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Quello che successe negli anni Novanta al di là dell’Adriatico non ha influito così tanto nella produzione musicale del tempo. Sono pochi i gruppi a essersi interessati a quella che chiamavamo “guerra nei Balcani”. Un’eccezione sono stati i CSI e Giovanni Lindo Ferretti che hanno inciso ben tre canzoni sulle guerre jugoslave: Cupe vampe, Nessuno fece nulla e Memorie di una testa tagliata.
Chi erano i CSI
I CSI o Consorzio Suonatori Indipendenti è stato un gruppo di musica italiana attivo dal 1992. Dalle parole – postume – di Giovanni Lindo Ferretti:
[l’iniziativa] “CCCP Fedeli alla Linea”, una teatralità barbarico futurista; la soffocammo tra i calcinacci del muro di Berlino e dissi: – mai più –. Una manciata di canzoni si coalizzò in fronte di resistenza rivendicando un altro spazio vitale. Complice la malattia, tra un ricovero ospedaliero e una convalescenza in tour, la Musica si impose e la Tecnica dettò legge.
Giovanni Lindo Ferretti, contenuta nell’album “A cuor contento”
Nascono i CSI, il nucleo emiliano incontra quello toscano: Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni, da una parte, Gianni Maroccolo e Francesco Magnelli (in uscita dai Litfiba) dall’altra. Il quinto è il tecnico del suono Giorgio Canali. Proprio lui dirà in un’intervista a IndieEye:
Quella famiglia era molto particolare, si chiamava Consorzio dei Suonatori Indipendenti proprio perché ognuno viveva indipendentemente, anche nella testa, dagli altri e ognuno aveva un approccio musicale, artistico, etico, politico e mentale personalissimo.
La canzone dedicata alla guerra nei Balcani che ha avuto più successo è Cupe Vampe. La traccia vede la luce all’interno del disco Linea Gotica, nel 1996, dura 5 minuti e 14 secondi e parla dell’incendio della Vijećnica, la Biblioteca di Sarajevo, durante l’assedio della città.
Lo stato delle cose, il punto di partenza: la Jugoslavia. Anni di guerra feroce sulle rive del mare Adriatico, morti, feriti, orrore. Anni di viltà, di disinteresse o di alti interessi, di un qualche tornaconto anche enorme.
L’Europa che vuole contare, quella che fa i conti e con cui bisogna farli, in questo secolo con le leggi razziali e la conseguente distruzione della sua componente ebraica si è macchiata di un abominio che la guerra e la Resistenza hanno potuto farci credere, se non perdonato, almeno fortemente scontato. La Jugoslavia è qui a ricordarci che non è vero. Da questa eterna cloaca di sangue, spirito, interessi economici sgorga continuamente il nostro peggio e il nostro meglio e non riusciamo a porvi rimedio.
Libretto di Linea Gotica
Il testo è di Giovanni Lindo Ferretti, mentre la musica di Gianni Maroccolo, Francesco Magnelli, Giorgio Canali e Massimo Zamboni.
La prima parte della canzone prova a ricreare la situazione di assedio che ha stretto Sarajevo per un tempo impensabilmente lungo. Il freddo, il buio, l’incertezza. Poi fa il suo ingresso l’incendio, infame, che colpisce la biblioteca, intesa come ultimo luogo dove poter trovare ancora: “possibili percorsi, le mappe, le memorie, l’aiuto degli altri”. Se si rivolgono gli occhi al cielo, come durante una preghiera, l’unica cosa che si può vedere è il fumo, che avvolge la città in “cupe vampe”.
Con la seconda parte della canzone, il ritmo cambia radicalmente e trascina l’immobilismo dell’assedio in un inutile tentativo di spiegare il perché di tutto ciò:
Cupe vampe livide stanze occhio cecchino etnico assassino alto il sole: sete e sudore piena la luna: nessuna fortuna ci fotte la guerra che armi non ha ci fotte la pace che ammazza qua e là ci fottono i preti i pope i mullah l’Onu, la Nato, la civiltà Bella la vita dentro un catino bersaglio mobile d’ogni cecchino bella la vita a Sarajevo città questa è la favola della viltà.
