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Il suono della bellezza. L’Eurovision 2022

di Pietro Rizzi

Si svolge a Torino la 66° edizione dell’Eurovision Song Contest, uno show di pace, in un tempo di guerra

Si sta svolgendo in questi giorni sotto la Mole Antonelliana la sessantaseiesima edizione dell’Eurovision Song Contest, la manifestazione canora che vede scontrarsi cantanti provenienti da buona parte degli stati europei e non solo. Un’edizione, quella italiana, che non può non essere influenzata da ciò che sta succedendo in Ucraina, tanto che proprio la band ucraina Kalush Orchestra, con la sua Stefania, sembra avere ad oggi i favori dei pronostici. Ma andiamo con ordine.

Un evento kitsch con una lunga storia

Nel 2015 l’Eurovision è stato inserito nel Guinness Book of World Records come la competizione musicale più longeva ad oggi esistente. Se sia davvero così non è dato sapere, ma certamente stiamo parlando di un evento che è andato spesso di pari passo con il processo di integrazione europea, portando addirittura tra i partecipanti musicisti e band da altri continenti. E non parliamo degli ascolti, che sono comunque altissimi e lo fanno definire l’evento non sportivo con il maggior numero di seguito, con oltre 600 milioni di spettatori e share che in alcuni paesi tocca punte del 95%, come in Islanda.

A dir la verità la ragion d’essere di Eurovision, se si guarda lo spirito di chi l’ha inventato, stava nel creare un evento che permettesse di unire i popoli europei. Fu proprio per questo che nel 1956 l’UER (Unione Europea della Radiodiffusione) decise di prendere spunto dal Festival di Sanremo e organizzare una competizione canora che riunisse artisti di vari paesi. La stessa logica, 9 anni più tardi, diede vita a Giochi Senza Frontiere, addirittura per volere del presidente De Gaulle.

Ad oggi forse poco resta di quello spirito, ma al di fuori di coreografie kitsch, artisti improbabili, musiche da far rabbrividire, l’evento non è il peggio che il nostro continente abbia mai visto, ed in un contesto di guerra, come quello attuale, la parola d’ordine dell’evento sembra proprio: “cantate e suonate, non fate la guerra”.

La guerra c’è, e si sente

Non si può fare finta che a poche ore di volo da Torino non si stia combattendo una guerra. Anche se l’evento, secondo il regolamento, non dovrebbe in alcun modo farsi toccare da temi politici, è chiaro che è l’Ucraina e la guerra in corso che stanno influenzando direttamente o indirettamente la manifestazione. Non è un caso, infatti, che non ci siano rappresentanti della Russia: il 26 febbraio scorso a poche ore dall’aggressione all’Ucraina, le emittenti russe sono state escluse dall’UER e conseguentemente è stato vietato a musicisti di rappresentare la Russia nella competizione.

Anche alla Bielorussia sarebbe stato di certo impedito di competere considerato il suo ruolo a supporto dell’aggressione, ma la questione non si è posta essendo il paese di Lukašenka già stato espulso dall’Unione delle emittenti televisive europee dopo aver scelto come proprio rappresentante all’Eurovision 2021 il gruppo Galasy ZMesta, con il brano Ja nauču tebja (Ti insegnerò), un pezzo apparentemente molto critico con i manifestanti scesi in piazza dopo le elezioni presidenziali bielorusse del 2020, le cui proteste sfociarono in una dura repressione da parte delle forze di polizia.

Un unico obiettivo: vincere e sconvolgere

Che fare audience, far parlare di sé, prima ancora di raggiungere un piazzamento importante, siano i veri obiettivi non è un mistero. Ma è chiaro che chi vince ha (quasi) sempre la visibilità maggiore. Prendete i Maneskin, i vincitori italiani della scorsa edizione con Zitti e buoni: in pochi anni sono passati da cantare per strada (hanno fatto il giro del mondo le loro foto mentre si esibivano in via del Corso a Roma nel 2018), ad essere il gruppo rock con oltre un miliardo di visualizzazioni al mondo e un 2021 da record culminato con l’apertura del concerto dei Rolling Stones a Las Vegas. Avrebbero avuto la stessa fortuna se avessero vinto esclusivamente il Festival di Sanremo? Ai posteri l’ardua sentenza.

