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Nonostante le atrocità russe, gli ucraini cercano di rimanere legati agli elementi della loro vita quotidiana, completamente stravolta dallo scoppio della guerra totale lo scorso 24 febbraio. Pur sotto un cielo di bombe e missili la vita continua, si tira avanti cercando la normalità giorno dopo giorno. Una normalità che fa rima anche con sport.
Lo dimostrano le maggiori competizioni sportive che, almeno su suolo nazionale, dallo scorso agosto sono in pieno svolgimento sotto il motto ufficiale “Uniti dallo stesso coraggio” (My odnijei smilyvosti), pensato per tirare su il morale agli ucraini e all’esercito, spesso e volentieri composto da giocatori e atleti che sono partiti per il fronte. Ma cosa sta succedendo allo sport ucraino? Come si svolgono le partite e le manifestazioni sportive in tempo di guerra, durante i bombardamenti aerei e senza tifosi sugli spalti? Qual è l’atmosfera dentro e fuori dal campo?
Lo sport ucraino sotto legge marziale
La realtà della guerra ha in un certo senso congelato la vita sportiva in Ucraina, che si svolge in maniera totalmente rivisitata rispetto ai tempi di pace. Se le competizioni nazionali più seguite (calcio su tutte) sembrano svolgersi regolarmente, lo sport a livello locale e scolastico ha sicuramente subito perdite irreparabili: l’industria sportiva è, voglia o non voglia, in declino.
Nonostante l’impegno delle federazioni interessate e degli appassionati per salvare il salvabile, oggi l’Ucraina rischia di perdere intere generazioni di atleti e sportivi che dovrebbero sostituire gli attuali leader in futuro. Lo sport a livello scolastico, per bambini e ragazzi, o di competizioni tra club è, infatti, attualmente fermo non solo per motivi di sicurezza, ma anche a causa delle restrizioni imposte dalla legge marziale, in vigore da febbraio.
Sotto legge marziale, gli atleti ucraini, i tecnici e gli allenatori delle squadre nazionali devono richiedere un permesso per poter partecipare ai tornei ufficiali all’estero (ricordiamo che agli uomini di età compresa tra i 18 e i 60 anni non è permesso lasciare il paese secondo le norme dettate dalla mobilitazione). A tal proposito, a marzo sono state create condizioni speciali per gli atleti su iniziativa del presidente Volodymyr Zelens’kyj, il quale ha constatato che in tempi di guerra le vittorie “esterne” (non legate al conflitto in corso) hanno un impatto positivo sull’immagine del paese.
L’hanno dimostrato anche le storie condivise sui social da alcuni atleti ucraini. Come il vincitore della medaglia di bronzo al salto in alto ai Campionati europei di atletica leggera 2022 di Monaco di Baviera, Andrij Procenko, che ha raccontato di come si è allenato con l’aiuto di simulatori fatti in casa nella città occupata di Cherson e le difficoltà che ha dovuto affrontare per riuscire a fuggire dopo un mese e mezzo dall’inizio del conflitto.
O ancora, la mezzofondista Ol’ha Ljachova che ha raccontato di come sua nonna sia morta di freddo e di fame in un appartamento di Rubižne, nella regione di Luhans’k.
Le squadre restano o se ne vanno?
Leggermente diverso il discorso relativo agli sport di squadra. Le squadre nazionali maschili e giovanili di pallavolo si sono allenate in Estonia per due mesi a spese del paese ospitante. Allo stesso modo, nelle migliori condizioni, prima a Brumov-Bylnice (Repubblica Ceca) e poi a Lugano (Svizzera), la squadra giovanile ucraina di hockey si è preparata per due mesi al Campionato del Mondo (anche qui le spese sono state interamente coperte dagli ospitali padroni di casa).
Le Nazionali, però, sono solo la punta dell’iceberg: la sua parte sommersa è l’ambiente dei campionati locali, che si sono per forza di cosa fermati. Un numero enorme di atleti per molto tempo non ha potuto né gareggiare, né allenarsi, altri sono addirittura partiti per l’estero a giocare con altri club.