Sarajevo è il mondo che si è voltato dall’altra parte, che ha fatto finta di non vedere, che quando ha fatto qualcosa l’ha fatto controvoglia e senza i giusti modi. Ha lasciato morire gli “Slavi del sud, europei dei Balcani”, europei come noi. Non si cerchino scuse adesso: “è la favola della viltà”.
Nessuno fece nulla
La traccia non compare in un album da studio, ma soltanto nel secondo disco dell’opera di commiato dei CSI, Noi non ci saremo. Non è una vera e propria canzone, ma un recitativo, dalla ripetizione ipnotica, che Giovanni Lindo Ferretti ha portato più volte dal vivo. L’autore originale è il bosniaco Nedžad Maksumić, che aveva scritto una sorta di testo vademecum per i tempi di guerra: Indicazioni stradali scritte per terra.
Nedžad Maksumić è nato il 4 maggio 1961 a Mostar. Pubblica la prima raccolta di poesie, Un uomo in mare, nel 1983. Dal 1983 al 1997 vive come profugo in Italia. In lingua italiana pubblica la raccolta di annotazioni diaristiche Regna un grande silenzio nel 1994. È presente nell’antologia di letteratura contemporanea della Bosnia Erzegovina Qualcuno dovrà dopo tutto, pubblicato a Roma nel 1994. Nel 1997 le sue poesie vengono pubblicate sull’antologia di poesia contemporanea, House of many rooms (Londra). Oltre che in italiano, è tradotto in inglese, svedese e polacco. Si occupa di teatro come attore e regista. È fondatore e direttore artistico del teatro Lik. Dal luglio 1997 è tornato a Mostar. (La casa della poesia)
L’opera del poeta è più lunga e si compone di una ventina di punti, mentre la canzone dei CSI si ferma un po’ prima, anche se la voce di Giovanni Lindo Ferretti e l’accompagnamento minimal la rendono potente e allo stesso tempo estremamente straniante.
Il testo della canzone dei CSI inizia con una scena quasi idilliaca:
Era un anno fertile per il grano, come mai in passato: era tutto in abbondanza. Era un anno fertile per il grano, come mai in passato: era tutto in abbondanza.
Quelli che erano malati cronici e desideravano la morte, consegnarono finalmente con un sorriso l’anima a dio… l’anima a dio… l’anima a dio.
Nei giorni dei grandi temporali il cielo era rosso, la pioggia portava con sé la polvere dei deserti d’oltremare.
Tuttavia il momento incantevole è subito rotto dall’amara presa di coscienza da parte di chi conosce questo mondo e che ne ha già vissuta un’altra.
I vecchi dissero: ci sarà la guerra! (Stari rekoše: Biće rata!)
La notizia prende alla sprovvista chi si immaginava una vita diversa, che non sa che fare. Non rimane che cantare per non consegnare le canzoni alla guerra. Purtroppo “nessuno fece nulla”. Da questo momento in poi inizia una lista di azioni da compiere per comportarsi durante il conflitto. Sono consigli duri, onesti, che squarciano il velo di ipocrisia dei caldi salotti occidentali:
Le lunghe disquisizioni sull’insensatezza della guerra del professore di una volta, in un battere d’occhio si trasformano in un selvaggio grido di guerra, appena egli viene a conoscenza del fatto che il suo bambino è giù, morto in strada.
I valori si sovvertono, quello che era vero non lo è più, “in guerra nessuno è matto”. La magia, la fortuna, “gli amuleti” diventano parte fondamentale della vita di tutti noi. Il denaro conta solo nella misura in cui può garantire la salvezza. La sopravvivenza fisica diventa l’unico obiettivo dell’uomo, ma anche la conservazione della sua memoria è preziosa:
Proteggi i ricordi: le fotografie, le prove scritte del fatto che sei esistito. Se tutto brucia, perdi tutto. Se ti prendono tutto, dovrai dimostrare a te stesso che una volta tu eri.
Memorie di una testa tagliata
La canzone è la più vecchia delle tre e compare nell’album del 1994, Ko de Mondo, ed è la preferita dell’autore di questo articolo. Il testo racconta le impressioni di una testa tagliata che ormai poco prima di lasciare la vita si prende gli ultimi istanti per raccontarci quello che sta succedendo al mondo.
