di Francesco Martino, articolo pubblicato originariamente da Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa
L’industria del Gaming in Serbia è in ascesa esponenziale. Sono sempre di più le aziende del settore che crescono grazie alla mutua collaborazione. Francesco Martino, collaboratore di OBCT, ha intervistato Kristina Janković Obućina, direttrice della Serbian Game Association.
L’associazione è stata creata nel marzo 2018 da otto aziende serbe che si occupano di videogiochi, tutte diverse per dimensioni e tipologia di giochi prodotti. E lo scopo principale dell’associazione era proprio questo: ascoltare le voci variegate e le diverse prospettive all’interno dell’industria del gaming. La SGA è nata come organizzazione non governativa senza scopo di lucro, status che ha mantenuto fino ad oggi. La crescita è stata però esponenziale e a quattro anni dalla nostra fondazione abbiamo adesso più di 110 membri.
Nel settore c’era l’evidente sensazione che un’issociazione di questo tipo fosse necessaria e che tutto l’ecosistema ne avrebbe tratto beneficio. Con queste premesse, la SGA è nata sul modello di associazioni di categoria già presenti in altri paesi: da questo punto di vista non abbiamo inventato niente di nuovo.
Vi riferite a un paese o a una realtà specifica?
Stiamo parlando di associazioni di produttori di videogiochi già radicate: ad esempio, nel Regno Unito ne esiste una da più di tre decenni, quindi dalle origini stesse o quasi dell’industria dei videogiochi. Abbiamo sentito parlare molto bene anche di realtà della regione, come dell’associazione romena, e sapevamo che c’era qualcosa di attivo in Croazia, che è un po’ più simile alla Serbia in termini di dimensioni. Ma guardiamo con interesse a ciò che stanno facendo la Finlandia, la Francia, l’Italia e la Germania.
La SGA è stata fondata nel 2018, ma l’industria dei videogiochi in Serbia aveva già cominciato a muovere i suoi passi negli anni precedenti…
Alla data della creazione della nostra associazione in Serbia c’erano aziende attive in questo settore già da un decennio. In questa fase pionieristica c’erano un paio di aziende più grandi e alcuni studi medi e piccoli, soprattutto a Belgrado e Novi Sad, ma ognuno agiva in modo isolato e non c’erano forme strutturate di comunicazione tra gli attori del settore. Naturalmente sapevano l’uno dell’esistenza dell’altro, ma non vi erano scambi e l’ecosistema era frammentato.
Ora la situazione è molto diversa, e mi piace pensare che questo sia anche merito della nostra associazione. E anche Niš, nel sud del paese, è diventata progressivamente un cluster molto importante. L’espansione e il coinvolgimento di nuovi centri è stato in qualche modo accentuato dalla pandemia: si è stati costretti a rimanere casa e buona parte delle attività si sono spostate online. Al tempo stesso, le aziende più grandi hanno iniziato a cercare personale su tutto il territorio della Serbia.
La pandemia ha quindi paradossalmente rappresentato un’opportunità per l’industria serba del gioco?
Direi di sì, e sotto più aspetti. Innanzitutto, come accennato, si sono cercate risorse umane su tutto il territorio nazionale. Al tempo stesso con il lockdown è stato registrato un forte aumento della richiesta di nuovi videogiochi a livello globale: tutti i nostri associati hanno visto aumentare il numero di download e il numero di copie di videogiochi acquistate.
Sono poi aumentate le opportunità di seguire eventi online: ad esempio sono aumentate le opportunità di partecipare a conferenze europee in cui i giovani sviluppatori e le startup incontrano editori e investitori. Ci sono state molte più opportunità di fare rete e anche le aziende più grandi hanno capito che andare in ufficio tutti i giorni potrebbe non essere poi così necessario. Il modello di organizzazione del lavoro ne è uscito profondamente cambiato.
