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Da ormai un decennio le squadre di club azere si sono affacciate all’Olimpo del calcio europeo: nomi prima esotici quali Qarabağ Ağdam* e Neftçi Baku sono diventati familiari alle orecchie dei tifosi italiani per la presenza abituale di queste compagini nelle competizioni Uefa.
La nazionale del paese non rientra però in questo quadro di crescita del calcio in Azerbaigian: langue da anni oltre il centesimo posto del ranking Fifa con risultati che rendono inimmaginabili exploit simili a quello della vicina Georgia a Euro 2024.
Per spiegare questa apparente discrepanza ci immergeremo nel sistema calcistico azero, guidati da due giornalisti esperti dell’argomento.
Un anno fa vi davamo un quadro del sistema calcio in Georgia. A questo link potete recuperare il pezzo.
Qarabağ: una storia di riscatto
Il 7 marzo 2024 lo Stadio della Repubblica “Tofiq Bəhramov” di Baku è gremito, un evento raro in Azerbaigian. Quella che sembra destinata a essere una serata da ricordare per i tifosi della squadra di casa, il Qarabağ, si conclude con una nota amara. Al 91’ Patrik Schick segna il goal del 2 a 2 per il Bayer Leverkusen chiudendo una gara che aveva visto gli azeri in vantaggio per 2 a 0 nell’andata degli ottavi di finale di Europa League.
Il film si ripete ancora più crudelmente nella partita di ritorno in Germania, a una settimana di distanza. Schick realizza al 92’ il 2 a 2 che annulla un doppio vantaggio del Qarabağ ottenuto nonostante un’espulsione discutibile che aveva costretto la compagine azera in dieci per gran parte del secondo tempo. Sempre l’attaccante ceco segna al 97’ il goal del 3 a 2 che qualifica i tedeschi ai quarti di finale.
La rocambolesca uscita di scena contro la corazzata di Xabi Alonso nell’Europa League 2023/2024 ha messo ancora una volta in luce una squadra che rappresenta la punta di diamante del movimento calcistico azero. Il Qarabağ ha, peraltro, una storia particolare che è bene rievocare perché si allaccia strettamente a quella del paese e spiega molte delle dinamiche del calcio in Azerbaigian.
La compagine della città di Ağdam venne costituita nel 1951 e cambiò nome diverse volte in epoca sovietica, senza però ottenere grandi successi. Solo alla fine degli anni Ottanta iniziò ad affermarsi, vincendo il suo primo titolo nazionale nel 1988, poco dopo essersi rinominata Qarabağ.
Il 1993, poi, fu un trionfo calcistico per la squadra, visto che riuscì a vincere coppa nazionale e campionato (i primi trofei da quando il paese era diventato indipendente nel 1991), ma una tragedia dal punto di vista umano. Quel 1993 fu, infatti, un anno fatidico per l’Azerbaigian, con una serie di eventi che colpì direttamente il Qarabağ.
Ağdam, all’epoca una città di quasi 30mila abitanti, si trovava non lontana dai confini della Oblast’ Autonoma del Nagorno-Karabakh, un territorio con una popolazione a maggioranza armena che le autorità sovietiche avevano assegnato all’Azerbaigian agli inizi del loro dominio sul Caucaso del Sud. A cavallo tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, armeni e azeri si contesero il controllo della regione in un cruento conflitto; ebbero la meglio i primi e anche Ağdam, pur non rientrando nel territorio del Nagorno-Karabakh, venne conquistata dalle forze armene nel luglio del 1993, diventando una città fantasma nei pressi della linea di contatto tra i due eserciti.
Ağdam cadde in mano armena tra la finale di coppa, giocata il 28 maggio e quella del campionato, svoltasi l’1 agosto. Lo stadio venne distrutto e il Qarabağ fu costretto a trasferirsi a Baku.
