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Il 7 settembre 1978 – giorno del 67esimo compleanno di Todor Živkov – il noto scrittore e giornalista bulgaro Georgi Markov sta aspettando l’autobus sul ponte di Waterloo, a Londra. Un passante lo urta col proprio ombrello, mugugna una scusa e si allontana in taxi. Markov avverte un dolore acuto alla coscia destra, simile a una puntura, ma non ci fa troppo caso e si reca a lavoro, alla sede dei servizi esteri della BBC. La sera stessa accusa febbre alta e dolore alla gamba colpita; la moglie Annabel decide di portarlo in ospedale.
L’11 settembre Georgi Markov muore per arresto cardiaco. L’autopsia rivela una microcapsula di platino e iridio nella sua coscia destra, contenente tracce di ricina, una potente citotossina di origine vegetale per la quale all’epoca non si conosce antidoto. Presumibilmente iniettata nell’urto con l’ombrello dello sconosciuto, il diametro della capsula è inferiore ai due millimetri. È il celeberrimo “caso dell’ombrello bulgaro”.
Nato a Sofia nel 1929, prima di diventare la voce dissidente di Radio Free Europe (RFE) Georgi Markov è il prosatore e soprattutto drammaturgo tra i più celebri della Bulgaria degli anni Sessanta. Carismatico e talentuoso, osannato dal regime, arriva a frequentare le più strette cerchie del potere, incluso lo stesso Todor Živkov (Segretario del Partito comunista bulgaro) che incontrerà personalmente sei volte. Proprio in quegli anni il governo bulgaro sembra promuovere una certa libertà di parola, addirittura incoraggiando critiche alle figure pubbliche; in realtà è una trappola volta a smascherare le vere intenzioni dei cittadini.
Alla fine degli anni Sessanta cresce in Markov, forte della sua indiscussa popolarità e dei suoi contatti con i vertici dello stato, l’illusione di poter risvegliare e influenzare la coscienza pubblica con la sua penna. Le sue opere si fanno sempre più apertamente contestatrici, abbracciando il tema dell’insoddisfazione individuale generata dallo stesso sistema statale sovietico.
La violenta stroncatura della Primavera di Praga nell’agosto del 1968 – tra i cui carri armati non mancano quelli bulgari – mette fine ad ogni tolleranza. Le pièce di Markov vengono censurate e rimosse dai cartelloni dei teatri di Sofia. Su consiglio di un amico, nel 1969 il drammaturgo lascia il paese e raggiunge suo fratello Nikola a Bologna. Markov spera di poter portare avanti i suoi progetti artistici in Italia, riuscendo perfino a incontrare Federico Fellini; purtroppo però la barriera linguistica lo isola, impedendogli di perseguire i suoi obiettivi.
Nel 1970 si trasferisce a Londra, dove nel 1972 inizia il suo lavoro di giornalista nella sezione bulgara della BBC. Nello stesso anno, in patria è condannato in contumacia a sei anni e sei mesi di carcere. Qualche tempo dopo diventa collaboratore delle stazioni radio di Deutsche Welle e RFE. Dal 1975 redige aspre analisi in cui denuncia le criticità della Bulgaria socialista, dal titolo “Reportage sulla Bulgaria in contumacia” (Zadočni reportaži za Bălgarija), trasmesse settimanalmente da RFE.
Nell’autunno 1977 a questi ultimi si aggiungono 11 episodi dal titolo “Incontri con Živkov” (Srešti s Živkov), sempre firmati da Markov; il segretario generale del Partito comunista bulgaro viene contestato per la sua rozza interferenza nei circoli culturali e il devoto servilismo a Mosca. Per Živkov, impegnato nel culto della propria personalità, è la goccia che fa traboccare il vaso: Georgi Markov deve essere “liquidato”.
