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“La nuova Russia” di Israel J. Singer, una recensione

La scrittura di viaggio, spesso frammentaria e rapsodica, può, a volte, restituire una ulteriore dimensione rispetto a quella dedotta dal punto di vista autoriale e dalla conoscenza storico-geografica dei luoghi. Questa dimensione lascia spazio all’immaginazione di chi legge, alla capacità di ciascuno di plasmare tempi e spazi della scrittura, permettendo di intraprendere il viaggio-lettura con uno spirito non tanto dissimile da chi, materialmente, ha vergato originariamente il resoconto. In questo approccio ricade la lettura de La nuova Russia di Israel J. Singer, pubblicato di recente da Adelphi (una ‘anteprima mondiale’, come scritto sulla fascetta editoriale). Una raccolta di articoli e riflessioni dello scrittore polacco-statunitense commissionati nel 1926 da Forverts, un quotidiano yiddish di New York.

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Singer e la “nuova Russia

Copertina de La nuova Russia di Israel J. Singer (Adelphi, 2024)

Nel volume risalta la brillante prosa dello scrittore, che si adatta contemporaneamente sia al registro della scrittura giornalistica (di cui mantiene intatta la natura divulgativa e l’esposizione) che a quello della scrittura diaristica, densa di impressioni, appunti, considerazioni al margine, rimembranze e uso delle analogie. Come in quel gioiello narrativo di Georges Simenon intitolato Europa 33, scritto e pensato durante un viaggio dell’autore francese lungo le rotte orientali del continente europeo negli anni in cui le tensioni belliche covavano sotto le ceneri, il resoconto di Singer è ancor più interessante perché elaborato senza nessuna preclusione ideologica nei confronti del soggetto-oggetto narrativo, ovvero la neonata Unione Sovietica.

Il disincanto di Singer e il suo non-posizionamento ideologico gli consentono di approcciarsi all’insieme dei personaggi e degli eventi che si trovò a vivere brevemente senza l’approccio fideistico dei marxisti che frequentarono, nello stesso periodo, i territori e le città sovietiche, come Walter Benjamin, e che restarono profondamente delusi dagli effetti della transizione; gli entusiasmi della fase più propriamente rivoluzionaria avevano lasciato lo scena alla stabilizzazione delle passioni e al rafforzamento delle istituzioni prodotte dalla sollevazione rivoluzionaria.

Dall’entusiasmo rivoluzionario alla disillusione

Come scrive Francesco M. Cataluccio a mo’ di postfazione del volume, l’entusiasmo sollevato in Singer dagli elementi più fortemente antiborghesi delle politiche economiche post-rivoluzionarie durante il suo primo viaggio in terra sovietica lascia il posto alla disillusione, allo sguardo su un paese in cui le scelte economiche – la Nep che stava per lasciare il posto alla pianificazione quinquennale – e la bagarre politica tra le differenti anime della nomenklatura comunista (Stalin, Bucharin, Zinov’ev, Trockij) avevano di fatto smussato gli afflati radicali e “burocratizzato” la dimensione soggettiva e collettiva dell’esperienza rivoluzionaria.

Ciononostante, Singer è in grado di scorgere ancora l’onda lunga dello spirito antiborghese della rivoluzione nelle manifestazioni quotidiane, nell’educazione scolastica, nella costruzione fideistica del culto di Lenin attraverso l’utilizzo del grande leader rivoluzionario come icona religiosa, onnipresente nelle case, nelle strade e nelle piazze delle città dei vasti territori sovietici. Inoltre, l’eredità della rivoluzione era viva nella convivenza delle differenti etnie nazionali, una convivenza non sempre pacifica, ma improntata al principio del riconoscimento delle differenze all’interno di un quadro di costruzione prometeica di un unico grande popolo, compattato dalle insurrezioni e dalle feroci guerre civili e proteso (nell’immaginazione dei dirigenti del Politburo) alla costruzione del socialismo.

Israel J. Singer (Wikipedia)

Il mondo ebraico nella nuova Russia

Per lo scrittore polacco il viaggio assume differenti profili: il primo è quello più strettamente giornalistico, legato all’incarico conferitogli; il secondo è quello con cui egli mette alla prova il suo credo socialista, che tanto lo aveva entusiasmato e che gli permetteva di giudicare ciò che osservava; il terzo profilo, probabilmente il più importante, è quello con cui egli analizza le trasformazioni della comunità ebraica all’interno dell’Unione Sovietica.

Quest’ultima traccia è quella che lega i diversi scritti del volume, tanto da costituire un vero e proprio Doppelgänger per l’autore, che da ebreo di formazione culturale scrive del comportamento delle comunità ebraiche nella diaspora tra Mosca, Kyiv, Odessa, Minsk. Osservando la forza delle dinamiche secolarizzanti, propagatesi attraverso la nuova cultura sovietica e rinsaldatesi attraverso le riforme economiche post-rivoluzionarie, Singer può prendere atto della grande capacità di adattamento delle diverse comunità ebraiche, le quali riescono ad assumere per intero i nuovi habitus dell’opera di civilizzazione rivoluzionaria, vuoi per fede e militanza, come nel caso delle scuole giovanili di Partito e nelle utopie realizzate delle comuni agricole, vuoi per interesse diretto economico e politico delle élite e dei capi delle comunità.

Ancor di più, egli vede realizzarsi, anche se in forma embrionale, provvisoria ed estremamente territorializzata, il legame utopico che lega il sionismo delle origini (quello di Martin Buber) con il progetto socialista, ovvero il legame libero tra uomini e donne in grado di trascendere le appartenenze razziali e le identità nazionali, ma capace di realizzare la libertà effettiva attraverso la cooperazione e il rispetto reciproco.

