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La traiettoria di un paese è spesso evidenziata dalla street art. In questo articolo raccontiamo cosa ci dicono i graffiti politici di Tbilisi e Belgrado sulla Georgia e la Serbia.
Dal 2022, a Tbilisi e a Belgrado sono comparsi numerosi graffiti politici: mentre la popolazione georgiana ha espresso in essi la propria ostilità nei confronti dell’emigrazione russa, in Serbia i muri sono invece diventati dei campi di battaglia dove si scontrano nazionalisti e liberali. In entrambi i casi, la street art ha assunto un ruolo vitale nella discussione civile sulla guerra in Ucraina e sul ruolo dell’Unione Europea e della Nato.
L’emigrazione russa
Dall’inizio della guerra in Ucraina quasi un milione di russi ha abbandonato il proprio paese in due grandi ondate, la prima, immediatamente dopo l’attacco, e la seconda per sfuggire alla mobilitazione parziale del 21 settembre 2022. La Georgia e la Serbia sono state destinazioni d’arrivo popolari non solo perché i cittadini russi non sono soggetti all’obbligo di visto, ma anche perché i partiti di maggioranza dei due paesi, Sogno Georgiano e il Partito Progressista Serbo, non hanno aderito alle sanzioni imposte alla Russia dall’Unione Europea.
Come conseguenza di questa emigrazione, i russi hanno registrato un grande numero di imprese che ora sono diventate la spina dorsale di diversi settori dell’economia locale, come quello informatico. Tale ingerenza sul mercato ha contribuito in modo significativo all’aumento del PIL del paese ospitante (nel caso della Georgia, addirittura del 10% nel 2023), in molti casi senza però che si ottenessero ricadute positive per il benessere generale della popolazione, anzi, allargando ulteriormente la forbice sociale. A Tbilisi, per esempio, gli affitti sono triplicati e l’aumento del costo della vita ha decisamente danneggiato la popolazione georgiana.
Il grande flusso di rifugiati politici ha poi stravolto la demografia dei paesi ospitanti e inserito automaticamente i russi nel dibattito civile; ma, se in Serbia la popolazione è tutto sommato favorevole all’immigrazione russa, in Georgia le presenza russofona è considerata da molti con timore come possibile pretesto per una futura invasione.
La libera circolazione di persone poco gradite dal punto di vista diplomatico all’interno di Serbia e Georgia ha ulteriormente complicato le negoziazioni per l’ingresso nell’Unione europea.
La soluzione più praticabile proposta da Bruxelles sarebbe l’obbligatorietà del visto, ma né il governo georgiano né quello serbo hanno per ora intenzione di procedere in questa direzione. Unica voce dissonante è quella della presidente Georgia Salomé Zourabichvili, che sarebbe favorevole a regolare l’ingresso dei cittadini russi, come richiede anche parte della società civile. Infine, i membri del Parlamento europeo hanno espresso preoccupazione per il fatto che, attraverso le attività aziendali russe nei due paesi, vengono eluse le sanzioni imposte alla Russia.
La complessità della situazione e l’atteggiamento differente di Georgia e Serbia hanno un riflesso evidente nella street art. In Georgia, i graffiti danno voce al sentimento popolare filo-europeista, pro-Nato e contrario alle politiche di Vladimir Putin; in Serbia, invece, è esploso un dibattito a distanza tra nazionalisti serbi filorussi e attivisti antiguerra.
A Tbilisi, i russi non sono benvenuti
A seguito dell’attacco all’Ucraina, i sentimenti anti-russi della società georgiana sono rifioriti e hanno riportato al centro della discussione pubblica il ruolo della Russia nella vita del paese e, soprattutto, l’occupazione da parte dell’esercito russo del 20% del territorio georgiano.
Dall’agosto del 2008, infatti, la Russia mantiene il controllo delle regioni separatiste dell’Abcasia e dell’Ossezia del Sud. Inoltre, negli anni Mosca ha portato progressivamente avanti un processo unilaterale di demarcazione della linea di contatto tra le due regioni separatiste e le aree controllate da Tbilisi che è andato a colpire gli abitanti delle regioni di frontiera, a cui può capitare, da un giorno all’altro, a esempio di rimaner tagliati fuori dai propri terreni agricoli.