Tra gennaio e aprile 1978 il ministero degli affari esteri bulgaro chiede per due volte all’ambasciatore inglese di dare a Markov l’ultimatum: smettere di attaccare Živkov o il governo avrebbe preso provvedimenti. Il giornalista riceve svariate minacce di morte. Nel frattempo Živkov presenta al KGB la richiesta di “neutralizzare” lo scrittore dissidente. Markov è ancora cittadino bulgaro e la magistratura avrebbe dovuto innanzitutto avviare un’indagine per accertare i motivi di tale richiesta, ma ciò non accade. La notizia della morte di Georgi Markov non viene diffusa in Bulgaria; sulla vicenda regnerà il silenzio più totale fino agli anni Novanta.
Nel 1990 un dirigente del Comitato per la Sicurezza dello Stato (Dăržavna sigurnost, DS), il generale Vladimir Todorov, distrugge parte dei fascicoli riguardanti la vicenda Markov. Nel 1992 Todorov è condannato a 14 mesi di reclusione, e nel 1993 un’inchiesta bulgara stabilisce il coinvolgimento del membro del PGU (il dipartimento esteri dei servizi segreti bulgari) Francesco Gullino, un cittadino danese nato in Piemonte nel 1945. Gullino è l’unico agente della DS presente a Londra all’epoca dell’omicidio Markov; interrogato per sei ore nel febbraio 1993 da detective danesi e inglesi, Gullino ammette l’attività di spionaggio ma nega ogni coinvolgimento con l’assassinio. Le ricerche del giornalista bulgaro Christo Christov, pubblicate nel 2008, consentono di estendere le investigazioni per altri cinque anni, superando così il massimo consentito di trenta. I documenti segreti della polizia non forniscono però ulteriori piste per la soluzione del caso e l’11 settembre 2013 le indagini vengono chiuse.
L’ombrello bulgaro, l’arma sospettata di aver avvelenato Markov attraverso un meccanismo pneumatico nella punta azionabile del manico, non è mai stato rinvenuto e rimane un congegno ipotetico. Dieci giorni prima dell’attentato al ponte di Waterloo, nella metropolitana di Parigi viene iniettata una microcapsula identica a quella che riceverà Markov al dissidente e giornalista bulgaro Vladimir Kostov, anch’egli collaboratore di RFE. Gli abiti pesanti impediscono alla capsula di penetrare in profondità, permettendo a Kostov di salvarsi. L’11 novembre 2014 nel centro di Sofia è stata inaugurata una statua in memoria di Georgi Markov.
Proponiamo qui la traduzione di un saggio tratto dal volume “La menzogna collettiva” (Kolektivnijat falš), pubblicato in Bulgaria nel 2019, che raccoglie articoli scritti e letti dal dissidente Georgi Markov ai microfoni di Deutsche Welle e BBC Radio tra il 1971 e il 1978.
“I debiti della letteratura bulgara contemporanea”, un saggio di Georgi Markov
Ogni volta che il partito valuta lo stato della letteratura bulgara contemporanea, sia che la consideri riuscita oppure no, arriva immancabilmente alla conclusione che essa è in debito con il tempo e la vita.
Mi trovo pienamente d’accordo con questa affermazione. Mentre però secondo gli ideologi il debito della letteratura bulgara contemporanea consiste nell’assenza di “opere apertamente schierate con il partito e rappresentazioni coinvolgenti di eroi positivi”, richiesta fin troppo metafisica, a mio parere questo disavanzo si manifesta in modo molto più semplice e chiaro – fuga dalle vere problematiche della vita e del momento, e inerzia nella ricerca di nuove forme artistiche. Se ammettiamo cioè che la letteratura è il riflesso dell’esistenza di una determinata società in un determinato periodo, dobbiamo affermare che il debito della letteratura bulgara contemporanea sta nel non rappresentare la vita della propria società e del proprio tempo così com’è nella realtà.
Da un punto di vista oggettivo, difficilmente in tutta la storia bulgara c’è stata epoca più ricca di conflitti, traumi sociali e individuali, drammi e cambiamenti, che vanno dalle alterazioni del paesaggio alla sostituzione forzata di una mentalità con un’altra, di una morale con un’altra, di un mondo con un altro mondo. Difficilmente un’altra epoca avrebbe potuto offrire una gamma di temi e soggetti più vasta, una varietà di prototipi più cospicua, idee formali più interessanti. La letteratura bulgara odierna è senza alcun dubbio lontana dall’attingere dal presente. Quasi tutto ciò che in essa c’è di considerevole in fatto di idee e intreccio è più o meno distante da questo presente. Se ci atteniamo all’elenco ufficiale dei successi di tale produzione, vediamo che i contenuti sono storici, pseudocontemporanei, oppure semplicemente fuori dal tempo, e bisogna sforzare la propria immaginazione per cercarci dentro un qualche minimo riverbero allegorico della vita attuale in Bulgaria.
