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Il 27 giugno scorso una corte moscovita ha deciso di sospendere il procedimento che avrebbe portato alla revoca della cittadinanza ad Aršak Makičjan, attivista di Fridays4Future e collaboratore di Greta Thunberg. Si tratta di uno degli ecoattivisti più conosciuti in Russia e la sua netta presa di posizione contro l’invasione russa dell’Ucraina nei primi giorni della guerra ha portato la Procura Generale a interessarsi del caso. La richiesta di revoca della cittadinanza (l’unica di Aršak, sebbene non ricevuta alla nascita in quanto egli è originario dell’Armenia), basata su una formalità, non è altro che un tentativo di intimidazione che avrebbe però potuto avere serie conseguenze sulla vita dell’attivista.
Il 14 luglio una corte di Petropavlovsk-Kamčatksij ha condannato tre dipendenti della riserva naturale Kronockij a pene che vanno dai tre ai cinque anni. La vicenda ha avuto inizio nel 2018 quando Vitalij Drozd, proprietario dell’azienda “Ekologija” vincitrice del bando per la manutenzione del parco, venne indagato per estorsione in un caso che nulla aveva a che fare con il parco. Tuttavia, l’uomo d’affari, per evitare la condanna, fece un accordo con il Comitato investigativo federale, affermando di essere a conoscenza di un episodio di appropriazione indebita di denaro pubblico (circa 500 milioni di rubli). Il responsabile, a detta di Vitalij Drozd, era il direttore della riserva, morto nel 2016. Non potendo dunque perseguire il defunto, l’organo investigativo decise di coinvolgere tre suoi sottoposti, accusandoli di associazione a delinquere. Secondo Greenpeace, tuttavia, le indagini sono state condotte con superficialità e non è nemmeno stata presa in considerazione la posizione dei dipendenti della riserva che sostengono che il denaro sia stato speso per la pulizia e il manutenzione del parco.
Questi episodi dimostrano che la linea tra attivismo ecologista e attivismo politico è sottile e non è sempre difficile delinearla precisamente. Ciò rappresenta una seria minaccia per la tutela e la salvaguardia dell’ambiente in Russia e per l’ultima frontiera dell'attivismo ancora permesso in Russia. Per comprendere meglio e vedere più da vicino il mondo dell’attivismo ecologista russo abbiamo parlato con la program director di Greenpeace Russia, Polina Malyševa.
Grazie per avere accettato la nostra richiesta di intervista. Iniziamo dalla tua esperienza in Greenpeace, da quanto tempo lavori con loro e di cosa ti occupi?
Mi chiamo Polina Malyševa e sono la program director di Greenpeace Russia e lavoro da più di 20 anni con Greenpeace Russia. Ho lavorato nel reparto di comunicazione che negli anni si è evoluto fino a occuparsi anche di petizioni online. Successivamente mi sono occupata di organizzare campagne di sensibilizzazione come la campagna internazionale Clean air now, il cui scopo era spingere le autorità a ridurre l’inquinamento dovuto ai mezzi di trasporto nelle due città principali, Mosca e San Pietroburgo, stabilendo anche delle zone a traffico limitato. Negli ultimi anni invece mi occupo della gestione dei programmi di Greenpeace Russia che al momento si sviluppano in cinque direzioni: salvaguardia delle foreste, incendi boschivi (qui un nostro approfondimento), energia e politiche climatiche, contrasto all’inquinamento dovuto a materie plastiche e infine una serie di iniziative che definiamo “risposta/reazione” volte a coinvolgere la popolazione in diversi progetti come quello riguardante la tutela del lago Bajkal.
La Costituzione della Federazione Russa, agli articoli 42 e 58, garantisce a tutti i cittadini il diritto di godere dell’ambiente circostante e impone il dovere di tutelarlo, tuttavia spesso sono le azioni di grandi aziende e delle stesse autorità a metterlo a rischio. Cosa può fare un semplice cittadino che decide di collaborare con Greenpeace per contrastare questo fenomeno?