Seguirono anni di difficoltà finanziarie che si protrassero fino al 2001, quando la corporativa agro-alimentare Azersunrilevò la squadra. Da lì la progressiva rinascita con il quasi esclusivo monopolio del campionato nell’ultimo decennio (il Qarabağ ha vinto dieci degli ultimi undici campionati azeri) e una serie di campagne europee ricche di soddisfazioni (memorabile la qualificazione ai gironi di Champions League nella stagione 2017/2018 con annessi due pareggi strappati all’Atletico Madrid).
La sconfitta nella prima guerra del Nagorno-Karabakh e le sue conseguenze, su tutte, le centinaia di migliaia di sfollati azeri costretti a fuggire dai territori finiti sotto il controllo armeno, diventarono una delle basi della identità nazionale azera post sovietica. Il paese era in cerca di riscatto e il Qarabağ, con il suo nome, la sua storia tormentata legata a quella della regione contesa, ma anche i suoi successi, rientrava in questa narrazione. Peraltro, l’artefice di tali risultati prestigiosi, Qurban Qurbanov, allenatore della squadra dal 2008, nelle sue dichiarazioni ha spesso rivendicato il ruolo “politico” del club.
Come ci ha spiegato Imran Gusejnov, caporedattore del portale Azerisport.com: “La questione del Karabakh era un nervo scoperto per gli azeri, ma è oggi chiusa”. Questo perché, con due campagne militari nel 2020 e nel 2023, Baku ha ripreso il controllo della regione (causando un’altra tragedia umanitaria: la fuga degli oltre 100mila abitanti armeni del Nagorno-Karabakh in Armenia).
Gli azeri hanno vissuto le vicende al fronte come un momento di riscatto nazionale e anche in questo caso sport e politica si sono mescolati. Infatti, il 23 dicembre 2023, il Qarabağ e il MOIK Baku hanno simbolicamente giocato una partita valida per i sedicesimi di finale di Coppa di Azerbaigian nella capitale del Nagorno-Karabakh Xankəndi (Stepanakert in armeno), alla presenza del presidente, Ilham Aliyev.
Dall’esterno, l’idea di giocare una partita di calcio in una città svuotata dei suoi abitanti può sembrare grottesca, ma i toni dei media azeri e le parole del capo di stato prima del calcio di inizio rendono evidente che la questione è vista diversamente in Azerbaigian:
Indipendentemente dal risultato della partita di oggi, il vincitore è evidente. I vincitori sono il popolo dell’Azerbaigian e lo stato dell’Azerbaigian!
[…]
D’ora in avanti, la bandiera dell’Azerbaigian sventolerà sempre su queste terre. Noi, gli azeri, vivremo qui per sempre ! Lunga vita al Karabakh! Lunga vita al nostro glorioso esercito! Il Karabakh è Azerbaigian!
Tornando alle vicende più strettamente calcistiche, il giornalista residente a Baku Anton Emel’janenko (amministratore del canale Telegram Pas, Kavkaz) nota che la rosa attuale del Qarabağ, in particolare dalla metà campo in su, è costituita da giocatori stranieri. Di azeri, alcuni dei quali naturalizzati e quindi cresciuti calcisticamente soprattutto in Russia, ci sono solo i difensori e delle riserve. La squadra ha costituito un’accademia giovanile l’anno scorso, ma la tendenza non dovrebbe cambiare nel breve periodo.
Quella del Qarabağ non è un’eccezione, visto che gran parte delle squadre del campionato azero si affidano a giocatori stranieri, forti del potere economico di uno stato ricco di risorse naturali.
Storicamente l’Azerbaigian non ha una scuola calcistica di rilievo. Il club più noto e popolare del paese (e, per questo, rivale naturale del Qarabağ), il Neftçi Baku, partecipava spesso alla Prima Lega del campionato sovietico ma, tra i suoi momenti di massimo splendore prima del 1991, vanta esclusivamente un terzo posto nel campionato sovietico del 1966. Per fare un raffronto a livello regionale, sia la Georgia che l’Armenia contano compagini, la Dinamo Tbilisi e l’Ararat Erevan, in grado di vincere il campionato sovietico e, nel primo caso, addirittura di affermarsi a livello europeo (la memorabile vittoria nella Coppa delle Coppe 1980/1981).