[…]
Arriviamo quindi al primo grande argomento della nostra modernità – il conflitto tra l’individuo e la società. È un conflitto vecchio come il mondo, ma che da noi adesso ha assunto nuove dimensioni e portata. Mai prima d’ora un individuo era stato posto in maniera tanto chiara e categorica davanti al rifiuto della propria personalità per diventare componente omologato di una società omologata. “Tu non sei più ciò che sei, ma ciò che ci serve tu sia”. L’effetto di questo slogan sull’esistenza contiene un potenziale letterario tra i più drammatici. Rinnegare sé stessi è molto più di un suicidio fisico, perché la vita non finisce, ma si divide in due metà che si contraddicono a vicenda, creando un inferno morale. Perché per fortuna o sfortuna l’essere umano ricorda la propria identità e istintivamente si sforza di raggiungerla, e ciò trapela anche da sotto l’uniforme meglio fabbricata.
Prendiamo l’esempio più semplice di rinnegamento di sé stessi. Vi trovate a una riunione in cui si sta decidendo una questione importante. Il vostro parere è esattamente l’opposto della delibera in fase di approvazione, ma voi DOVETE alzare la mano ed esprimervi a favore. Il processo di sollevamento della mano (che in quel momento probabilmente pesa tonnellate) coincide con il rifiuto della vostra coscienza, della vostra morale, della vostra individualità. State votando contro voi stessi. E così come siete costretti a rinnegare voi stessi, potrete essere costretti a rinnegare il vostro amore, il vostro lavoro, la vostra prole, il vostro senso estetico, il vostro dolore – tutto ciò che vi è caro e di cui la vostra identità vive. Dovete essere come gli altri, poiché questi ultimi non vogliono ci sia nessuno a ricordare loro ciò che sono davvero.
Passiamo al secondo argomento contemporaneo – il potere. Nell’ambiente bulgaro non c’è argomento più attuale e terrificante del potere. Persino il Caligola di Albert Camus, con tutta la sua sfrenata onnipotenza di demone dispotico, impallidirebbe davanti ai risvolti odierni del potere in Bulgaria. Ma in tutta la nostra letteratura le raffigurazioni incerte e schematiche dei vari leader provano a convincerci di una qualche coscienza “benevola” a guida dell’esistenza. Nessuna traccia degli attimi diabolici del giorno in cui il potere si abbatterà con tutta la sua intensità per opprimervi, costringervi, rovesciarvi, bloccarvi, punirvi, soggiogarvi. Il potere che a tratti prende la forma di un enorme muro invalicabile contro cui potete sbattere la testa, di una mano che vi afferra per condurvi, delle tenebre che calano per spaventarvi, di una valuta inestimabile che vi permette di avere tutto, del mattino limpido in cui capite che non vi è rimasto più niente…
Il potere che vi insegna che così come hanno oppresso voi, un giorno potrete opprimere il prossimo. Il potere che soppianta tutti gli altri diritti. […]
Il terzo grande argomento ci porta ineluttabilmente a giustificare i primi due. L’affermazione che tutto venga fatto per il bene del popolo, e non in questa nostra epoca, ma in qualche astratto futuro che porta il nome di comunismo, è un qualcosa in cui nemmeno il fanatico più disperato del nostro paese non crede. Non suona troppo strano che il tema comunista sia completamente assente da una letteratura che si definisce tale? Qual è questa via verso il comunismo che costa così cara? In che direzione porta? Quali sono gli ostacoli da affrontare? Quali le sue tappe? Quando raggiungeremo il traguardo e cosa significa la vita in esso – sono domande a cui non si può né rispondere, né tentare di dare una risposta. Per secoli la Chiesa ha ribadito che i poveri e i bisognosi sarebbero stati ricompensati in Paradiso. Ma se tuttavia l’immaginario creativo della Chiesa ha generato l’Inferno di Dante, quello del Partito non ha generato niente. Per lunghi anni in letteratura c’è stato l’appello a delineare il ritratto del comunista. Dato che non esisteva nella realtà, alcuni scrittori hanno coscienziosamente tentato di crearne uno seguendo le indicazioni dell’ideologia, ma non ci sono riusciti, perché è impossibile dare forma viva a un’illusione morta, primitiva. La presenza del comunismo nella nostra letteratura contemporanea si riduce a favole vuote. E il ritratto del comunista è incarnato negli stereotipi dello stacanovista entusiasta, del fedele funzionario della DS [i servizi segreti statali, NdT] oppure del capo di partito perennemente saggio.
