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L’identità del Montenegro tra politica e appartenenze etniche

di Paolo Bottazzi*

Il Montenegro è uno degli Stati più giovani del mondo. Ultimo superstite della federazione jugoslava, è ancora oggi animato da una forte dialettica politica interna che contrappone le identità serba e montenegrina. Per questa ragione, il censimento nazionale del 2023 è stato al centro del dibattito pubblico del paese per diversi mesi.

Il bilanciamento tra i due gruppi nazionali riflette infatti i rapporti di forza tra il mondo politico vicino alla Serbia, con cui il Montenegro è stato federato fino al 2006, e i nazionalisti che hanno portato il paese nell’orbita occidentale. Attualmente retto da una coalizione larga che ha posto fine a un triennio di instabilità politica, nel 2023 il governo di Podgorica ha autorizzato un nuovo censimento, i cui risultati rivelano una crescita della quota di popolazione che si identifica come serba. 

Questo cambiamento ha un significato politico da non sottovalutare, con implicazioni di rilievo sul posizionamento internazionale del paese, e va letto alla luce della storia recente dei due Stati balcanici.

Due popoli, un solo paese

Occorre riprendere il filo dal 1991, anno chiave della dissoluzione jugoslava. Dopo le dichiarazioni di indipendenza di Slovenia, Croazia e Macedonia, seguite da Bosnia ed Erzegovina nel 1992, il Montenegro rimane l’unica repubblica a non sfilarsi dalla Federazione guidata dalla Serbia di Slobodan Milošević.

La dirigenza politica di Podgorica, dominata dal Partito Democratico dei Socialisti (Demokratska Partija Socijalista Crne GoreDPS) del presidente Momir Bulatović e del primo ministro Milo Ðukanović, era considerata fedele Milošević, con cui si era schierata autorizzando l’intervento militare montenegrino nell’assedio di Dubrovnik del 1991. Ciononostante, Bulatović, al fine di ingraziarsi la comunità internazionale, indisse un referendum chiedendo ai cittadini di confermare la decisione di rimanere nella Jugoslavia. Boicottato dalle opposizioni indipendentiste, il referendum fu vinto dai DPS con il 96% dei voti, dando così vita alla Repubblica Federale di Jugoslavia (FR Jugoslavia), che nel 2003 cambiò nome in Unione statale di Serbia e Montenegro.

Alla fine degli anni Novanta, nel tentativo di separare i destini del Montenegro dal nuovo conflitto militare in Kosovo, Ðukanović impresse una svolta indipendentista e filo-occidentale al DPS, che causò la defezione di Bulatović dal partito. Da allora, inaugurando un ventennio di potere personalistico ricoprendo le cariche di Primo ministro e Presidente della Repubblica, Ðukanović portò avanti una politica di nation-building che culminò nel referendum del 2006, in cui con uno stretto margine (appena lo 0,5% dei voti sopra la soglia richiesta del 55%) i cittadini  montenegrini sancirono la piena indipendenza del Paese.

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Politica, lingua e identità

A quasi vent’anni dall’indipendenza, il divario tra le due anime del Montenegro è lontano dall’essere colmato. Al contrario, tanto il DPS quanto i partiti filo-serbi, primo tra tutti la Nuova Democrazia Serba (Nova srpska demokratija – NOVA), hanno lavorato per polarizzare il confronto e capitalizzare sulla tensione politica. Il risultato è che alla divisione etno-linguistica si sovrappone fino a fondersi uno scontro di ordine politico-culturale, che arriva a investire anche la religione. La questione linguistica è senz’altro una delle più dibattute.

La Costituzione del 2007 definisce il montenegrino lingua ufficiale del paese, mentre serbo, bosniaco, albanese e croato sono “lingue ufficialmente in uso”. Il montenegrino, morfologicamente e sintatticamente vicino al serbo ma con influenze fonologiche derivanti dal croato, è uno degli eredi della lingua  serbocroata di memoria jugoslava, e non ha avuto uno status linguistico autonomo fino al 2003. Durante la FR Jugoslavia, la lingua parlata era associata con la variante stocava-iecava (štokavski-ijekavski) della lingua serba; con la trasformazione in Unione statale di Serbia e Montenegro, dopo cinque anni di presidenza Ðukanovic, il montenegrino era  stato per la prima volta dichiarato lingua ufficiale della Repubblica.