E, non a caso, guardando alle stelle del calcio azero dell’epoca sovietica sono solo due i nomi di riferimento. Il primo è l’arbitro Tofiq Bəhramov (a cui è intitolato uno degli stadi principali di Baku che abbiamo menzionato sopra). Il fischietto deve la sua fama all’aver giudicato regolare un goal fantasma dell’Inghilterra nella finale del mondiale 1966 che consentì alla nazionale dei Tre Leoni di vincere il suo primo e unico mondiale. Il secondo è Anatoli Banişevski, attaccante del Neftçi e della nazionale sovietica a cavallo tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta.
Nel periodo post sovietico non ci sono calciatori azeri che si sono veramente affermati a livello internazionale. A spiegazione di ciò, quella che può essere descritta come una generale reticenza per i giovani di lasciare la patria per tentare la fortuna in altri lidi.
Come ci ha spiegato Emel’janenko: “Anche se è una generalizzazione, nel paese non c’è molto l’idea di fare dei figli dei calciatori professionisti di alto livello. Ad esempio, dalla Georgia adesso partono molti giovanissimi, soprattutto in virtù del successo di Khvicha Kvaratskhelia. In Azerbaigian non c’è questo interesse a giocare all’estero, anche in considerazione delle possibilità economiche dei club locali”. Proprio per questo Emel’janenko vede delle somiglianze tra il calcio azero e quello russo prima dell’inizio dell’invasione dell’Ucraina:
Ci sono tanti soldi in patria, i giovani non sono motivati ad andare in altri lidi e dimostrare qualcosa. Solo adesso che il calcio russo è disastrato, i calciatori russi hanno iniziato ad andare via. In Azerbaigian non è così, qui stanno bene.
Anton Emel’janenko, Pas, Kavkaz
Anche Gusejnov sottolinea questo punto facendone un problema di formazione calcistica. “Per i nostri giocatori è comodo stare in patria, negli ultimi dieci anni abbiamo esempi di tanti talenti che avrebbero potuto trasferirsi all’estero, ma non lo hanno fatto. In molti casi chi è andato via è tornato in Azerbaigian dopo poco tempo, forse l’educazione calcistica non è sufficiente a superare le inevitabili difficoltà di adattamento”.
Bisognerebbe educare i giocatori fin da giovani che bisogna sforzarsi di ottenere il meglio non qui e ora, ma con una prospettiva futura in mente.
Imran Gusejnov, Azerisport.com
Tutto questo si riflette nei risultati poco incoraggianti della nazionale, con i selezionatori costretti a pescare giocatori dal campionato nazionale, una lega non di livello altissimo che non testa i calciatori azeri agli incontri internazionali.
Il tentativo della federazione di sollevare le sorti assumendo allenatori stranieri non ha poi portato i risultati desiderati. In particolare, i nostri interlocutori hanno descritto come estremamente deludente il periodo di Gianni De Biasi da selezionatore dell’Azerbaigian tra il 2020 e il 2023. L’amarezza è accresciuta dalle aspettative che l’esperienza positiva dell’allenatore italiano alla guida dell’Albania (con annessa la storica qualificazione delle Aquile a Euro 2016) aveva generato.
Calcio in Azerbaigian: stadi vuoti e amore per la Turchia
C’è infine un’altra realtà spiacevole legata al calcio in Azerbaigian: la generale mancanza di passione per il gioco. Con pochissime eccezioni, il campionato si svolge in stadi vuoti e anche le coppe europee difficilmente attraggono il pubblico allo stadio.