Se però da un lato la letteratura bulgara rifugge timidamente il tema del comunismo, dall’altro non può essere lodata per aver evitato di giustificarlo. In nome del Partito, del popolo o del comunismo sono stati compiuti crimini e abusi clamorosi. Ogni peccato può essere assolto, basta che chi l’ha commesso dimostri di averlo fatto in nome del Partito. Ma la letteratura bulgara sa benissimo che molti di questi eroi hanno agito per tornaconto personale, hanno ucciso, tormentato oppure distrutto per tornaconto personale, hanno appagato i loro istinti, e la responsabilità è abilmente ricaduta sull’uniforme. È davvero possibile giustificare tutto con la scusa del Partito e del comunismo? Gli scrittori non vogliono rispondere a questa domanda, che introdurrebbe un elemento realmente attuale nelle loro opere.
Il sentimento più ampiamente diffuso e radicato nella Bulgaria odierna è la paura. La gente ha avuto paura in tutti i periodi storici e a tutte le latitudini geografiche. Anche il popolo bulgaro ha attraversato periodi spaventosi. Ma pare si possano trovare pochi esempi di paura trasformata in istinto e motivo fondante. Paura che assume funzioni di comando pari a quelle di chi governa. Paura che divora le norme morali e fracassa il buonsenso. Paura non tanto della morte (che è comprensibile), bensì di tutto e per tutto. Io perlomeno non conosco una sola persona da noi che non abbia dimostrato di aver paura. Non è questione di codardia, ma di paura in tutte le sue declinazioni – dalla prudenza troppo cauta al panico più incontenibile. Paura che vi costringe a conformarvi e riconformarvi, autocensurarvi, cedere e capitolare, guardarvi le spalle, adulare, riverire, applaudire e scandire slogan, imprecare, giurare o negare, allearvi, cercare protezione sotto l’ala calda di qualcuno… Stefan Zweig a suo tempo aveva scritto un brillante racconto sulla paura di una madre verso il proprio figlio, il quale l’aveva involontariamente vista insieme al suo amante. In tutta la nostra produzione contemporanea non c’è nemmeno l’ombra di un bambino a osservare le nostre trasfigurazioni vigliacche.
Tuttavia, anche quando affronta un argomento contemporaneo, la letteratura bulgara odierna non esce molto dal tracciato. Mi riferisco al tema dell’eroismo. Ci sono mucchi di poesie, decine di pièce e minimo cinque dozzine di romanzi che tentano di sviluppare questo tema, ovviamente circoscritto a uno e un solo aspetto – l’abnegazione di sé in nome del partito e del popolo. Di norma gli eroi sono funzionari della DS oppure operai. Chiunque riderebbe di una tale concezione dell’eroismo. Nessuno di questi personaggi è portatore di una qualche verità o ideale convincente, né più semplicemente di una morale elevata. I funzionari е gli operai sono eroi perché svolgono bene il proprio lavoro. E non una riga sull’eroismo di chi cerca di vivere seguendo le proprie convinzioni, guidato dal senso del dovere nei confronti della verità e dall’amore per il prossimo. In un modo o nell’altro la vita nella Bulgaria attuale offre prototipi di eroi che si espongono, a torto o ragione, resistendo coraggiosamente a pressioni e attacchi. L’elemento eroico è fondamentale nelle vite della nostra gente, ma non nell’espressione della nostra letteratura.