La svolta si inseriva nel piano nazionalista del DPS, ed è stata criticata tanto dai linguisti quanto dall’area politica filo-serba. Soprattutto, non è riuscita a imporsi nella maggioranza della popolazione: nel 2011, quando il numero dei montenegrini etnici era il più alto dal 1991 (45%), solo il 37% dei cittadini si dichiarava madrelingua montenegrino, contro il 43% di chi vedeva nel serbo la propria lingua madre.

Non meno importante è la scelta di adottare l’alfabeto latino oppure cirillico: entrambi ufficialmente in uso sia nel serbo che nel montenegrino, il latino è diventato sinonimo di apertura al mondo e specialmente all’Occidente, mentre il cirillico rimarca la vicinanza a Belgrado, dove è ampiamente in uso, e a Mosca.

Inversione di rotta

In questo quadro, le statistiche censuarie diventano un dato paragonabile a un sondaggio elettorale, che evidenziano la direzione politica che sta prendendo il paese agli occhi di partiti e attori internazionali. A cavalcare i dati sull’aumento degli etnici serbi, infatti, non sono stati solo i partiti della coalizione Per il Futuro del Montenegro (Za budućnost Crne Gore – ZbCG) guidata da NOVA, ma addirittura anche l’uomo forte di Belgrado, il presidente serbo Aleksandar Vučić. I cambiamenti in atto in Montenegro si inseriscono perciò nel quadro delle crescenti tensioni nazionalistiche nei Balcani, fomentate da Belgrado e Mosca per espandere la propria influenza regionale.

Secondo i dati del MONSTAT, l’ufficio statistico di Podgorica, quasi il 33% dei 623mila abitanti del Montenegro sono serbi, un dato in aumento del 4,20% rispetto al 2011, e bilanciato dal calo di coloro che si dichiarano montenegrini (-3,86%). Questi numeri denotano una completa inversione di trend rispetto al periodo 2003-2011, in cui montenegrini e serbi erano rispettivamente cresciuti dell’1,81% e diminuiti del 3,27%. Hanno avuto un’evoluzione simile le statistiche sulla lingua madre dei cittadini, che rimane in maggioranza il serbo, ma è tornata a crescere dopo un iniziale exploit di popolarità del montenegrino. La crescita dell’etnia serba va letta alla luce dei nuovi equilibri di potere interni e internazionali, a conferma del valore politico dell’identità etnica in Montenegro.

L’andamento di questa variabile etnolinguistica ha oscillato pesantemente negli ultimi trent’anni, seguendo gli avvenimenti storici che hanno segnato il paese. Nel 1981, a un anno dalla morte di Tito, il 68% dei residenti nella Repubblica Socialista di Montenegro si riconosceva nella definizione di “montenegrino”. Il numero è andato a scendere nel decennio successivo, ed è crollato tra il 1991 e il 2003, il decennio delle guerre jugoslave, a beneficio della quota di serbi.

Il federalismo titino-jugoslavo, profondamente antitetico al particolarismo nazionalista, fu sostituito dall’aggressiva campagna propagandistica della Serbia di Milošević che, rilanciata dal governo di Podgorica, ha rinforzato il sentimento filo-serbo della popolazione. Non a caso, con la caduta di Milošević e la svolta nazionalista del DPS, è ricominciato a crescere il numero dei montenegrini etnici.