Rendendosi conto della complessità della situazione, il ministero della Gioventù e dello Sport ucraino ha permesso di organizzare gare sportive senza spettatori in alcune regioni a partire già da maggio nel rispetto, ovviamente, di tutte le misure di sicurezza.
Nessuno, però, può garantire la sicurezza fino in fondo, data la natura caotica degli attacchi missilistici russi. Per questo motivo, alcuni mesi fa sono state avanzate alcune proposte per organizzare i campionati ucraini all’estero, ma sono spese che solo l’industria del calcio (maschile e, anche in questo caso, in maniera limitata) può permettersi. L’unico a intraprendere questa scelta è stato il club di Rinat Achmetov, lo Šachtar Donec’k, che ha disputato le partite del campionato ucraino e della Champions League in Polonia, nell’arena di casa del Legia Varsavia, allo Stadio dell’Esercito Polacco. Le altre sedici squadre giocano in Ucraina, nelle città non occupate e dove è garantito un minimo di sicurezza.
Ci ha creduto fino all’ultimo, si sentiva sicuro che lo sport sarebbe tornato nella data (il giorno prima della celebrazione dell’indipendenza ucraina) prevista: così Andrij Pavelko, presidente della Federazione di calcio dell’Ucraina, era preparato ad affrontare un nuovo campionato a suon di palloni, spinto dal supporto del presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj. Entrambi erano d’accordo che il ritorno del calcio avrebbe risollevato l’animo degli ucraini: fu così che il 23 agosto è stata disputata la prima partita della Prem’’jer Liha 2022-2023 tra lo Šachtar Donec’k e il Metalist 1925 nello stadio Olimpico di Kyiv.
Allo scoppio del conflitto, si sono messe in moto tutta una serie di questioni relative al futuro delle discipline sportive e alla sicurezza degli atleti: ore e ore spese per evacuare squadre, giocatori, arbitri e allenatori; finché poi, un giorno, è arrivato il momento (ma soprattutto la voglia) di tornare in pista: anzi, in campo! Nuovi protocolli di sicurezza sono stati approvati sulla carta, senza sapere se avrebbero mai funzionato nella realtà: come fare con i tifosi, dovevano essere ammessi sugli spalti? L’orario e il luogo preciso delle partite dovevano essere tenuti segreti? E cosa fare quando le sirene antiaeree interrompono il gioco? Tutte decisioni che hanno richiesto lunghe riflessioni, ma certamente necessarie in tempi di guerra.
C’è da ribadire, però, che il calcio ucraino non molla facilmente (caratteristica che sembrerebbe diffusa tra i cittadini ucraini, che continuano a resistere all’invasione): la Prem’’jer Liha ha perso solo due squadre con lo scoppio della guerra, il Mariupol’ (di cui, purtroppo, conosciamo la storia) e il Desna Černihiv (il cui stadio è stato distrutto da un missile russo).
Naturalmente, il livello di competitività del campionato non è lo stesso di prima. Non ci sono praticamente più giocatori stranieri: il solo giocatore non ucraino dello Šachtar Donec’k è Lassina Traore del Burkina Faso (mentre sappiamo bene che la squadra era formata da un’importante presenza di brasiliani); la Dynamo Kyiv ha avuto due “stranieri” nelle partite di qualificazione alla Champions League, il polacco Tomasz Kędziora e lo sloveno Benjamin Verbič, che tuttavia ha lasciato dopo la seconda partita perché ha firmato un contratto con i greci del Panathinaikos.
Voci dal calcio femminile ucraino
Anche il calcio femminile, il cui campionato è iniziato il 10 settembre (quello maschile, invece, il 23 agosto) non fa eccezione e sostiene, come può, questa battaglia.
Probabilmente il nome di Natija Panculaja non dirà molto. Panculaja è, però, una delle migliori calciatrici professioniste ucraine, centrocampista dello Žytlobud-2 (squadra di Charkiv che attualmente domina il campionato femminile) e giocatrice chiave della Nazionale.