Innanzitutto, bisogna riconoscere che, come ogni forma di attivismo in Russia, la difesa della natura e delle sue risorse non è un’impresa facile. Tuttavia, è assolutamente necessario e ci sono moltissimi episodi che dimostrano come l’azione delle persone sia fondamentale per fermare sia le autorità che grandi aziende. Un esempio è quello della Dolina reki Setun’ (Valle del fiume Setun’), la più area protetta di Mosca e allo stesso tempo una sottile striscia di verde lungo le rive del fiume Setun’. In questo caso siamo riusciti a fermare la costruzione di una strada che avrebbe attraversato il parco per collegarsi, tramite un ponte sospeso sopra il parco, a una strada parallela. Abbiamo raccolto firme, abbiamo inviato petizioni e lettere alle autorità e abbiamo anche organizzato diversi eventi in presenza (nel 2016). Le autorità locali infatti, soprattutto nelle grandi città, sono particolarmente sensibili alla pressione da parte della popolazione. Inoltre, i cittadini possono esprimere la propria opinione anche su disegni di legge federali tramite recensioni sul sito regulation.gov.ru, tramite il quale a volte, in presenza di molti pareri negativi, si riesce a fermare l’iter di dei progetti più dannosi. Petizioni, lettere alle autorità, recensioni dei disegni di legge e manifestazioni sono tutte modalità percorribili per ottenere risultati concreti. Ovviamente la soluzione di maggior impatto ma anche più rischiosa è organizzare eventi e manifestazioni dal momento che esercitano una fortissima pressione sulle autorità, che non a caso tentano in ogni modo di impedirle o interromperle. Per questo motivo, i risultati migliori si ottengono combinando le varie modalità di azione citate.
Distacchiamoci per un attimo dall’attivismo in senso stretto. Qual è l’atteggiamento della popolazione russa nei confronti della protezione e tutela dell’ambiente? Chi gioca un ruolo fondamentale nella sua salvaguardia? Al di là delle vuote promesse delle autorità ci sono stati effettivi miglioramenti per quanto riguarda la tutela dell’ambiente in Russia?
Io credo che la popolazione russa abbia a cuore la tutela dell’ambiente anche se non tutti se la sentono di partecipare a eventi in presenza dato che è rischioso. Le iniziative online invece ricevono una grande attenzione, raccogliendo migliaia di firme. Molto dipende anche dal tema, in quanto ce ne sono alcuni che mobilitano maggiormente la popolazione come le aree protette e i parchi naturali messi a rischio da interessi politico-commerciali. Due anni fa, ad esempio, tramite una petizione indirizzata agli uffici dell’Amministrazione presidenziale e firmata da oltre 100.000 persone, Greenpeace è riuscita a impedire che si procedesse all’estrazione dell’oro nel sottosuolo del parco nazionale e sito UNESCO “Jugyd Va”, situato nella Repubblica dei Komi. L’azienda Gold Minerals infatti aveva tentato di convincere le autorità a rimuovere circa 50.000 ettari di terreno, per cui aveva ottenuto una licenza, così da poter iniziare gli scavi. Nonostante la vittoria di Greenpeace, pare che la licenza non sia stata annullata ma semplicemente sospesa finché i confini del parco nazionale rimarranno tali.
L’ecoattivismo in Russia sembra essere rimasto, in particolare dopo il 24 febbraio, uno dei pochi ambiti dove è ancora possibile fare la differenza pur essendo contrari alla posizione delle autorità, sebbene anche in questo caso ci siano diversi rischi. Come e perché vengono perseguiti gli ecoattivisti in Russia? Qual è la posizione di Greenpeace?
Spesso è difficile differenziare l’attività politica da quella ambientale e persone che all’inizio sono solo ecoattivisti a volte diventano anche attivisti politici. Un esempio è sicuramente quello di Fridays4Future che hanno iniziato come attivisti per il clima ma spesso intervengono anche su temi politici. Tuttavia, ci sono anche dei situazioni in cui le autorità perseguono come attivisti politici persone che non si occupano affatto di politica come nel caso di Aleksej Dimitriev, arrestato per 15 giorni con l’accusa di lievi atti di vandalismo (turpiloquio) e successivamente per altri 8 con l’accusa di aver organizzato una manifestazione non autorizzata. Secondo la Camera Civica (un organo consultivo della Federazione Russa), l’accusa è legata alla sua attività in favore della tutela della valle del fiume Gračiovka nella regione di Mosca, minacciata dalla costruzione di un complesso residenziale. Ultimamente stiamo notando il sorgere di una spiacevole tendenza per cui gli ecoattivisti vengono “trascinati” in politica delle autorità contro la loro volontà. Questo permette poi agli apparati di sicurezza di perseguirli per motivi politici. Nonostante abbia precedentemente affermato che spesso attività politica e ambientale si confondano, credo sia possibile differenziarle e ritengo sia illegittimo perseguire ecoattivisti con accuse politiche. Inoltre, alle autorità conviene mantenere aperto il dialogo con la popolazione almeno su questi temi per evitare manifestazioni di massa come accaduto in Baschiria nel 2020.
