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Una delle reminiscenze della mia adolescenza in un assolato liceo classico del Mezzogiorno d’Italia è un verbo greco: ἀγοράζειν (agorazein), che si può tradurre come “andare in piazza” o “andare a zonzo”. Quando più di un lustro fa ho cominciato a vivere i Balcani, mi sono ricordato di quel verbo ma l’ho attualizzato ai bar dove, parafrasando Marc Augé, si celebra la cerimonia laico-religiosa del calcio.
In Albania si vive un politeismo televisivo di calcio mondiale, si guarda tuttora la Serie A nonostante si preferiscano ormai altri campionati più “vivi” come la Premier League, la Liga Spagnola o la Bundesliga. È ormai finito il tempo in cui il Milan sconfigge l’Albania con mezzo stadio che tifa i rossoneri durante il Torneo Taçi Oil, trofeo organizzato nel 2009 dal controverso petroliere ed ex socio del Milan Rezart Taçi.
Rimane però curioso come nei telegiornali sportivi, fino a pochi anni fa, venivano prodotti dei mini-servizi sui giocatori più rappresentativi della nazionale albanese che militavano in Serie A, con gli highlights personali per i vari Berisha, Hysaj ecc. In questo caso la cosiddetta “esclusiva” era riservata ai calciatori della nazionale e non agli altri giocatori albanesi che hanno scelto di giocare per le rappresentative del Kosovo o della Svizzera, che vengono comunque seguite dal pubblico calciofilo shkipetaro.
La “guida” italiana ha riguardato anche la nazionale di calcio, sulla cui panchina si sono susseguiti, fino al 2022, allenatori italiani come Panucci e Reja, dopo l’exploit di Gianni De Biasi (e prima di lui Dossena) che, nel 2016, è riuscito a portare la nazionale per la prima volta nella storia agli Europei, ricevendo per questo la cittadinanza onoraria “per meriti sportivi portati alla nazione”.
Ma anche qui la voglia di vera internazionalizzazione del paese delle aquile ha portato a una de-italianizzazione puntando sulla figura di Sylvinho, allenatore brasiliano di formazione inglese, e del nuovo idolo del football della Repubblica delle Aquile Armand Broja, giocatore della Premier League. A dimostrazione di come anche nel mondo dello sport si cercano nuovi orizzonti.
La fanta-formazione dell’Albania agli Europei
Ciononostante in questo campionato europeo ci saranno una decina di calciatori della Serie A italiana a indossare la maglia rossa d’Albania, simbolo di quel fil rouge fra le due nazioni che si scontrano il 15 giugno in un clima di pacifico derby. Facile immaginare già le piazze italiane con la comunità albanese presente con doppia bandiera e i maxischermi pullulanti nell’Albania invasa dai turisti d’Italia.
L’Albania, come l’Argentina, può schierare 11 calciatori militanti in Italia di cui molti italianofoni e qualcuno con la doppia nazionalità. Sostituendomi, come ogni pseudo-allenatore, all’ottimo Sylvinho mi permetto di offrire una soluzione tattica per un’Albania che possa scendere in campo solo con calciatori della Serie A o quasi.
In porta doppia scelta tra Etrit Berisha dell’Empoli e Elhan Kastrati del Cittadella.
In difesa, una classica “italiana” a quattro con: Elseid Gëzim Hysaj (Lazio), Berat Djimsiti che da capitano dell’Atalanta quest’anno ha alzato l’Europa League, Marash Kumbulla (Sassuolo) e Ardian Ismajli (Empoli).
A centrocampo, invece, al vertice basso il rubapalloni Ylber Ramadani (Lecce), il campione d’Italia Kristjan Asslani dell’Inter, il trequartista Nedim Bajrami (Sassuolo) e il rapido Medon Berisha (Lecce).
In attacco bariamo e inseriamo l’ex Inter-Cremonese-Pescara-Pisa-Spezia e ora al Sivasspor Rey Manaj e, auspicando un suo trasferimento in Italia dal Fulham/Chelsea, Armando Broja.
Il legame Italia-Albania in ambito lavorativo durante il comunismo
In questo articolo vogliamo però anche ricordare il Marrje përvoje – la procedura di permesso per il lavoro all’estero che ha consentito, anche in campo sportivo e culturale, la sopravvivenza seppur sopita di idee considerate troppo occidentali dal regime comunista albanese.
