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Quando il dragone incontra l’aquila: le relazioni tra Cina e Albania

*di Marco Siragusa e Vincenzo Di Mino

Nella seconda parte del Novecento, l’Albania è stata conosciuta come uno dei paesi più chiusi al mondo, con una politica fortemente isolazionista e di netta contrapposizione ideologica con il blocco occidentale. Le uniche alleanze strette dal paese delle aquile furono quelle, temporanee e non sempre facili, con Unione Sovietica e Cina. Le relazioni tra Cina e Albania, in particolare, hanno vissuto il loro periodo migliore tra gli anni Sessanta e Settanta.

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Dalla fine del comunismo, avvenuto nel 1991 con le prime elezioni multipartitiche, Tirana ha completamente capovolto il proprio posizionamento dichiarandosi convintamente un paese atlantista. Un percorso iniziato già nel 1992 con l’adesione al Consiglio di cooperazione del Nord Atlantico e portato a termine nel 2009 con la piena adesione alla Nato.

Nell’ultimo decennio però, dopo una lunga fase di freddezza nelle relazioni diplomatiche ed economiche, Tirana ha riaperto le porte a una più ampia collaborazione con la Cina. Il paese balcanico è stato infatti incluso in due iniziative cinesi: una globale, la Belt and Road Initiative nota anche come Nuova via della seta, e l’altra regionale, la 17+1 Initiative (oggi in realtà 14+1 dopo l’uscita della Lituania, dell’Estonia e della Lettonia ) che include i paesi dell’Europa centrale e orientale.

La partecipazione albanese a questi format internazionali ha sicuramente favorito una maggiore cooperazione in campo economico e un ristabilito rapporto politico con Pechino. Un cambio di direzione rispetto al passato che ha aperto nuove sfide ma che, ad oggi, non ha scalfito la prospettiva e l’adesione euro-atlantica del paese.

Le relazioni tra Cina e Albania durante il comunismo

La vittoriosa resistenza partigiana contro l’occupante nazi-fascista si concluse con la definitiva liberazione del paese il 28 novembre 1944. Nel governo quarantennale, il Segretario del Partito del Lavoro d’Albania Enver Hoxha cambiò più volte il proprio punto di riferimento all’interno del blocco comunista. Con l’esclusione dal Cominform della Jugoslavia nel 1948 il paese entrò presto nell’orbita sovietica. Hoxha si dimostrò subito il più fedele alleato di Stalin e della sua politica estera.

L’incontro tra Enver Hoxha (a destra) e Mao Zedong (a sinistra) a Pechino nel 1956 (Ifeng)

Negli anni Sessanta però, dopo la morte del leader sovietico, la conseguente destalinizzazione e l’aggravarsi della divisione con la Cina, Tirana entrò in contrasto con il Cremlino rivolgendo le sue attenzioni alla Repubblica Popolare di Cina di Mao Zedong. In cambio del sostegno, Pechino supportò economicamente e militarmente l’Albania, inviando nel paese anche migliaia di consiglieri.

Il sostegno cinese, in termini di investimenti e aiuti, rappresentò per quasi due decenni la più importante risorsa economica per il paese balcanico. La cooperazione sino-albanese si concentrò soprattutto sul settore della difesa, con la fornitura di ingenti quantità di armi ed equipaggiamento militare, e sul commercio di beni tralasciando quasi del tutto gli investimenti utili all’ammodernamento infrastrutturale del paese.

Il sostegno albanese al riconoscimento di una sola Cina all’Onu

Dal punto di vista politico, il Partito del Lavoro d’Albania sostenne apertamente la Rivoluzione Culturale di Mao contribuendo a rafforzare l’amicizia tra i due paesi. Un’amicizia che ottenne un importante successo nel 1971 alle Nazioni Unite. In quella fase storica la Cina era ancora esclusa dall’Assemblea. Il suo seggio era infatti occupato da Taiwan con il nome di Repubblica di Cina, che rivendicava di essere l’unico governo legittimo.

Il 15 luglio 1971 l’Albania, insieme ad altri 17 stati membri delle Nazioni Unite, chiese di inserire all’ordine del giorno il tema del “Restauro dei diritti legittimi della Repubblica popolare cinese all’interno dell’ONU” con cui si chiedeva di sostituire il seggio di Taiwan. Il 25 ottobre 1971 venne definitivamente approvata la Risoluzione 2758 proposta dall’Albania che riconosceva la Repubblica Popolare Cinese come “l’unico rappresentante legittimo della Cina” rimuovendo i rappresentanti di Chiang Kai-shek (Repubblica di Cina) dalle Nazioni Unite.

