mai ammesso da nessuno e non vi sembrerà vero se decideste di visitare il Kosovo. La mentalità della grande maggioranza delle persone però, con varie sfumature nel mezzo, ha alla base i concetti di cui sopra. La maggiore riprova a questa tesi è il modo in cui i figli vengono cresciuti.

Tornando all’evento della nascita di un neonato, risulta facile per uno spettatore esterno immaginare come venga trattato un figlio maschio, a differenza di una figlia femmina. Il maschio viene cresciuto come se fosse il re di casa. Egli ha qualsiasi diritto e potere dentro le mura di casa. L’esaltazione dell’importanza del maschio si accentua se egli ha sorelle. Queste verranno sempre messe in secondo piano. Il culmine di questa denigrazione si manifesta nell’incessante e instancabile ricerca da parte di un kosovaro medio di avere un figlio maschio. Obiettivo per il quale si è pronti ad arrivare fino agli aborti selettivi. Anche il femminicidio si manifesta prima che un neonato venga alla luce. Infatti verrà ucciso nella pancia della madre, soltanto perché femmina.

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La gabbia del matrimonio

Gli effetti di tutto il potere e delle sproporzionate attenzioni riversate sul figlio maschio durante la sua crescita, si ripercuotono immancabilmente nella fase adulta della sua vita. Con le conseguenze più estreme che si manifestano nel momento in cui la sua vita si unisce a quella di una donna. Cresciuto in un habitat dove tutto gli era dovuto, non è né fisicamente, né mentalmente pronto ad avere al proprio fianco una donna che abbia voce in capitolo. Il giovane ragazzo o l’uomo più maturo che si sposa, raggiunge il giorno del matrimonio con un passato nel quale ha avuto sempre luce verde in qualsiasi ambito, nel quale ha percepito che l’affetto, le attenzioni, l’amore nei suoi confronti sono maggiori rispetto alle sorelle, se le ha.

Un individuo del genere, portato all’estremo, pensa di poter fare e comportarsi come vuole nella società, ma soprattutto nel rapporto con un’altra donna. Perché per lui l’immagine della donna è quella della madre, che è stata una buona moglie ed è sottostata a ciò che il padre/marito ha sempre voluto, oppure la figura delle sorelle, le quali non hanno mai ricevuto lo stesso affetto, le stesse attenzioni e lo stessa considerazione di importanza che ha ricevuto lui. Di conseguenza, se dovesse capitare che al suo fianco si ritrovasse una donna che non abbassa la testa, che vuole essere indipendente, che reclama determinati diritti, o che a un certo punto decidesse di interrompere la relazione o di divorziare, il processo mentale del maschio va in tilt. Gli effetti estremi sono violenze domestiche, aborti selettivi e femminicidi.

Non riuscivo a sopportare quando si parlava di amore e matrimonio, di una intera esistenza programmata in anticipo: la moglie e il marito prescelti, almeno un figlio maschio, e nella mente sempre quel riverbero dell’onore, confezionato addosso a una persona come un vestito.

Pajtim Statovci, Le transizioni, Sellerio Editore, pag. 97

Alla diversa considerazione di importanza del sesso maschile rispetto a quello femminile, bisogna successivamente aggiungere quello che è l’obiettivo primario della società kosovara: il matrimonio. Per comprendere meglio l’importanza di ciò è necessario fare un salto nel passato, fino ai tempi nei quali vigeva il Kanun, codice consuetudinario che regolava la vita degli albanesi. Erano i tempi nei quali i matrimoni combinati erano la norma. Il Kanun prevedeva che del matrimonio se ne occupassero le due famiglie, non i diretti interessati. Queste norme sono fortunatamente diminuite e quasi scomparse, ma ciò che è rimasto è la mentalità alla base. Sono cambiati i costumi, i modi di celebrare un matrimonio, le usanze, è cambiata la narrativa, ma non è cambiato il fatto principale: ovvero che la donna passa da una casa all’altra, di proprietà in proprietà.