Negli anni Settanta risulta interessante la stretta sinergia fra la Italia e Albania in ambito agricolo, con progetti di cooperazione che coinvolgono sia il ministero dell’Agricoltura che la Facoltà di Agraria, i cui testi del 1979, su ordine del ministero, sono in lingua italiana vista le similitudini climatiche e delle produzioni agricole dei due paesi. Per la biblioteca di Agraria vengono acquistati numerosi volumi in italiano, soprattutto riguardo l’agricoltura intensiva nell’area mediterranea e anche i dirigenti del ministero si aggiornano su testi italiani che sostituiscono i libri sovietici e cinesi.
Si continua a collaborare anche nell’ambito della risoluzione dei problemi industriali, della iperspecializzazione degli universitari e nella formazione per la creazione di una più efficiente industria di stato. Le esperienze all’estero diventano fondamentali non solo per chi le compie ma anche per il ruolo pedagogico svolto dall’esperto di ritorno in patria, incaricato dal governo a “lavorare sull’applicazione dell’esperienza acquisita dal gruppo di lavoro durante il soggiorno in Italia”.
La peculiarità della nuova collaborazione tecnico-scientifica è la iperspecializzazione ricercata da parte albanese e la disponibilità della parte italiana di insegnare le nozioni tecniche-industriali d’eccellenza, come la formazione sull’implementazione e manutenzione delle macchine di precisione per il vetro svolta dagli specialisti della fabbrica di vetro di Kavaja, l’invio di personale presso la Omac per fare esperienza di laboratorio di “sviluppo di pellicole a colori Kodac che abbiamo comprato presso la Omac stessa” o la formazione delle maestranze albanesi al Consorzio dell’Alabastro di Volterra con risultati lodevoli a tal punto da strappare all’azienda italiana la promessa di creare uno stabilimento per la lavorazione dell’alabastro in Albania.
Nonostante la formazione specialistica all’estero negli anni Ottanta sia diventata ormai una prassi ormai consolidata, il ministero continua a controllare sia gli specialisti stranieri che entrano in Albania che gli specializzandi in uscita per l’estero, tenendo conto del “temperamento e delle caratteristiche personali”. Per i ricercatori si analizza il curriculum studiorum e le ricerche scientifiche compiute in precedenza e si richiede un alto valore “morale politico”. Dopo tutto ciò serve il placet del segretario generale, cioè di Enver Hoxha in persona, che talvolta si oppone quando si tratta di personaggi dalla biografia “di non specchiata e provata fede comunista”.
La collaborazione in campo archeologico
La conservazione del patrimonio archeologico albanese diventa una chiave di volta per le collaborazioni culturali tra Roma e Tirana. Nel novembre 1981, dopo l’ottavo congresso del Comitato Centrale del Partito del Lavoro Albanese, Enver Hoxha apre in maniera cauta e guardinga alle relazioni culturali con l’Italia, grazie anche alla restituzione da parte del governo italiano della statua della Dea di Butrinto. Un avvenimento celebrato in maniera solenne dal regime albanese con la presenza delle massime autorità culturali e politiche del paese, un simbolo di rivendicazione patriottica del patrimonio archeologico nazionale trafugato dall’invasore italiano. In quest’occasione si riesce ad aprire un ufficio culturale presso la rappresentanza diplomatica a Tirana e si iniziano dei progetti di collaborazione per le missioni archeologiche italiane in Albania.
L’archeologia si trova a diventare la nuova frontiera dell’azione propagandistica del regime albanese. Questo nuovo interesse nei confronti della riscoperta dell’identità antica porta il regime comunista a reclutare frotte di archeologi con la consegna tassativa di scovare e ribadire il rapporto di discendenza diretta tra gli illiri e gli albanesi attuali, per utilizzare l’argomento dell’autoctonia del popolo albanese come elemento di coesione nazionale, stimolando un sentimento di comune appartenenza ad un ceppo etnico originale.
Archeologi albanesi partecipano a numerose conferenze in Italia soprattutto per parlare di questo nuovo impegno del governo, come nel 1982 quando gli specialisti albanesi partecipano ad una conferenza dell’Istituto di Antichità di Ravenna parlando dei successi dell’archeologia albanese nel campo del restauro dei mosaici presenti nei siti archeologici del paese.
La nascita della cattedra di italiano
In occasione della restituzione della Dea di Butrinto si inizia a parlare dell’istituzione di una cattedra di italiano presso l’università di Tirana, visto che prima era insegnato solo nel liceo linguistico della capitale albanese. Un primo passo per rendere istituzionale una lingua “proibita” ma parlata dalla popolazione.