In una recente intervista per Future of Ukraine Fellow, Panculaja (ucraina di origine georgiana) condivide le sue opinioni sulla guerra in corso e le preoccupazioni per il futuro del suo paese e della sua attività sportiva. Si rende conto dei cambiamenti che questa guerra ha portato all’interno delle squadre, sia nel calcio femminile che in quello maschile, ma ritiene importante continuare a giocare e a proseguire con il campionato nonostante le difficoltà perché, in un momento così difficile, il calcio (o qualsiasi altra disciplina sportiva) è uno strumento importante che unisce gli ucraini, che aiuta a distrarli e a sollevare loro il morale. Inoltre, ritiene che “il paese non deve fermarsi perché l’economia deve funzionare. Il calcio femminile, ovviamente, non incide così tanto sull’economia, ma il calcio maschile è un elemento significativo. È molto positivo che il campionato sia ripreso, la gente deve continuare a vivere”.
Tutt’altro che intimorita nel rispondere alle domande sul conflitto in corso, la trentenne Panculaja attraverso le sue dichiarazioni (particolarmente dure nei confronti della Russia e anche del popolo russo) dimostra tutto il suo carisma e la sua voglia di vincere, una peremoha (vittoria) che va oltre lo spirito prettamente sportivo e che rivela una dedizione totale per il suo paese e la sua patria. Come lei stessa conclude, “oggi viviamo in un periodo in cui ogni parola è importante e bisogna esprimere la propria opinione, essere ciò che si vuole in questa vita”.
Perché, in fondo, non prendere posizione significa prendere una posizione.
I giovani nello sport: un futuro tutt’altro che roseo
Il calcio maschile, assicurato dal suo pubblico, molto probabilmente sopravviverà all’assenza di giocatori stranieri, grazie anche a un’industria solida che può contare sugli aiuti internazionali e su club che sono di proprietà di imprenditori e magnati di un certo rango.
Il problema rimane per gli altri sport, diffusi ma non allo stesso livello del calcio. L’hockey, disciplina molto popolare anche in Russia e Bielorussia, con cui si disputavano le migliori partite amichevoli e nazionali, ha difficoltà a ingranare anche a causa delle strutture sportive a disposizione; inoltre, bisogna sottolineare che molti giocatori del campionato ucraino provenivano dalla Russia.
Pallacanestro e pallavolo non se la cavano molto meglio: molti club hanno dovuto chiudere anche per mancanza di personale (giocatori, ma anche allenatori, tecnici, arbitri e gestori dei club stessi), mentre gli atleti più fortunati hanno firmato contratti in club esteri (come il caso recente di Vladyslav Nikolajčuk della nazionale ucraina di pallacanestro U18 e del Ternopil’ che ora gioca in Italia, al Metauro Basket Academy). A riguardo, il segretario generale della Federazione ucraina di pallacanestro, Volodymyr Drabikovs’kyj, ha spiegato le difficoltà della nuova stagione della Superliha: “Molte squadre sono scomparse dalla mappa del basket ucraino. Si tratta soprattutto di squadre provenienti dai territori temporaneamente occupati. […] La decisione di iniziare un nuovo campionato è stata difficile, ma dobbiamo imparare a vivere una vita normale anche in condizioni così difficili. Se tutto andrà bene e vinceremo in primavera, cambieremo anche il format e introdurremo i playoff”.
Molti giovani atleti hanno accettato di stabilirsi all’estero per continuare la propria carriera sportiva. Ma cosa accadrà quando (e se) otterranno i passaporti dei paesi che li hanno accolti, si dimenticheranno della propria patria? Insomma, è possibile che tra un decennio vedremo giocatori con cognomi ucraini nelle squadre nazionali di Svizzera, Germania, Italia o Francia. D’altronde, è già successo nei Balcani, regione reduce di una guerra finita 27 anni fa.
Traduttrice e redattrice, la sua passione per l’est è nata ad Astrachan’, alle foci del Volga, grazie all’anno di scambio con Intercultura. Gli studi di slavistica all’Università di Udine e di Tartu l’hanno poi spinta ad approfondire le realtà oltrecortina, in particolare quella russa e quella ucraina. Vive a Kyiv dal 2017, collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso, MicroMega e Valigia Blu. Nel 2022 ha tradotto dall’ucraino il reportage “Mosaico Ucraino” di Olesja Jaremčuk, edito da Bottega Errante.