Milo Ðukanovic era riuscito a portare dalla sua parte la maggior parte della popolazione, legando al progetto nazionale montenegrino la promessa di un futuro di prosperità dentro l’alleanza euro-atlantica: Podgorica ha infatti aperto i negoziati per l’accesso all’Ue nel 2012, ed è membro della Nato dal 2017. Questa stagione si chiude però nel 2020, quando Ðukanovic, travolto da scandali giudiziari e incalzato da manifestazioni di piazza, perse le elezioni, ponendo fine al monopolio del potere dei DPS.

Cristoslavismo e Grande Serbia

Parallelamente, il paese è stato investito dal rilancio della propaganda unionista, condotta in prima linea dalla Chiesa Ortodossa Serba (Srpska pravoslavna crkva – SPC) e soprattutto dal fu metropolita del Montenegro Amfilohije Radović. Con il 71% della popolazione cristiano-ortodossa, la religione è un potente fattore di integrazione sociale e Amfilohije ha utilizzato l’influenza della SPC per promuovere l’idea politica di una Grande Serbia, capitalizzando il malcontento verso Ðukanovic.

Amfilohije Radović nel 2017 (Wikimedia)

Questa strategia è culminata nelle proteste del 2019-2020, organizzate dalla SPC in tutto il territorio nazionale in opposizione alla “Legge sulla libertà religiosa” voluta da DPS, che toglieva alla Chiesa Ortodossa Serba alcune proprietà contestate assegnandole allo Stato e alla rivale Chiesa Ortodossa Montenegrina (Crnogorska pravoslavna crkva – CPC). Le manifestazioni hanno favorito la sconfitta elettorale dei DPS, e proprio Amfilohije ha giocato un ruolo chiave nella formazione del governo, il primo della storia del Montenegro indipendente con la partecipazione dei partiti filo-serbi.

Come nel caso della lingua, anche la divisione religiosa porta con sé in realtà uno scontro politico e di Weltanschauung: la CPC, nata nel 1993 rivendicando l’esistenza storica di una Chiesa autocefala in Montenegro  e non riconosciuta dal Patriarcato di Costantinopoli, cerca di coniugare la fede ortodossa con i valori liberali e occidentali. La SPC, ben più radicata, promulga invece teorie ultraconservatrici e discriminatorie come il cosiddetto “cristoslavismo”, la nozione secondo cui il popolo serbo sarebbe intrinsecamente cristiano-ortodosso, facendo dei “convertiti” (i musulmani di Bosnia) dei traditori della razza.

Fondendo le dimensioni etnica, politica e religiosa, la Metropolia di Amfilohije è stato probabilmente l’attore più politicamente rilevante nella crescita degli etnici serbi, approfittando dell’enorme spazio politico liberato dalla crisi dei DPS.

Qual è l’identità del Montenegro?

Le dispute identitarie in Montenegro sono destinate a durare. I risultati del censimento 2023 sembrano mostrare un paese ancora fortemente soggetto all’attrazione delle orbite serba e russa. Tuttavia, la volubile politica montenegrina potrebbe modificare questo quadro: un ritorno sulla scena dei DPS, come accaduto alle elezioni comunali di Podgorica, e un ipotetico ingresso nell’Unione Europea favorirebbero un allontanamento dalla Serbia e un rafforzamento della giovane identità nazionale montenegrina.

Nel frattempo, la Chiesa Ortodossa Serba, foraggiata da Belgrado e supportata da Mosca, prova ad agire come una potente fonte di destabilizzazione in Montenegro e in tutti i Balcani Occidentali. Se è vero che le divisioni etniche e religiose non definiscono i Balcani, tutt’oggi sembrano tenerli tristemente in ostaggio.


Tutte le statistiche su serbi/montenegrini e madrelingua serbi/montenegrini in Montenegro sono prese dai dati censuari pubblicati dall’Ufficio Statistico del Montenegro (MONSTAT).

*Laureato in Sviluppo Locale e Globale all’Alma Mater di Bologna, coltiva negli anni la passione per le periferie globali, con lo sguardo sempre rivolto ad Est. Coordinatore del desk Caucaso presso Osservatorio Russia, ha lavorato in Montenegro con la Croce Rossa Italiana.

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