Dopo aver raggiunto l’indipendenza, come l’Ucraina, la Georgia ha cercato di controbilanciare l’influenza russa avvicinandosi all’Unione Europa e alla Nato.
Quando il regime di Putin si è servito dei separatisti come giustificazione per invadere il Donbas, i georgiani hanno subito difeso Kyiv, dato che i russi avevano usato anche nel 2008 gli indipendentisti dell’Ossezia del Sud per attaccare la Georgia. Per questo, quando si cammina per le strade di Tbilisi, non è raro incontrare slogan quali: “Russi, andate a casa!”, “Non sarete mai i benvenuti in Georgia!”, e “la Russia è uno stato terrorista”, accompagnati sia dalla bandiera georgiana e ucraina, sia da quella dell’Europa e della Nato.
Questo comune sentire trova voce anche altrove; a Batumi, una dichiarazione dell’Organizzazione per la pace, il sostegno e la solidarietà recita:
“Il regime politico di Stalin e di Putin è un’occupazione. L’Abcasia e l’Ossezia del Sud sono parte del territorio della Georgia. La Georgia non si considererà mai amica del suo occupante, fino a quando sarà occupata. Il progresso, lo sviluppo e la sicurezza del paese sono garantiti dall’Unione europea e la Nato”.
Nonostante il supporto continuo della popolazione georgiana alla causa ucraina, il Sogno Georgiano continua a mantenersi neutrale, suscitando lo sconcerto di molti, che vedono in ciò la prova evidente dei legami delle élite politiche del paese, in particolare l’oligarca Bidzina Ivanishvili, con Putin. Tuttavia, la discussione civile non si concentra tanto sui problemi interni del governo georgiano, quanto di nuovo sulla presenza russa, naturalmente valutata nel modo più negativo possibile. I georgiani, infatti, marginalizzano i russi e non ne tollerano una partecipazione attiva. Anche quando l’emigrazione protesta contro l’iniquità del regime, i locali li esortano a protestare in Russia, senza rifugiarsi in una Georgia ancora occupata.
A seguito della morte di Aleksej Naval’nyj, i russi hanno iniziato a protestare con più frequenza, attirando l’attenzione anche dei canali di informazione in lingua georgiana, come Radio Tavisupleba. Infine, durante il “mezzogiorno contro Putin” indetto dall’opposizione russa in sede elettorale il 17 marzo 2024, gli attivisti hanno distribuito dei volantini sui quali, per la prima volta, si parlava dell’occupazione dell’Abcasia e dell’Ossezia del Sud: “Sai cos’è successo il sette agosto del 2008?”. Sebbene non sia assolutamente sicuro che questo possa mostrare la comunità russa con un occhio più favorevole ai georgiani, si tratta comunque di un notevole passo avanti.
La battaglia di graffiti nelle vie di Belgrado
Da lungo tempo Belgrado ha portato avanti un delicato gioco di equilibri tra le sue aspirazioni all’Ue e i legami etnici e religiosi, ma soprattutto politici ed economici, con la Russia. Mosca, infatti, viene considerata molto vicina poiché ha sostenuto apertamente la Serbia, rifiutando il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo nel 2008. In più, l’attuale governo di Aleksandar Vučić non solo non partecipa alle sanzioni contro la Federazione Russa, ma dal 2023 ha perseguitato politicamente alcuni membri di spicco dell’opposizione russa di Belgrado.
Secondo Jovana Geogievski, reporter della BBC Eye Investigation, la conseguenza sociale più grave della guerra in Ucraina è stata il risorgere dei movimenti nazionalisti serbi. Infatti, mentre il resto dell’Europa mostrava il suo supporto all’Ucraina, in Serbia il gruppo di estrema destra People’s patrol (nato per proteggere i cittadini serbi dai migranti clandestini provenienti dal medio oriente e dal nord Africa) ha organizzato manifestazioni pro-Putin.
