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Habič, Hostnik e Stefanović: tre interviste immaginarie ai grandi della musica jugoslava

Dietro ad ogni complesso musicale ci sono delle persone: sensibili, testarde, talentuose, irascibili, malinconiche, determinate e fragili allo stesso tempo. In questo pezzo vi presentiamo delle interviste immaginarie con tre artisti che hanno lasciato un’impronta indelebile sulla scena rock e new wave dell’ex Jugoslavia: Primoz Habič, il primo frontman dei Niet, morto per overdose nel 1991; Tomaž Hostnik, primo cantante dei Laibach, morto suicida giovanissimo nel 1982; e Margita Stefanović, storica tastierista degli Ekatarina Velika e icona rock, morta povera e senza casa nel 2002.

Primož Habič (1967-1991): la stella dei Niet

Primož, dove sei nato, quando ti sei appassionato di musica?

Sono nato in Slovenia nel 1967. Ho trascorso la gioventù nella capitale slovena, Lubiana. Ero appassionato di musica, poesia e arte. Ho imparato a cantare da autodidatta, in un periodo in cui la scena alternativa era in agitazione. I miei amici mi dicevano spesso che ero una persona particolare e rara.

Di quale formazione musicale hai fatto parte in tale contesto?

Sono stato il primo cantante del gruppo sloveno di culto, i Niet. Sin da subito abbiamo saputo distinguerci sia per il genere di musica che proponevamo sia per i testi incisivi delle nostre canzoni. A seguito degli sviluppi del punk, nel 1984, a Lubiana prese piede il cosiddetto movimento hardcore. Ne facevamo parte all’inizio e così ci siamo conquistati anche i primi fan. Gradualmente ci siamo distaccati dalla scena hardcore. Dalle altre formazioni di riferimento, tra cui gli U.B.R, Stres DA e la compagine tutta al femminile Tožibabe, ci siamo distinti per una maggiore melodicità musicale e grazie ad una più ampia varietà del nostro repertorio.

Leggi anche Niet, la band di culto che spinge a guardare l’animo nel profondo

Puoi descrivere sinteticamente l’ensemble a chi ancora non lo conosce?

I Niet sono un complesso che potremmo collocare nel novero dei gruppi punk europei, anche se, quando ne facevo parte, preferivamo discostarci dalle etichette convenzionali. Più che altro ritengo questa collocazione utile per presentare la band ai giovani, che magari non conoscono bene i generi musicali di quaranta o trent’anni fa. I Niet hanno ancora un gran seguito in Slovenia. Le nostre hit del passato sono ancora apprezzate: Depresija, Ruski vohun, Bil je maj, Vijolice, Petek zvečer e Februar, per citarne alcune.

I Niet hanno influenzato tutta una serie di gruppi più o meno indipendenti, basti pensare che in molti ci hanno omaggiato con l’ottimo album di cover del 1998, intitolato Drž’te jih! To niso Niet!!! (“Acchiappateli, non sono i Niet!!!”). Alla realizzazione dello stesso hanno partecipato i Srečna Mladina, Deca Loših Muzičara, Scuffy Dogs, Rodoljubac, Godscard, Zablujena Generacija e Psycho-Path e molti altri ancora.

Quali sono stati i tuoi meriti con i Niet e nell’ambito musicale più in generale?

Sono stato il loro primo frontman e ho lasciato un segno profondo nel repertorio musicale del gruppo nonché nell’immaginario collettivo degli appassionati fan. Me ne sono andato nel 1991, quando avevo da poco compiuto 24 anni. Credo che questo mio allontanamento definitivo abbia segnato ancor più nel profondo chi ci ascoltava, decretando, paradossalmente, un senso di rispetto e profonda appartenenza alla musica dei Niet. Mi piace pensare che tutto ciò abbia ispirato tanti giovani a porsi delle domande, a scavare nel profondo della nostra musica, per capire quanto variegata ed espressiva possa essere la musica alternativa e hardcore.

Tomaž Hostnik (1961-1982): il primo frontman (autoritario) dei Laibach

Tomaž, da dove vieni, quale è stato il tuo background culturale?

