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Candidato al premio NIN nel 2018 come miglior romanzo dell’anno in lingua serba, Il trio di Belgrado (Beogradski trio) in realtà è un densissimo insieme di “materiali per un romanzo” come puntualmente precisa l’insigne autore e regista Goran Marković già nella prima pagina. Il traduttore dell’edizione italiana, Enrico Davanzo, si è infatti dovuto confrontare non solo con le più “classiche” sfide che comporta trasporre un’opera da una lingua all’altra, ma anche con l’effettiva ricerca di tutti i materiali e le citazioni originali che compongono il libro.
Un sapiente insieme di documenti, carte e testi originali, cuciti tra loro da un sottilissimo, saldo ma invisibile filo di finzione narrativa, è ciò che si ritroverà tra le mani chi deciderà di avventurarsi nella lettura de Il trio di Belgrado.
Anche se il racconto di finzione è di per sé inaffidabile, ho deciso di aggiungere alcune citazioni da quei romanzi al mucchio di documenti, già piuttosto eterogeneo; ritengo infatti che l’invenzione, se è parte del processo artistico, può rappresentare in qualche modo una testimonianza attendibile.
Belgrado, 1948
L’anno è il 1948 e ci troviamo per l’appunto nella capitale dell’allora Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. È primavera, ma l’atmosfera nel paese è alquanto tesa: i rapporti tra Josip Broz Tito e Iosif Stalin si stanno logorando. Il Maresciallo sta puntando a uno stato fondato più sull’autogestione che sul comunismo in senso stretto, e apertamente accarezzando l’idea della creazione di una Federazione Balcanica che comprende l’Albania di Enver Hoxha e la Bulgaria di Georgi Dimitrov, quest’ultima già rivendicata dall’orbita sovietica.
A giugno, alla riunione del Cominform a Bucarest, la delegazione jugoslava viene accusata di deviazionismo dal marxismo-leninismo e condannata. Tra gli atti d’epoca contenuti nel libro non mancano infatti la Risoluzione dell’ufficio informazioni dei partiti comunisti sulla situazione nel partito comunista di Jugoslavia e la conseguente Dichiarazione del Comitato centrale del Partito comunista di Jugoslavia in occasione della Risoluzione dell’ufficio informazioni dei partiti comunisti sulla situazione nel partito comunista di Jugoslavia. Dopo la rottura tra i due capi di stato, nella federazione si cercano febbrilmente i cittadini e le cittadine che si oppongono al potere costituito, e una destinazione in cui isolarli.
Non importa che Tito sia entrato in conflitto con Stalin: la vita per quelli che non condividono la sua ideologia qui è insopportabile, ogni rapporto con i suoi oppositori viene attentamente sorvegliato e comporta ovviamente un grande rischio.
I personaggi e l’atmosfera de Il trio di Belgrado
Su questo sfondo che va rabbuiandosi Marković ricostruisce i movimenti dei suoi protagonisti, in primis lo scrittore britannico Lawrence Durrell, che prestò servizio a Belgrado come addetto al servizio informazioni britannico dal 1948 al 1952. Il futuro autore del Quartetto di Alessandria arriva nei Balcani con la fidanzata Eve Cohen dedicandosi nel tempo libero alla “pesca con l’amo”, occupazione dietro la quale cela la sua attività di spia.
Tutti gli scrittori sono delle spie. Fanno i voyeur, si mettono in disparte a guardare e poi scrivono varie cose. Del resto, lo stesso George Orwell non era forse uno sbirro? L’ho conosciuto in Spagna, era ferito. Ma ho capito subito che era una spia. È la regola: la maggior parte degli intellettuali inglesi in gioventù era legata al movimento comunista, ma poi sono diventati tutte spie. Da voi in Inghilterra è perfettamente normale, considerate lo spionaggio un atto di patriottismo.