La Premyer Liqası, il campionato di massima divisione azero, vede dieci squadre affrontarsi in un girone all’italiana con due partite di andata e due di ritorno. Le squadre, anche quando portano i nomi di diverse località in Azerbaigian, giocano quasi tutte a Baku o nei d’intorni della capitale. Sul canale YouTube del campionato si possono vedere le partite in diretta e gli highlights.
Secondo Gusejnov: “I tifosi azeri sono molto esigenti, ma la qualità delle squadre e i risultati non corrispondono a queste aspettative”. Per questo storicamente si guarda con passione al calcio turco (la Turchia è un paese che gli azeri considerano fratello per affinità linguistiche e politiche) sia di club che a livello di nazionale.
Gli insuccessi spiegano anche la mancanza di pubblico alle partite della nazionale azera anche nelle partite contro avversari di primo livello. Per fare un esempio, in occasione dell’incontro di qualificazione a Euro 2024 Azerbaigian-Belgio, nel settembre 2023, la presenza dei campioni belgi non è bastata a riempire uno stadio nella periferia di Baku con una capienza di neanche 7mila posti.
In che modo si può uscire da questo circolo vizioso fatto di giocatori stranieri, stadi vuoti e insuccessi della nazionale? Probabilmente vincendo. Come spiega Gusejnov: “I tifosi azeri amano assistere alle partite del Qarabağ in Europa perché è l’unica squadra che rende possibile guardare i nostri competere al massimo livello”. Questi successi potrebbero quindi essere di motivazione per altre squadre, alzando il livello del campionato e generando passione che possa ispirare i giovani. Come sempre, sarà il campo a parlare.
Abbiamo chiesto ai nostri interlocutori quali giocatori azeri vedrebbero bene in Italia. Tra gli altri, entrambi hanno fatto il nome di Behlul Mustafazade, difensore ventisettenne del Qarabağ e della nazionale. E voi avete dei nomi in mente? Fatecelo sapere nei commenti su Facebook e Telegram!
L’11 novembre 2024 a Baku ha preso avvio la 29ª Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP29). Si tratta di un evento che coinvolge i governi di tutto il mondo e decine di migliaia di delegati con l’obbiettivo dichiarato di ridurre le emissioni di gas serra a livello globale.
Nei mesi che hanno anticipato la COP29, il regime del presidente azero Ilham Aliyev ha represso le poche voci dissenzienti ancora presenti nel paese per evitare possibili movimenti di protesta durante la Conferenza. Noi di Meridiano 13 non desideriamo che lo sport diventi quello che è per molti regimi dittatoriali in giro per il mondo: uno strumento per distrarre il grande pubblico dalle violazioni e i soprusi che compiono. Anzi, scrivendo di sport in determinati paesi desideriamo sollevare l’attenzione a tutto tondo su quanto avviene in tali territori.
Dopo aver letto di calcio azero, vi suggeriamo quindi questo articolo sulle repressioni in Azerbaigian.
*La lingua azera utilizza una versione modificata dell’alfabeto latino – simile, ma non uguale, a quella in uso per il turco. In questo e altri articoli di Meridiano 13 abbiamo mantenuto il più possibile la versione originale azera dei nomi di cose o persone, utilizzando varianti traslitterate dal russo, se più comuni in italiano. Per esempio, quando facciamo riferimento alla squadra usiamo Qarabağ (il nome dell’area in azero), ma quando parliamo della regione usiamo il più diffuso Nagorno-Karabakh (dal russo).
Nato a Milano, attualmente abita a Vienna, dopo aver vissuto ad Astana, Bruxelles e Tbilisi, lavorando per l’Osce e il Parlamento Europeo. Ha risieduto due anni nella capitale della Georgia, specializzandosi sulle dinamiche politiche e sociali dell’area caucasica all’Università Ivane Javakhishvili. Oltre che per Meridiano 13, scrive e ha scritto della regione per Valigia Blu, New Eastern Europe, East Journal e altre testate.