Escludendo il promettente romanzo breve Matriarcato di Georgi Mišev (1) e alcuni componimenti poetici, nella nostra letteratura manca anche il grande tema della donna. Mancano figure femminili appassionate e forti, nonostante abbondino nella realtà. Mi sto sforzando di ricordarne almeno una, sul palco o nei libri, che rifletta i grandi cambiamenti subentrati nella vita delle donne bulgare. Non ci riesco. Logicamente manca anche il tema amoroso. Quello che ci viene servito non va oltre il romanzetto scadente riformulato in stile socialista.
Ma più di tutto pare che oggigiorno nella nostra letteratura manchi la mentalità dell’autore. Per quanto mi piaccia Jordan Radičkov (2), nei suoi scritti non riesco a trovare molta attinenza con la mentalità contemporanea. Perché sia chiaro a cosa mi riferisco, lasciatemi indicare la mentalità di Tolstoj come espressione della sua Russia, quella di William Faulkner come espressione della sua America. Oppure quella di nonno Vazov (3), o di Javorov (4)… Il tema più rappresentato dagli scrittori sembra essere l’appiattimento dell’individualità. Indubbiamente abbiamo professionisti bravi, gente che sa scrivere e descrivere, ma ci mancano quelle personalità che i grandi autori hanno sempre rappresentato. Come ogni altra nazione, la letteratura bulgara dispone di persone di talento, e ciò suona a dir poco paradossale, perché le loro opere non ne testimoniano affatto le capacità. Qualcuno dirà che tutta la loro produzione non ha nulla a che fare con il talento, paragonandoli agli scrittori sovietici. Tutti ammetteranno che i debiti della letteratura bulgara moderna con il presente sono la copia esatta di quelli della letteratura sovietica. Quest’ultima per giunta si staglia in un territorio con una tradizione straordinariamente ricca, un territorio che definirei impegnativo. E dato che i maestri russi hanno trasformato la propria epoca in letteratura mondiale, non è possibile accettare la bassa statura dei loro eredi.
Se devo riassumere brevemente in cosa consiste il debito della letteratura bulgara contemporanea, direi nella mancanza di onestà nei confronti della vita. Il debito di uno scrittore sta invece nell’assenza di lealtà verso il proprio talento.
Questa traduzione è uscita originariamente su Est/ranei.
(1) Georgi Mišev (1935) noto scenografo e scrittore bulgaro. Da molti dei suoi racconti sono state tratte alcune delle principali produzioni cinematografiche degli anni Settanta, decennio d’oro della filmografia bulgara. (2) Jordan Radičkov (1929-2004) è uno degli autori bulgari più celebri e amati. Il suo stile, a volte definito come realismo magico balcanico, combina elementi allegorici e fantastici. (3) Ivan Vazov (1850-1921) poeta, drammaturgo e scrittore, capostipite della letteratura bulgara. Politicamente impegnato, la sua opera è permeata dalla spinta risorgimentale che condusse la Bulgaria all’indipendenza dal giogo ottomano nel 1878. (4) Pejo Javorov (1877-1914) poeta simbolista bulgaro. Oltre alle liriche amorose scrisse anche componimenti a sostegno della causa indipendente macedone e armena.
Traduttrice, interprete e scout letterario. S'interessa di letteratura, storia e cultura est-europea, in particolar modo bulgara. Ha vissuto e studiato in Russia (Arcangelo), Croazia (Zagabria) e soprattutto Bulgaria, dove ha conseguito la laurea in traduzione presso l'Università di Sofia “San Clemente di Ocrida”. Tra le collaborazioni passate e presenti East Journal, Est/ranei, le riviste bulgare Literaturen Vestnik e Toest, e l'Istituto Italiano di Cultura di Sofia. Nel 2023 è stata finalista del premio Peroto per la migliore traduzione dal bulgaro in lingua straniera e nel 2024 vincitrice del premio Polski Kot. Collabora con varie case editrici e viaggia a est con Kukushka tours.