Come spiega il fondatore del movimento, Knezević, “i serbi sono fratelli di sangue dei russi” e il legame tra i due paesi è saldo nelle comuni posizioni anti-occidentali e anti-Nato. Questo atteggiamento del nazionalismo serbo risale al 1999, quando Belgrado, ancora capitale della Jugoslavia, è stata brutalmente bombardata dalle forze Nato a causa della deportazione della popolazione albanese dal Kosovo da parte dell’esercito. Nella città, i palazzi distrutti dalle bombe non sono mai stati ricostruiti, e fungono da perenne memoria della violenza dell’occidente; davanti allo scheletro della Radio Television of Serbia, è stata eretta una lapide che recita solamente: “Perché?”.
Per le strade di Belgrado, agli slogan per la riunificazione con la “terra sacra” del Kosovo, si aggiungono quindi molti simboli filorussi. Nello specifico, il People’s patrolha cominciato a tappezzare i muri della città con le lettere “Z” e “V”, utilizzate dalla propaganda putiniana per invocare la vittoria dell’esercito russo sul “il regime nazista di Kyiv”, o con i simboli del gruppo mercenario Wagner a cui i nazionalisti sembrano essersi affiliati. Inoltre, gli ultras della street art hanno dipinto anche grandi murales, che raffigurano Putin ‘fratello’, soldati deceduti in Ucraina nelle file russe (come Stefan Dimitrijević), e persino Dar’ja Dugina, la figlia del nazionalista Dugin morta in un attentato a Mosca.
Attivisti serbi liberali avversano la propaganda putiniana cancellando le “Z” e danneggiando i murales ultras, i quali vengono poi prontamente risistemati. Gli antagonisti sono contrari al culto della violenza dei nazionalisti e si identificano nell’esperienza dei cittadini russi in emigrazione, costretti a partecipare ad elezioni già decise, come accade anche nel loro paese. Il partito di Vučić governa infatti da più di dieci anni; di recente, l’Unione europea ha condannato il risultato elettorale di Belgrado del dicembre 2023 per brogli, costringendo il partito ad indire nuove votazioni per giugno 2024.
Anche le organizzazioni antiguerra russe, come la Russian Democratic Society, si dedicano alla rimozione di graffiti pro-Putin, a cui sovrappongono i colori della bandiera della Russia libera, in cui il colore rosso, simbolo della violenza e della guerra, viene sostituito dal bianco, per la pace. Tuttavia, molto spesso gli attivisti vengono attaccati o fermati dalle forze di polizia, rischiando il mancato rinnovo del permesso di soggiorno: per esempio, Il’ja Žernov è stato costretto a trasferirsi a Berlino per aver ridisegnato un graffito che recitava ‘morte all’Ucraina’. Per questo, le loro azioni ora avvengono in clandestinità, anche se la partecipazione numerosa alle proteste il giorno delle elezioni ha ridato alla comunità molta forza.
I graffiti politici di Tbilisi e Belgrado e il futuro della Georgia e della Serbia
In Georgia e in Serbia, la street art è diventata il campo di discussione sociale privilegiato sull’emigrazione russa e il regime di Putin, contestato o supportato in base al suo ruolo nei territori contesi dell’Abcasa e dell’Ossezia del Sud, e del Kosovo. Infatti, se Tbilisi vede nell’occupazione di un quinto del suo territorio il motivo principale per distanziarsi dalla Russia e avvicinarsi all’Unione Europea e alla Nato, per Belgrado l’aiuto della Federazione Russa nel bloccare il riconoscimento del governo di Pristina è fondamentale. Sarà interessante vedere quali dinamiche si svilupperanno a venire, con una comunità russa anti-guerra sempre più vocale nel suo dissenso, e lo sviluppo dei negoziati europei nei Balcani e con la neocandidata Georgia.
Studentessa del master in East European and Eurasian studies (MIREES) presso l’università di Bologna. S’interessa della storia, politica e cultura dello spazio post-sovietico, specialmente nel Caucaso. Ha vissuto sei mesi a Tbilisi, e per un breve periodo a Mosca.