In termini numerici, il numero di aziende attive in Serbia è aumentato rapidamente…
In fondo noi serbi siamo una nazione di giocatori: in molti casi gli studi di realizzazione di videogiochi sono stati creati da giocatori incalliti e appassionati, che volevano lavorare su qualcosa che amavano. Alle radici del loro impegno professionale non c’è una motivazione commerciale, ma di passione. Inoltre, anche se al momento non abbiamo corsi di studi specifici per il gaming, ogni università qui offre un’ampia gamma di competenze e conoscenze. In Serbia siamo poi molto abituati a usare strumenti e servizi digitali e qui tutti parlano un ottimo inglese. Infine, l’industria del gaming ha iniziato a fiorire in un ecosistema di startup già consolidato nella creazione di applicazioni, software o hardware. Abbiamo avuto molte storie di successo nel settore IT in generale. Credo che anche questo ci abbia aiutato molto a crescere.
Qual è il modello di business delle società di videogiochi in Serbia? Lavorano per grandi società internazionali o sono operatori indipendenti?
All’inizio eravamo tutti convinti che le aziende serbe dovessero sfruttare soprattutto le opportunità di outsourcing delle grandi aziende internazionali. Fortunatamente, si è poi scoperto che la realtà è più articolata e oggi il 60% dei nostri membri e delle nostre aziende sta sviluppando prodotti originali, il che è fantastico. Alcuni studi finalizzano l’intera produzione di giochi per compagnie estere ma lo fanno come studi indipendenti. Nel frattempo ci sono state anche diverse acquisizioni molto importanti di aziende serbe da parte di realtà internazionali.
Che tipo di opportunità e servizi offrite alle aziende che decidono di far parte della vostra associazione?
Il nostro primo obiettivo è quello di mettere tutti in rete: eravamo e restiamo convinti che l’ecosistema beneficia degli scambi di esperienze ed errori; ecco perché abbiamo dato priorità a organizzare occasioni in cui potersi incontrare.
Offriamo poi opportunità di formazione, un programma di mentorship, workshop, sessioni di marketing a cui partecipano i principali veterani del settore, locali ma anche europei e mondiali.
Crescendo, abbiamo rafforzato connessioni con altri attori dell’ecosistema, per esempio con istituti di formazione, poi con altre aziende che offrono servizi fiscali o legali, ed oggi mettiamo i loro servizi a disposizione dei nostri membri. Abbiamo poi sviluppato il nostro sito web, che ora è un portale per tutto ciò che riguarda l’industria del gioco in Serbia. Sul sito abbiamo creato una piattaforma dove è possibile visualizzare ogni singola posizione aperta nell’industria dei videogiochi, un’opportunità assente in Serbia fino ad un paio di anni fa.
Uno dei progetti forse più importanti è poi il nostro rapporto annuale, che abbiamo messo in campo dalla nascita stessa della SGA. Fin dall’inizio ci siamo resi conto che non c’è modo di comunicare le esigenze del settore ai diversi stakeholders se non attraverso dati affidabili misurati anno dopo anno. Così nel 2018 abbiamo realizzato un questionario molto dettagliato, inviandolo a tutte le aziende dell’industria del gioco. Queste si sono fidate di noi e hanno compreso l’opportunità di condividere tutti i dati richiesti in modo molto trasparente.
Come sono cambiate in questi anni le esigenze delle aziende che fanno parte dell’organizzazione?
È cambiato il tipo di competenza professionale richiesto: quattro anni fa le aziende cercavano soprattutto artisti e sviluppatori, ora le posizioni più difficili da coprire sono quelle di produttori, game designer e specialisti della monetizzazione. Oggi ci sono molte più sfumature nel tipo di professionalità che viene richiesta dal mercato: si cercano competenze molto specifiche, il che dimostra che il prodotto e le aziende stanno maturando.
È possibile delineare un ritratto delle persone che lavorano nel settore del gaming in Serbia?
