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Nelle prime settimane dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina abbiamo scritto degli effetti della guerra e delle sanzioni sul programma spaziale russo. A un anno di distanza, abbiamo intervistato al riguardo Giovanni Caprara, editorialista scientifico del Corriere della Sera, saggista e storico della scienza e dello spazio. Nel corso della sua lunga carriera, Caprara ha avuto modo di conoscere da vicino molti pionieri dell’esplorazione spaziale sovietica e russa, tra i quali segnaliamo l’ingegnere Vasilij Mišin e i cosmonauti Aleksej Leonov e Valentina Tereškova. Ne ha scritto nei libri Oltre il Cielo (Hoepli, 2019) e Breve storia dello spazio (Salani, 2021).
Invadendo l’Ucraina, la Russia si è isolata dai partner occidentali anche nell’ambito dell’esplorazione spaziale. Rimane la collaborazione per la Stazione spaziale internazionale e poco altro. Lei come vede la realtà attuale del programma spaziale russo? Riuscirà la Russia a ritagliarsi un posto importante anche senza il supporto americano ed europeo?
La Russia certamente continuerà a fare spazio, però non più con l’Occidente, quindi Stati Uniti ed Europa, in virtù delle note vicende ucraine.
Mosca ha fatto una scelta strategica. Nel marzo del 2021 ha siglato un accordo con la Cina per collaborare nei piani lunari di Pechino. Essi prevedono sia una stazione in orbita lunare che un insediamento sulla superficie del satellite della Terra. Quello cinese risulta essere un piano di esplorazione lunare parallelo al programma Artemis occidentale, gestito dalla Nasa con il coinvolgimento di 23 nazioni [tra cui l’Italia, nda].
Quindi, per quanto riguarda i programmi lunari, c’è una scelta strategica di spostamento verso Pechino e a farne le spese sono stati i programmi di cooperazione con l’Occidente in ambito lunare. Ad esempio, Luna 25, una sonda russa, avrebbe dovuto avere a bordo anche una trivella europea costruita in Italia per scavare il sottosuolo lunare che è stata cancellata. La sonda continuerà ad essere preparata senza questa componente.
La Russia si trova in una condizione di estrema crisi per lo spazio. Tutti i piani slittano da anni. Solo di recente è riuscita ad avviare il nuovo vettore Angara che sostituisce il vettore Proton del quale chiuderanno la catena di montaggio entro il 2025. Il Proton era nato ancora negli anni Sessanta: è un vecchio razzo di buona capacità, ma appunto ormai vecchio e che sarà sostituito da Angara che è un vettore spaziale concepito in maniera modulare, per cui può avere diversi razzi ausiliari attaccati a seconda del carico da trasportare.
Gli altri piani sono rimasti un po’ in sordina. Dal punto di vista dei progetti, quelli lunari sono ancora vivi, ma altri non vengono effettivamente portati avanti. Questa prospettiva lunare è un po’ un’ancora di salvezza per le attività russe e per il momento non c’è altro in cantiere.
Nell’insieme, oggi la Russia assolve a un ruolo secondario e ancillare anche rispetto a Pechino, che invece ha capacità ben superiori a quelle russe in ambito spaziale.
Riguardo alla collaborazione tra Russia e Cina in ambito di esplorazione spaziale, a suo modo di vedere, cosa ha Pechino da guadagnare collaborando con Mosca, vista la crisi del programma spaziale russo che lei ha menzionato?
La Cina ne guadagna in termini di politica di cooperazione. Avere la Russia in questi progetti significa intavolare trattative che vanno oltre lo spazio. Pechino ha interesse a tener legata Mosca per fare affari anche in altri campi e per condividere un approccio internazionale che la Cina cerca di costruire. Per cui sta cercando di coinvolgere anche altre nazioni in questa prospettiva lunare. L’intenzione è quella di costruire una catena di paesi che vadano a supportare la strategia di esplorazione lunare cinese.
A questo si aggiunge il fatto che, in questo modo, Mosca collabora finanziando le operazioni sia pure in modo limitato.
Per quanto riguarda la Stazione spaziale internazionale, abbiamo visto che, nonostante la rottura delle relazioni tra Russia e partner occidentali, la cooperazione va avanti. Abbiamo ad esempio ancora cosmonauti russi che volano con le capsule americane Dragon e, viceversa, americani che volano sulle Sojuz russe. Per quanto ancora opererà la Stazione spaziale internazionale? Quali sono gli ultimi accordi al riguardo?
Proprio nei giorni scorsi, il direttore generale dell’agenzia spaziale russa (Roscosmos), Jurij Borisov, ha incontrato il presidente Vladimir Putin ottenendo risposte chiare al riguardo.
La Russia non staccherà la spina alla Stazione spaziale internazionale nel 2024 come aveva minacciato un anno fa, ma continuerà a collaborare formalmente fino al 2028. Questi piani sono in sintonia con quelli americani che hanno il 2030 come anno di dismissione finale della stazione (con il biennio 2028-2029 dedicato ai lavori di preparazione per la dismissione). Almeno in questo ambito si spera che le parti continueranno a lavorare in armonia.
Per l’ultima domanda ci stacchiamo dalla Russia per spostarci sulle relazioni tra Italia e Ucraina in ambito spaziale. Il vettore italiano Vega – sviluppato in collaborazione dall’Agenzia spaziale italiana e l’Agenzia spaziale europea – ha delle componenti costruite in Ucraina. Nei piani si pensa di proseguire questa collaborazione o, visto il conflitto in corso, tali componenti verranno sostituite?
Il progetto da parte di Avio [l’azienda italiana coinvolta nello sviluppo tecnico del progetto, nda] è di sostituire il motore del quarto stadio di fabbricazione ucraina Avum con un motore italiano.
Per il momento c’è la disponibilità in magazzino di una serie di motori Avum che saranno utilizzati per i prossimi lanci. In prospettiva, pur in un ambito di cooperazione con l’Ucraina che continuerà ancora non si sa bene come, mentre per i nuovi vettori Vega l’intenzione è quella di usare motori italiani.
Lo scorso 20 aprile è uscito La Sfida, un film russo interamente girato nello spazio. Ne abbiamo scritto qui.
Nato a Milano, attualmente abita a Vienna, dopo aver vissuto ad Astana, Bruxelles e Tbilisi, lavorando per l’Osce e il Parlamento Europeo. Ha risieduto due anni nella capitale della Georgia, specializzandosi sulle dinamiche politiche e sociali dell’area caucasica all’Università Ivane Javakhishvili. Oltre che per Meridiano 13, scrive e ha scritto della regione per Valigia Blu, New Eastern Europe, East Journal e altre testate.