La nuova Russia: una società in trasformazione

Pur essendo un resoconto interessato dall’osservazione della diaspora ebraica, Singer va oltre. In primis, occupandosi di una società in trasformazione, ovvero un contesto in cui la dura necessità delle stabilizzazioni strutturali istituzionali ed economiche aveva preso il posto della quotidianità rivoluzionaria. Egli nota, in maniera acuta, l’emergere dei dissensi e il diffondersi della corruzione dovuti alle precarie condizioni economiche di parte della popolazione, la rinascita di un forte spirito borghese di accumulazione legato alla riapertura (operata durante il periodo della Nep) dei mercati. Ma, allo stesso tempo, non può non prendere atto della diffusione di una cultura legata all’orgoglio del lavoro, ovvero della trasformazione di operai, contadini e financo dei trickster metropolitani (ovvero dei soggetti in grado di contrabbandare beni come sigarette o alcolici, improvvisate guide metropolitane moscovite, gestori di bar e alberghi) in cittadini rivoluzionari in grado di interessarsi direttamente alle sorti politiche della nazione.

Altro elemento che Singer fa emergere, tanto più visibile e importante rispetto agli eventi bellici di oggi, è la dimensione cosmopolita che caratterizzava la convivenza delle differenti etnie nazionali, sia nelle metropoli che nei più sperduti sovchoz. Le pagine sulle città della Crimea, Sebastopoli e Odessa, sulla brulicante vitalità della capitale Mosca e di Kyiv, seconda metropoli per numero di abitanti, restituiscono sia la forza dell’esperimento rivoluzionario che le contraddizioni irrisolte, i cui effetti sono ancora tragicamente visibili e, ad oggi, difficilmente solvibili.

L’arte e la letteratura

L’ultima coppia di temi che Singer analizza, questa volta strettamente legati alla dimensione ideologica del suo stesso pensiero, riguardano la produzione artistica e letteraria e l’osservazione postuma degli effetti della rivoluzione un decennio dopo. Il disincanto di Singer, in questo caso, sfiora il cinismo nel mettere a tema la completa standardizzazione degli esperimenti culturali del decennio precedente: l’accelerazionismo di Majakovskij, di Ėjzenštejn, di El Lissitzky aveva lasciato il posto alla riscoperta di Puškin e della tradizione letteraria realista, assorta a canone culturale proprio in questo interregno e resa imperante durante l’epoca staliniana.

La delusione di Majakovskij, che terminerà con il suo tragico suicidio, e di Walter Benjamin, che andò via da Mosca constatando il ritorno dello spirito borghese dell’accomodamento, risaltano le considerazioni di Singer, che da laico constatò la stasi delle passioni militanti che ebbe modo di vivere direttamente durante la sua prima visita sovietica, ma allo stesso tempo ebbe modo di lodare gli effetti della rivoluzione sulla vita della popolazione e dei lavoratori, attraverso la socializzazione della cultura e la diffusione dell’istruzione, della sanità, dei trasporti e il miglioramento delle condizioni della forza-lavoro, attraverso la loro responsabilizzazione ideologica e pratica.

L’industrializzazione forzata ebbe infatti il merito di trasformare zone come il Donbass in una delle arterie della giovane economia sovietica, attraverso la costruzione dei kombinat carboniferi e siderurgici che, con le parole di Singer, coloravano di nero l’atmosfera di quelle zone e il volto dei lavoratori. In tutto questo movimento, ciò che mancava era proprio lo spirito realista, cinico e rivoluzionario di Lenin, che aveva davvero sostituito le vecchie icone ortodosse nella monumentalistica sovietica, ma il cui spirito era andato scemando progressivamente.

Trovare l’alba dentro l’imbrunire”

Questo stimolante libro è uno spaccato antropologico su una società in rapido cambiamento, in cui esistevano contemporaneamente i geni della degenerazione che sarebbe avvenuta successivamente e gli anticorpi rivoluzionari, il cui estremismo era tanto generoso quanto pericoloso per gli assetti del potere. La nuova Russia è anche un libro sulla grande capacità di adattamento delle comunità ebraiche, che in Unione Sovietica trovarono uno spazio in cui crescere a contatto con le trasformazioni e in seguito sfuggire alle persecuzioni razziali, che restituisce al lettore il sionismo come idea generata dal milieu socialista, cosmopolita e rivoluzionario e non come brutale affermazione di superiorità razziale e religiosa pregna di violenza.

E, letto con altri occhi, il libro di Singer, insieme a tanta memorialistica (Šklovskij, Benjamin, Babel’), invita il lettore a riflettere sulla dimensione antropologica del processo rivoluzionario sovietico, sulle sue vittorie e sulle sue sconfitte e sulle possibilità di tradurre altrove un tale esperimento rivoluzionario.

Con le bellissime e struggenti parole di Franco Battiato, la domanda di fondo che lascia il libro nel lettore è l’interrogazione sul modo con cui “trovare l’alba dentro l’imbrunire”, ovvero la riflessione sul rapporto tra trasformazione collettiva e libertà individuale, tanto più utile oggi con gli sfaceli della governance neoliberale che hanno lasciato riemergere nazionalismi e autoritarismi come soluzioni alle emergenze.

La nuova Russia, Israel J. Singer, traduzione di Marina Morpugno, Adelphi, 2024

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Vincenzo Di Mino
Vincenzo Di Mino

Laureato in Scienze della Politica, è ricercatore indipendente in teoria politica e sociale. Ha collaborato con alcune riviste tra cui Machina.