Posso condividere i dati che già misuriamo: oggi abbiamo circa 2.300 persone impiegate nel settore, di queste, il 30% sono donne, il che ci rende primatisti in Europa; secondo il rapporto della European Game Developers Federation la media mondiale è del 18%. Non abbiamo mai misurato ufficialmente l’età, ma posso dire che nella maggior parte dei casi è prevalentemente sotto i 40 anni. Direi che l’80% del settore ha un’istruzione di tipo universitario, ma non collegata all’industria del gioco. Quindi c’è stata molta formazione informale: si tratta spesso di artisti e sviluppatori autodidatti.
In molti settori economici, nei paesi dei Balcani occidentali l’emigrazione di personale qualificato (brain drain) è un problema serio. Anche per il vostro settore?
In generale, nell’industria delle tecnologie digitali e del gaming in particolare, in Serbia la cosiddetta “fuga dei cervelli” non è un problema particolarmente sentito. In questi anni abbiamo notato che le persone impegnate in questo settore sono molto felici di avere l’opportunità di lavorare restando in Serbia. Quindi finora le aziende del gaming sono state in grado di offrire ai propri specialisti incentivi sufficienti per rimanere qui: l’industria è relativamente giovane, e c’è la sensazione di contribuire a costruire qualcosa dalle fondamenta, il che è interessante per chi ne è coinvolto. Quello che manca però sono senior e team leader. Una soluzione è quella di attrarre talenti da altri paesi, ma sino ad ora non c’è stato molto successo, forse perché figure di questo tipo sono abituate a lavorare con team più grandi o con progetti di dimensioni più grandi di quelle che siamo oggi in grado di assicurare in Serbia.
Per i non esperti, l’industria del gaming sembra essere innovativa per definizione. Ma nello specifico, quali sono gli elementi più innovativi nel settore in Serbia?
I primi progetti di aziende serbe erano quindi una sorta di imitazione di modelli già sviluppati in paesi più avanzati, ma hanno avuto un grande successo. I successivi giochi sviluppati sono completamente diversi, vediamo emergere una crescente creatività. Credo che questo derivi soprattutto dal fatto che ai team di lavoro viene di solito lasciata la possibilità di pensare in libertà. E forse nel nostro contesto, essendo consapevoli di quanto sia difficile farcela, si apprezzano di più gli obiettivi raggiunti: quindi la creatività è forse stimolata di più rispetto a contesti dove molte cose sono date per scontate.
Quali i vostri rapporti con le università?
Nelle università serbe ci sono professionisti straordinari che si rendono conto della necessità di progredire e muoversi più velocemente. Per poter negoziare i cambiamenti necessari con il governo e le istituzioni, hanno però bisogno di una visione complessiva da parte dell’industria. Abbiamo creato una connessione tra ciò che accade nel settore del gaming e ciò che dovrebbe essere fatto nel sistema dell’istruzione: l’industria si muove così velocemente che gli strumenti cambiano ogni sei mesi. Registriamo alcuni successi: per esempio, la facoltà di drammaturgia sta aprendo un programma di quattro anni per le arti del gioco, gli effetti visivi (VFX) e l’animazione, il che è fantastico. Inizierà questo autunno, non vediamo l’ora.
Finora non ci sono state misure specifiche da parte del governo per sostenere l’industria del gaming in quanto tale?
Nessuna, nemmeno per l’ecosistema di startup che ho citato nel settore dell’IT. Inoltre, i nostri team in generale sono molto giovani, hanno poca pratica con la burocrazia. Quindi, anche quando vedono delle possibili opportunità fornite dalle istituzioni, hanno paura a infilarsi nelle trafile necessarie e interagire con l’amministrazione.
L’infrastruttura generale in Serbia, sia fisica che digitale, è sufficiente per le esigenze del settore?