Ritenete che, in base alla definizione contenuta nella legislazione sugli agenti stranieri, Greenpeace compia attività politica?
No, secondo la legislazione la nostra attività non è politica in quanto rientra in una delle eccezioni: difesa dell’ambiente (flora e fauna). Per questo motivo non siamo agenti stranieri e non ci domandiamo se potremmo esserlo oppure no. Detto questo, siamo un’organizzazione che si finanzia tramite donazioni private, non riceviamo fondi da partiti politici e governi e agiamo nell’interesse esclusivo delle persone e della natura. Inoltre, le grandi donazioni non costituiscono più del 10% del nostro finanziamento complessivo, cosa che ci permette di essere il più indipendenti possibile.
Continuando a parlare di indipendenza e autonomia, qual è il vostro livello di collaborazione con le autorità locali e federali? Come si è evoluto il vostro rapporto negli ultimi anni?
Noi lavoriamo su diversi livelli con le autorità: a volte le amministrazioni sono il target delle nostre campagne e quindi chiediamo che facciano qualcosa di concreto, altre volte invece organizziamo campagne di sensibilizzazione (come nel caso degli incendi boschivi) e le pubblicizziamo anche grazie ai media regionali che sono spesso posseduti dalle autorità locali. Inoltre, grazie alle competenze sviluppate negli anni, forniamo expertise indipendente su diversi temi, dalla legislazione in materia ambientale alla gestione dei rifiuti e scriviamo rapporti e analisi sia per le autorità federali sia per quelle regionali e locali. Tuttavia, anche quando collaboriamo con le autorità, manteniamo la nostra indipendenza. Uno degli esempi migliori del nostro rapporto con le autorità riguarda la determinazione dell’area effettiva colpita degli incendi: i dati forniti dallo stato sono infatti spesso inaffidabili e noi, che cerchiamo di riportare quanto più precisamente le reali dimensioni, veniamo accusati di ingigantire i fatti. Questo avviene perché le autorità nei loro calcoli non tengono in considerazione tutti i terreni ma solo parte di essi, tentando così di nascondere o sminuire la portata degli incendi. Come ultimo esempio di collaborazione posso citare la formazione del personale nei parchi e nelle aree protette per quanto riguarda la prevenzione degli incendi. Ciò che però tengo a sottolineare è la totale indipendenza di Greenpeace in ogni sua attività.
Il lago Bajkal è sito UNESCO e uno dei simboli della Russia, ma allo stesso tempo è vittima di interessi commerciali. Cosa sta uccidendo il Bajkal nel 2022 e come si può evitare la disintegrazione di questo ecosistema?
Il Bajkal ha sempre rappresentato un simbolo della lotta per la tutela dell’ambiente sin dagli anni ‘60 quando venne costruita una cartiera lungo le sponde del lago. Greenpeace si è sempre battuta per la difesa del Bajkal come nel 2006 quando abbiamo fermato la costruzione di un oleodotto dell’azienda Transneft’ nei pressi del lago, fatto che aveva creato grande indignazione popolare. Purtroppo non si tratta di episodi singoli ma di un continuo indebolimento della legislazione riguardante la tutela del Bajkal, le cui coste sono sempre più costellate da turbazy [“basi turistiche”, strutture ricettive nate durante l’epoca sovietica ma ancora popolari in Russia; ndt]. Il turismo incontrollato, gli sversamenti nel lago, i problemi ereditati dalla cartiera d’epoca sovietica sono una serie di fattori che contribuiscono a creare un quadro sconfortante.
Laureato in Russian and Eurasian Studies alla Università Carolina di Praga e in Lingue e Letterature Straniere all'Università Cattolica, brevemente studente alla NSPU di Novosibirsk. Si interessa principalmente di ambiente, attivismo politico, diritti umani, società civile e libertà di informazione in Russia e Asia Centrale. Precedentemente ha collaborato con Scomodo e East Journal.