Memoriale ‘Heroina’ a Pristina dedicato alle donne albanesi del Kosovo sopravvissute allo stupro in tempo di guerra (Wikipedia)

C’è un curioso lapsus linguistico che si manifesta nel momento in cui il figlio o la figlia di una famiglia si sposa. A un primo impatto potrebbe sembrare uno di quegli errori grammaticali che in tutte le lingue del mondo diventano la forma più utilizzata nella forma parlata, ma in questo caso permette di capire come la mentalità, in termini di matrimonio, sia rimasta la stessa. Nel momento in cui un ragazzo kosovaro si sposa, i genitori non utilizzeranno la frase “nostro figlio si è sposato”, diranno invece “abbiamo sposato nostro figlio”, “e kena martu djalin”. La realtà dei fatti da una parte conferma, dall’altra smentisce questo lapsus. Se il matrimonio combinato è un qualcosa di quasi dimenticato e i kosovari si conoscono e iniziano una relazione amorosa nelle maniere più normali possibili, nel momento in cui i due soggetti decidono di rendere la notizia pubblica, si fa un salto nel passato.

Non sono previste cose come lo stare insieme per un lungo periodo, per non parlare della convivenza o dell’avere figli senza essere sposati. Ciò che succede in molti casi è che determinati componenti maschili della famiglia della figlia (padre, zii, cugini, nonno) visitino la famiglia del maschio e in quell’incontro avviene la conoscenza tra le due famiglie. Per meglio dire, tra i maschi delle due famiglie. Nella maggior parte dei casi, se tutto va bene, scatta il passaggio di proprietà. La relazione viene accettata, benedetta e i due hanno il via libera. Da quel momento in poi hanno soltanto un dovere: sposarsi. Anche se, probabilmente, non era ancora nei loro piani.

Credo che nel mio Paese la gente sia invecchiata così presto e morta così giovane per colpa delle menzogne che diceva. Proteggevano la loro reputazione, come una madre fa con un neonato, per evitare di finire sotto una luce sfavorevole, facevano ricorso a strategie di una precisione maniacale: non c’era falsità che non avrebbero raccontato di se stessi per salvare la cosa più importante, la faccia, perché dignità e onore li accompagnassero intatti fino alla tomba. Per tutta l’infanzia ho odiato questo dei miei genitori, e il mio odio era come il dolore di un’ustione o la sensazione di essere consumato dall’ansia, e ho giurato a me stesso che non sarei mai diventato come loro, che non mi sarebbe importato quel che la gente pensa di me, che non avrei invitato i miei vicini a pranzo per offrirgli quel che io non potevo permettermi di mangiare. Non sarei stato un albanese, in nessun modo, ma qualcun altro, chiunque altro.

Pajtim Statovci, Le transizioni, Sellerio Editore, pp. 13-14

Salvare l’onore

Nel scegliere di togliere la vita a una donna, un ruolo fondamentale lo gioca l’onore. Nella società kosovara l’onore è il fattore più importante di tutti, il primo della scala. Essere in grado di raggiungere lo standard di maschio che la società prevede è l’obiettivo principale di un uomo medio, la conditio sine qua non per mantenere la faccia, per elevare al massimo il proprio onore. E un uomo, per essere accettato dalla società, deve essere assolutamente sposato. Deve mettere su famiglia e avere almeno un figlio maschio. E deve comportarsi da uomo Alpha sia nei confronti della donna, che nei confronti dei figli. Deve dimostrare di avere potere e che l’unica parola che conta è la sua. Di conseguenza non può accettare che sia la donna, quella che per lui rappresenta il sesso inutile della società, a prendere una decisione di tale forza che vada a modificare la relazione o la vita dei due. Il maschio perderebbe di importanza sociale, la sua figura verrebbe considerata debole, una mancata reazione da parte sua ne intaccherebbe la faccia e l’orgoglio e di conseguenza, il modo più semplice per non permettere che tutto ciò accada e per mantenere la gerarchia di potere, è l’utilizzo della violenza. Per il maschio kosovaro, la parola debolezza non fa parte del suo dizionario. Ma è proprio decidendo di impedire a neonati femmine di venire alla luce, consumando violenze domestiche e uccidendo le donne, che i maschi kosovari continuano a dimostrare quanto sono deboli. Mentre la società kosovara, maschi e femmine incluse, portando avanti la differenziazione di importanza tra uomo e donna, e valutando il matrimonio come l’evento più importante della vita di una persona, non fa altro che mostrare una triste superficialità, una preoccupante incapacità di adattarsi ai tempi che cambiano, un’incomprensibile attaccamento a pratiche del passato e proseguendo in questo modo è destinata all’abisso più profondo.

*Nato in Kosovo, cresciuto in Italia, ora vive in Germania. Laurea triennale in Scienze Politiche Internazionali presso l’Università degli Studi di Milano e un Master in International Economics and Public Policy presso l’Università di Trier. Parla quattro lingue

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Redazione
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