Indolente e libertino, Durrell impara rudimenti di serbo-croato – qualche appunto è riportato alle pagine 39 e 40 – da Vera Tankosić, il cui marito Borislav è un fervente filosovietico. Le vicende dei due coniugi, inizialmente confinate nel diario di lei, finiscono anche nei resoconti ufficiali dell’UDBA, i servizi segreti jugoslavi, quando Bora viene destinato al campo di concentramento di Goli Otok.
Una volta a casa, si è chiuso nel suo studio e ha ascoltato Radio Mosca a lungo. Penso che le sue paure, come quelle dei suoi compagni, siano dovute a certe cose di cui si sente solo mormorare, senza che se ne parli apertamente. Per me è difficile persino da concepire, ma pare che ci sia una sorta di conflitto tra i nostri dirigenti e quelli sovietici. Ma forse si tratta soltanto di maldicenze e notizie infondate, diffuse dalle agenzie anticomuniste occidentali.
Purtroppo non è così. Le testimonianze contenute nel volume delineano la serie di eventi che ha portato alla scelta del luogo dove confinare i dissidenti jugoslavi. Ai racconti strazianti si alternano le grottesche vicende del nostro uomo a Belgrado, così come viene definito Durrell dall’Inghilterra, al quale Marković mette sarcasticamente in bocca una citazione dal Quartetto di Alessandria oppure Aquile bianche sulla Serbia ogni volta che viene interpellato. Disseminati qua e là ci sono anche nomi di figure celebri come lo scrittore Borislav Pekić (già tradotto per BEE sempre da Enrico Davanzo), lo scultore Antun Augustinčić e il capo dell’UDBA Aleksandar Ranković.
Lì, tra le numerose isole, ce n’è una che si chiama Goli Otok, cioè Isola Nuda o Calva, ed è proprio il luogo adatto per quello che ci serve. Augustinčić dice che quell’isola è nota anche col nome di Mermer, cioè Marmo, ma il marmo che se ne ricava non vale nulla, è buono per farci posaceneri e tazze, ma non sculture. Per quel che riguarda i nostri scopi, penso che Goli Otok sia perfetta.
Come dice il suo stesso nome, è totalmente priva di vegetazione. Augustinčić pensa che si debba cercare ancora, ma io sono convinto che questa sia la soluzione migliore. Da Goli Otok è impossibile raggiungere la costa a nuoto, e mettendoci qualche posto di guardia la si può controllare alla perfezione.
Ciononostante Il trio di Belgrado non è un’opera pesante né tantomeno cupa. La miscela di testi originali e finzione narrativa trasporta chi legge nel racconto incalzante e cinematografico di una Jugoslavia molto probabilmente meno nota ai più. Le sue duecento pagine offrono un condensato di quanto tuttora segna quelle terre oltreadriatico: la spietatezza della storia, la convinzione negli ideali, l’incessante insubordinazione e l’ironia dissacrante – che però in questo caso è spiccatamente british.
La vita di per sé non vale nulla, se non ha un qualche senso. Tu e i tuoi uomini, se sopravvivrete, non otterrete che la pura esistenza biologica e un giorno dovrete confrontarvi con la totale mancanza di senso delle vostre vite.
Il trio di Belgrado di Goran Marković, traduzione di Enrico Davanzo, Bottega Errante Edizioni, 2025
Traduttrice e interprete. S’interessa di letteratura, storia e cultura est-europea, in particolar modo bulgara. Ha vissuto e studiato in Russia (Arcangelo), Croazia (Zagabria) e soprattutto Bulgaria, dove si è laureata presso l’Università di Sofia “San Clemente di Ocrida”. Tra le collaborazioni passate e presenti East Journal, Est/ranei, le riviste bulgare Literaturen Vestnik e Toest, e l’Istituto Italiano di Cultura di Sofia. Collabora con varie case editrici e viaggia a est con Kukushka tours. È autrice della guida letteraria “A Sofia con Georgi Gospodinov” (Giulio Perrone Editore).