D’altronde va anche detto che si ricordano casi di canzoni con scarso successo all’Eurovision che invece hanno scalato le classifiche, basti pensare al nostrano Domenico Modugno, che nel 1958 con Nel blu dipinto di blu arrivò solamente terzo (vincitrice Dors, Mon Amour, cantata da André Claveau, che sfido qualcuno a ricordare…), ma che in pochi mesi raggiunse un’incredibile popolarità in tutto il mondo, peraltro ancora esistente.

Una manifestazione non politica. Forse.

Lo si diceva prima. “Nessuna canzone, discorso, gesto di natura politica o similare può essere permesso durante l’Eurovision”: così recita il regolamento.

Eppure di gesti politici se ne ricordano a decine. Come quando nel 1969 l’Austria si rifiutò di partecipare all’evento, ospitato da Madrid, in affronto al regime dittatoriale di Francisco Franco. Oppure quando proprio dall’Eurovision nel 1974 con la canzone portoghese E Depois do adeus di Paulo de Carvalho fu lanciato il segnale di preallarme per preparare la Rivoluzione dei Garofani che poco tempo dopo rovesciò il regime di Marcelo Caetano. O ancora quando nel 1975 la Grecia si ritirò rifiutandosi di gareggiare contro la Turchia (affronto che la Turchia restituì alla Grecia nell’anno successivo). E cosa dire della televisione giordana che nel 1978 proclamò vincitore il Belgio, arrivato in realtà secondo, per non annunciare la vittoria di Israele (canzone A-Ba-Ni-Bi di Izhar Cohen & Alphabeta) con il quale non intratteneva relazioni diplomatiche?

La politica c’entra eccome insomma.

eurovision kalush
L’esibizione dal vivo della band ucraina Kalush Orchestra all’Eurovision Song Contest
Torino, 14 maggio 2022

Lo scontro nello scontro tra Russia e Ucraina

Anche l’Eurovision è da lungo tempo terreno di scontro e polemiche tra Russia e Ucraina e, anche se quest’anno la nazione di Vladimir Putin ne è stata esclusa, sono molti gli sgarbi tra i due paesi.

Nel 2005, in qualità di paese ospitante, l’Ucraina, appena uscita dalla cosiddetta Rivoluzione Arancione, adottò come slogan dell’evento la parola Risveglio vista dalla Russia come un affronto alla precedente politica filo-russa di Kiev. La questione arrivò anche alla Duma, la Camera bassa russa.Nel 2016 a suscitare scalpore è la vittoria di Jamala, con la sua 1944, canzone metà in inglese e metà in lingua tatara, ricca di riferimenti politici, e di forte critica nei confronti di Stalin e della sua polizia politica che nel 1944, nel bel mezzo del secondo conflitto mondiale, deportò verso l’Asia centrale circa 250.000 tatari di Crimea, tra i quali anche i parenti della stessa cantante. I riferimenti all’annessione russa della Crimea del 2014, oltre a un’aperta critica nei confronti della politica delle nazionalità da parte di Mosca, non potevano certo passare inosservati.

Nel 2017 alla cantante russa Julija Samojlova venne vietato l’ingresso in Ucraina, paese ospitante poiché, ad opinione di Kyiv, la cantante si era resa responsabile di un viaggio nel territorio della Crimea, senza l’autorizzazione delle autorità ucraine: a nulla valse la richiesta dell’UER di permettere alla cantante di esibirsi e il gesto portò la Russia a ritirarsi e a non trasmettere l’evento.

Foto di Pietro Rizzi

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Redazione
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