Internet è molto buono ed economico in Serbia: questo è sicuramente un fattore molto positivo. Altri elementi aiutano: c’è ora un nuovo treno veloce tra Belgrado e Novi Sad, le due città cardine per il nostro settore. Prima ci volevano due ore e mezza di viaggio, ora bastano 30 minuti. Questo aiuta parecchio: ad esempio quando abbiamo organizzato un evento a Novi Sad sono venuti in moltissimi da Belgrado. Penso che questi elementi siano importanti, perché aiutano davvero a rendere possibile la partecipazione delle persone. Ci piacerebbe vedere lo stesso collegamento tra Niš e Belgrado.
Come organizzazione, promuovete la collaborazione tra aziende dello stesso settore. Non si pone però un problema di concorrenza interna?
L’unica cosa per cui esiste competizione sono le risorse umane. Se ci sono cinque studi impegnati sullo stesso gioco, in realtà ne usciranno cinque giochi diversi. E tutti hanno a disposizione il mercato globale. Quindi, in termini di prodotto, la concorrenza è pari a zero. In consiglio di amministrazione abbiamo sempre discusso apertamente di questo aspetto. Il nostro consiglio di amministrazione è composto da amministratori delegati di sette società diverse e non vogliamo che l’argomento sia un elefante nella stanza: la decisione finale è quella di lasciare che il mercato se la sbrighi da solo. Lasciamo ad esempio che siano i dipendenti a scegliere dove lavorare. Quindi, chi entra nel settore dei videogiochi ha a disposizione tutte queste aziende diverse tra cui scegliere. Ma credo che le nostre aziende siano abbastanza diverse da creare una sorta di linea logica di una possibile carriera: se sei, per esempio, un artista e hai appena iniziato, non hai esperienza, sai quale azienda è perfetta per te. Quindi vai lì, lavori per due anni, fai un po’ di esperienza e poi passerai a un’altra azienda che magari ha un prodotto più grande, più team. Oppure si può scegliere di andare in una startup e contribuire a qualcosa che è certo più piccola ma più simile a un progetto indipendente.
Resta aperta la questione della concorrenza per assumere i migliori talenti: i nostri associati hanno dichiarato che avranno bisogno prossimamente di 450 nuovi dipendenti. Si tratta di un aumento del 25% della forza lavoro del settore: a essere onesti, non c’è modo di trovare queste 450 persone in un anno, è quasi impossibile…
Quindi le aziende serbe di gaming crescono se il settore è collaborativo?
Certamente. Vi è un ottimo esempio di questo fenomeno: tre aziende che producono giochi per telefonia mobile, organizzano regolarmente meetup insieme. Sembra del tutto controintuitivo. Si contendono le stesse risorse umane, ma si sono unite e hanno organizzato questi incontri per dove forniscono informazioni, si presentano e lasciano che siano poi i singoli a decidere dove lavorare.
C’è qualche gioco di produzione serba che è diventato un successo mondiale in questi anni?
Top 11 di Nordics è ufficialmente il gioco mobile sportivo numero uno al mondo negli ultimi dieci anni. È un gioco di football manager. È pazzesco, ha avuto quasi 400 milioni di download, una follia. Un altro è UnderRail, un gioco di ruolo, famoso perché è molto difficile: e quelli che amano la “vecchia scuola”, i fan dei giochi di ruolo, lo adorano davvero.
Vorrei citare poi il successo dello studio 3Lateral, che è stato acquisito da Epic Games, sicuramente una delle prime cinque se non la prima azienda di videogiochi al mondo. Hanno sviluppato uno strumento per creare personaggi umani iper realistici. Si chiama “metahuman” ed è completamente gratuito: potete andare sul vostro computer e creare questi personaggi iperrealistici, utilizzandoli poi per il vostro gioco. Credo che sia una rivoluzione completa nel modo in cui vengono realizzati i videogiochi.
Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto “La mobilità del capitale umano dei e dai Balcani: quando l’innovazione riesce a frenare la fuga di cervelli” cofinanziato dal ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI). Il MAECI non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto. La responsabilità sui contenuti è unicamente di OBC Transeuropa. Vai alla pagina del progetto
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