Il 26 gennaio 1984 la cattedra viene inaugurata all’Università di Tirana e l’italiano diventa materia curriculare nelle scuole medie. Un gruppo di docenti albanesi di italiano si reca così all’Università di Perugia per corsi di aggiornamento relativi all’introduzione dell’insegnamento della lingua italiana. Dal 1984 il nostro ministero degli Esteri inizia a offrire numerose borse di studio per gli studenti albanesi più meritevoli. La strada per le relazioni fra i due paesi in ambito culturale è sempre più in discesa.
La scoperta della letteratura italiana
Con la morte di Enver Hoxha nel 1985 e l’avvento di Ramiz Alia si inizia, in ambito culturale, a non nascondere più il dato assodato che l’italiano negli anni ottanta risulta la lingua veicolare degli albanesi. Sdoganando questo tabù, prolifera l’interesse del ministero dei Beni Culturali italiano e della Presidenza del Consiglio dei Ministri che inviano in Albania diversi libri. In campo letterario, subito dopo vengono pubblicati autori classici come Dante, Boccaccio, Goldoni, Verga, Pirandello e Collodi. Non potevano mancare inoltre Carlo Levi, Moravia, Vittorini, Pratolini, Buzzati, Sciascia, Jovine, Calvino, De Filippo e anche autori meno noti come Viganò, Strati e D’Agata.
Per la letteratura italiana in Albania si tratta di un nuovo inizio diventando nota e apprezzata anche dalle nuove generazioni, come era già accaduto con quelle precedenti che avevano maggiore dimestichezza con i testi italiani presenti in alcune biblioteche private non confiscate. In questo caso si trattava comunque di opere risalenti all’occupazione fascista. La letteratura italiana subisce, durante le fasi più buie della dittatura comunista, una dura epurazione. Nelle biblioteche più importanti sono vietate le sezioni delle edizioni straniere, vengono eliminati quasi tutti i libri in lingua straniera, persino i dizionari di lingua non passano al vaglio della censura, al punto che negli anni Settanta non risultano dizionari di lingue “nemiche” come l’italiano, il greco o il serbocroato. Il primo dizionario di italiano albanese, il Leka-Simoni, viene dato alle stampe solo nel 1986 e solo nel 1996 uscirà la versione albanese–italiana.
La quasi assenza degli autori italiani, nonostante la loro importanza, la ritroviamo anche nell’ambito teatrale. Nel programma dell’Accademia Nazionale del Teatro di Tirana a essere studiati sono solo Luigi Pirandello, Dario Fo, Eduardo De Filippo e Carlo Goldoni, ma di questi solo Goldoni riceve il permesso per essere messo in scena.
Antonio Gramsci in Albania
Dopo la morte di Hoxha, l’Albania registra un incremento di visite dei gruppi arbëreshë delle comunità italiane e di missione di linguisti presso l’Accademia delle Scienze di Tirana per studiare la lingua e la cultura albanese in quei luoghi. In questa fase risulta molto importante per i lettori la pubblicazione, in albanese, delle Lettere dal Carcere di Antonio Gramsci, un evento che sa d’incredibile visti gli anatemi di Hoxha nei confronti dei comunisti italiani. L’entrata di Gramsci in Albania viene favorita dalla sua lontana origine arbëreshë e perché, a detta dell’élite al potere, il testo di Gramsci riesce a rispondere alle nuove aspirazioni d’ordine sociale e politico delle nuove generazioni albanesi.
Gli scambi in ambito sportivo
Anche lo sport agisce come un grande ponte diplomatico culturale fra i due paesi. Gli sportivi seguono esattamente l’iter degli specialisti per lasciare il paese e oltre agli atleti di calcio, ne approfittano giocatori di volley, basket e tiro al volo. L’Italia diventa contemporaneamente la meta per l’alta formazione degli allenatori di ogni disciplina.
Nel 1986 gli allenatori dei club calcistici del Flamurtari di Valona e del Vllanzina di Scutari e l’allenatore della nazionale Astrit Greva hanno l’opportunità di partecipare al maggior corso di formazione per allenatori italiani che si tiene a Coverciano. Un master importantissimo, che in quella edizione ha come docenti il commissario tecnico della nazionale italiana di calcio campione del mondo del 1982 Enzo Bearzot, per il corso di “Evoluzione, tattica e tecnica del calcio italiano”, l’allora tecnico del settore giovanile del Milan Fabio Capello, in seguito uno degli allenatori italiani più vincenti di sempre per il corso di “Tecniche calcistiche nei programmi di allenamento e innovazioni dei metodi di gioco (dimostrazioni pratiche)” e Azelio Vicini, allora allenatore della nazionale Under 21 e poi commissario tecnico dell’Italia terza al mondiale del 1990 per il corso di “Tattica”.