Sono nato nel novembre del 1961 a Medvode, una piccola cittadina slovena dove si incontrano il fiume Sava e il suo affluente Sora. Dopo aver concluso la scuola superiore a Lubiana mi sono iscritto al corso universitario di pedagogia. Nutrivo altresì una forte passione per la musica e l’arte: pertanto mi sono subito inserito nella formazione dei Laibach.

Come ti sei trovato col suddetto gruppo?

Correva l’anno 1981 quando ne sono entrato a far parte. All’epoca il complesso ha mosso i primi passi, suscitando parecchio interesse ma attirando anche alcune critiche della società. Ho contribuito a scrivere il documento programmatico dei Laibach, che rimane tutt’oggi un testo fondamentale per comprendere la dimensione avanguardistica del gruppo nonché del progetto che ha portato avanti negli anni seguenti nonostante alcune censure importanti a livello politico e mediatico. Ho aderito alla scelta dell’epoca di firmarmi con uno pseudonimo: a questo proposito ho scelto lo pseudonimo “Ivo Saliger”.

Puoi illustrarci le caratteristiche dei Laibach per coglierne il senso?

Sono fiero di aver contribuito all’evoluzione di questa band nel primo periodo. Di norma i Laibach sono oggi conosciuti soprattutto da chi segue la musica alternativa contemporanea. Si tratta di un progetto musicale di qualità. Anche se talvolta vengono accostati ai Rammstein, i Laibach si sono distinti negli anni per un ecletticismo unico. Non hanno cercato un collocamento predefinito né un qualche tipo di “comfort zone” nel panorama musicale europeo.

Una caratteristica è data dal fatto che il gruppo concede ampio margine al singolo ascoltatore di decodificare i concerti dal vivo, le canzoni, i simboli usati sulle copertine. In questo senso, si tratta probabilmente di uno dei gruppi che concedono maggiore libertà d’interpretazione, stimolando riflessioni, anche se dalle pose sul palco potrebbe sembrare proprio il contrario…

Quali sono i tuoi meriti nell’opera laibachiana?

Nei primi anni Ottanta i Laibach hanno saputo dare spazio e visibilità alla cultura indipendente e alla controcultura slovena. Con loro ho composto alcuni testi e brani. Tra questi vorrei citare Apologija Laibach, che ho concepito come una vera e propria poesia. Se mi permettete di citare il verso iniziale:

Da quando voi,
figli della verità,
siete fratelli dell’oscurità?

A mio modo ho anche cercato di calare sul palco la figura della personalità di culto. Davanti al microfono ho impersonato pose e atteggiamenti che rimandano alle figure autoritarie dei politici del passato e dei dittatori. Ricordo che in una circostanza, durante un concerto al teatro Križanke, qualcuno dal pubblico mi ha scagliato contro un oggetto contundente, prendendomi in pieno volto. Ma l’arte è fanatismo e io ho continuato nelle mie pose sul palco portando avanti la performance. Quella sera la battaglia l’ho vinta io.

Se ho un merito, è sicuramente quello di aver seminato bene a livello artistico assieme ai miei compagni dei Laibach. Ho preferito andarmene presto, lasciando agli altri la possibilità di proseguire sul percorso artistico intrapreso, che nel suo genere è unico ed è destinato a rimanere tale per sempre.

Margita Stefanović (1959-2002): icona rock e tastierista degli Ekatarina Velika

Margita, raccontaci di te e delle tue scelte di vita

Sono nata a Belgrado nell’aprile del 1959. Avevo una predisposizione per la musica e la cultura in genere. Ho seguito con profitto la Scuola di musica “Josip Slavenski” – una scuola che vanta una lunga tradizione (venne fondata nel 1937). Essendomi distinta già nella giovane età per il mio talento, mi è stata offerta una borsa di studio al Conservatorio statale di Mosca, ma ho deciso di rifiutare questa possibilità. La mia scelta si è in seguito concentrata sugli studi di architettura, che ho seguito all’Università di Belgrado.