È una traccia struggente, malinconica. La voce di chi ha perso: ha capito quello di cui l’uomo è capace. Non lo pensava, ma lo ha dovuto capire suo malgrado. Il limite ormai è oltrepassato.
Chi è che sa di che siamo capaci tutti Vanificato il limite oramai Vanificato il limite
Eppure il mondo rimane un posto con una sua insita bellezza. Mentre la testa che ha perso il suo corpo muore, intorno a sé non c’è altro che bellezza naturale. Il mondo va avanti con o senza gli uomini.
Si avvicina l’inverno Soffice crepitio sulla terra Pomeriggio dolce assolato terso Sotto un cielo slavo del Sud Slavo cielo del Sud non senza grazia
Il corpo è lontano, immobile, senza vita. Eppure la “testa tagliata” non offre rancore.
La Mia Testa Tagliata Porge Uno sguardo Fisso Immutabile ormai Sguardo Compassionevole Replay La mia testa Tagliata Replay Sguardo compassionevole Sguardo fisso oramai
In un’intervista a Vice del 17 novembre 2016, Massimo Zamboni parla di questa canzone e di cosa abbia significato per lui e per tutti i CSI. Una sorta di bomba a orologeria che ha sancito la fine del gruppo. Riportiamo di seguito le due domande decisive:
Però non spingevate tutti nella stessa direzione?
No. Ad esempio, quando uscì Memorie di una testa tagliata fui molto perplesso. Dissi, “Se noi facciamo questo, state attenti che poi dopo lo facciamo sul serio.” Lo stesso valeva per canzoni come Fuochi nella notte, che non è semplice ma è molto bella ━ un pezzo che ti fa ballare nonostante abbia un testo profondissimo… Secondo me questa cosa non è stata compresa interamente dai CSI.
Mi puoi spiegare meglio che cosa intendevi con “farlo sul serio?” E in che senso la cosa non fu “compresa” dagli altri?
Linea Gotica ripercorre Memorie di una testa tagliata come decisione nell’esplorare anche il peggio del mondo, le cose peggiori che accadono. Ma una volta messi alla prova davvero, i CSI non hanno avuto questa capacità. Quando siamo andati a Mostar a suonare, mi sono reso conto che quel luogo era una faccenda che riguardava me e Giovanni e non i CSI. Ed è stato un momento molto pesante, perché avrei voluto da quelli che avevano composto quelle canzoni più adesione alla realtà.
Non possiamo fare una Memorie astratta, o solo perché sui giornali leggiamo cose terribili. Andiamole a verificare dove le teste si tagliano davvero, se siamo capaci a reggerlo. Secondo me non era un pensiero sbagliato, io sono disponibilissimo a confrontarmici. È il mio mondo intellettuale attuale. Però se ti butti lì ti ci devi buttare, non puoi assaggiarlo e poi ritirarti. E secondo me è una delle molle mai dette che ci hanno spinto a trovare strade diverse.
Mentre “Uno si dichiara indipendente e se ne va, uno si raccoglie nella propria intimità, l’ultimo proclama una totale estraneità”, la Jugoslavia andava in pezzi. Con lei finivano in un vortice distruttivo anche le sue genti. Guardarle dall’Italia, cantarle eventualmente non era abbastanza, almeno per qualcuno. I CCCP erano già morti, i CSI li avrebbero seguiti poco dopo. Un certo genere di kombat-music aveva gli anni contati.
Con malinconia riguardo indietro e rimpiango di essere stato troppo giovane.
Autore dei libri “Questo è il mio posto” e “Curva Est” - di cui anima l’omonima pagina Facebook - (Urbone Publishing), "Predrag difende Sarajevo" (Garrincha edizioni) e "Balkan Football Club" (Bottega Errante Edizioni), e dei podcast “Lokomotiv” e “Conference Call”. Fra le sue collaborazioni passate e presenti SportPeople, L’Ultimo Uomo, QuattroTreTre e Linea Mediana. Da settembre 2019 a dicembre 2021 ha coordinato la redazione sportiva di East Journal.