Gli amici mi chiamavano con l’appellativo “Magi”. Quando ho iniziato a suonare professionalmente mi sono interessata da vicino della scena underground e degli stili di vita non convenzionali, che erano ben diversi dagli standard e le abitudini a cui ero abituata nella mia famiglia d’origine. In veste di musicista ho preso parte a un variegato numero di progetti musicali. Oltre a suonare mi è sempre piaciuto scrivere. Nella seconda metà degli anni Novanta sono entrata a far parte della società di scrittori “Ars Antibari”, che ha raccolto molti dei racconti che ho scritto.

Tra tutti i progetti, quello più importante porta il nome Ekatarina Velika. Giusto?

Sì. Il mio nome è legato inscindibilmente al complesso rock belgradese Ekaterina Velika (EKV), in cui suonavo le tastiere. Assieme agli EKV ho suonato dal 1982 al 1994. Tra l’altro sulla copertina del disco Ljubav (“Amore”) potete osservare una mia foto in bianco e nero.

Come introdurresti gli EKV a chi non li conosce?

Tutto è nato dall’idea di Milan Mladenović dopo lo scioglimento di un altro gruppo musicale molto importante dell’ex Jugoslavia – i Šarlo Akrobata. Negli anni abbiamo inciso album come Ekatarina Velika (1985), S vetrom uz lice (1986), Ljubav (1987), Samo par godina za nas (1989) e Dum Dum (1991). Alcuni sostengono che la nostra musica è riconducibile al post-punk, altri preferiscono collocarci nelle categorie “new wave” e “art rock”.

Per chi volesse sentire qualche performance dal vivo degli EKV, sono state pubblicate delle raccolte live alcuni anni dopo lo scioglimento della band, ad esempio Live 88 (1997) e Kao u snu – EKV Live 1991 (2001).

Tra i nostri pezzi più rappresentativi vorrei citare Zemlja (Terra), presente nell’album Ljubav del 1987, il cui testo è stato scritto all’epoca in risposta alle crescenti tensioni etniche nell’ex Jugoslavia. Utilizzando il concetto di terra abbiamo voluto evocare il sentimento d’appartenenza a un luogo comune tangibile, che non consente distinzioni di matrice etnica né ideologica. Purtroppo, sappiamo come sono andate le cose nel paese che in passato è riuscito a unire diverse etnie e popoli. Eppure, la canzone è rimasta intatta nel proprio messaggio ed è ancora ben considerata da molti.

Infine, per chi non ci conosce, un’altra canzone da cui partire per cogliere le molte sfumature degli EKV è Sedam dana (“Sette giorni”), di cui sono la principale artefice. Secondo alcune interpretazioni il brano narra dell’assuefazione alle droghe o della difficoltà a compiere scelte di vita. Io preferisco che ciascuno lo interpreti a modo proprio, attribuendogli il significato che sente. 

Quali sono stati i tuoi contributi a livello artistico?

Credo che in molti abbiano saputo lasciarsi trasportare dalle musiche che ho composto assieme al mio gruppo e siano rimasti affascinati dal mio modo di suonare le tastiere. I critici musicali affermano che ho lasciato un’impronta musicale profonda sulla scena rock e new wave di Belgrado. In varie occasioni mi hanno descritta come una musicista versatile e carismatica, dalla sensibilità profonda e dal talento cristallino. La band per cui ho suonato per oltre dieci anni, gli Ekatarina Velika, appunto, è annoverata tra le realtà di maggiore importanza nella scena rock dell’ex Jugoslavia. Non è poco.

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Mitja Stefancic
Mitja Stefancic

Nato a Trieste, dopo gli studi conseguiti all’Università dell’Essex e all’Università di Cambridge, è stato cultore in Economia politica all’Università di Trieste. È stato co-redattore della rivista online di economia “WEA Commentaries” sino alla sua ultima uscita. Si interessa di economia, sociologia e nel tempo libero ha seguito regolarmente il basket europeo ed in particolare quello dell’ex-Jugoslavia nel corso degli ultimi anni. Ha tradotto per vari enti ed istituzioni atti e testi dallo sloveno all’italiano e dall’italiano allo sloveno.