La rottura delle relazioni tra Cina e Albania

Nonostante lo sforzo politico per raggiungere questo importante risultato, le relazioni tra Cina e Albania vennero presto messe in discussione dal nuovo corso intrapreso dal Partito Comunista Cinese nelle relazioni con gli Stati Uniti. Una repentina apertura che portò addirittura alla visita del presidente americano Richard Nixon in Cina nel 1972.

Un evento completamente silenziato dai media albanesi, in linea con l’isolamento quasi totale del paese con il resto del mondo. Esattamente come già successo con l’Unione Sovietica dopo la morte di Stalin, la scomparsa di Mao Zedong nel 1976 e il superamento della Rivoluzione Culturale crearono i presupposti per la fine delle relazioni tra Cina e Albania. La rottura definitiva avvenne nel 1978 quando Pechino decise di interrompere i suoi programmi di aiuto a Tirana.

La transizione albanese

Nonostante la morte di Enver Hoxha, avvenuta l’11 aprile 1985, e la successiva apertura ad un sistema multipartitico, i rapporti tra Albania e Cina non cambiarono. Per oltre vent’anni i due paesi hanno continuato infatti a mantenere relazioni minime, sia a livello diplomatico che commerciale.

I funerali di Enver Hoxha a Tirana, 15 aprile 1985 (Enverhoxha100)

Negli anni Novanta una parte del trasformato panorama politico albanese iniziò addirittura a intrattenere relazioni stabili con Taiwan attraverso la Taiwan-Albania Friendship Association, guidata da Neritan Ceka già fondatore del Partito Democratico d’Albania e successivamente del Partito dell’Alleanza Democratica e Ministro degli interni tra il 1997 e il 1998.

Secondo alcune ricostruzioni, poi ufficialmente smentite, nel 1999 alcuni diplomatici taiwanesi promisero aiuti economici all’Albania per 1 miliardo di dollari in cambio del ritiro del riconoscimento della Repubblica Popolare Cinese.

Pochi mesi dopo, nel dicembre 2000, la visita ufficiale del ministro degli Esteri cinese Tang Jiaxuan in Albania sgomberava il campo da qualsiasi dubbio affermando che il paese delle aquile non avrebbe stabilito legami ufficiali né avrebbe avuto contatti ufficiali con Taiwan in nessuna forma.

Il nuovo corso nelle relazioni tra Cina e Albania

Nonostante il riavvicinamento nei primi anni Duemila, le relazioni sino-albanesi hanno cominciato a intraprendere un nuovo, più concreto, corso solo nel 2012. Quell’anno infatti l’Albania entrò a far parte del cosiddetto gruppo 17+1, volto a promuovere le relazioni commerciali e di investimento tra la Cina e i paesi dell’Europa centro-orientale. A beneficiarne è stata soprattutto la cooperazione economica tra i due paesi con un aumento degli scambi commerciali, che hanno portato la Cina tra i principali partner economici dell’Albania dietro solo a Italia e Turchia.

Tra i primi importanti investimenti cinesi nel paese rientra quello del maggio 2014, con l’acquisto del 50% della società mineraria turca Nesko Metal da parte del più grande produttore cinese di rame, la Jiangxi Copper Corporation.

Un’ulteriore svolta e accelerazione nella cooperazione sino-albanese si è avuta a partire dal 2015 con l’adozione di un’agenda che prevedeva tra le altre cose l’intensificazione della cooperazione nello sviluppo delle infrastrutture, comprese strade, ferrovie, porti e aeroporti. Obiettivi effettivamente perseguiti dalla Cina già a partire dal 2016, con un aumento significativo degli investimenti nel paese europeo. I settori maggiormente interessati sono stati proprio quello infrastrutturale e quello petrolifero. La più grande compagnia dell’Albania, la Bankers Petroleum, fu acquistata dalla cinese Geo-Jade Petroleum nel 2016 per oltre 384 milioni di euro, che oggi gestisce i giacimento di Patos-Marinëz, e di Kuçova, i più grandi del paese.

Per quanto riguarda invece gli investimenti infrastrutturali, il più importante, registrato un mese dopo quello della Bankers Petroleum, ha riguardato l’acquisto da parte della China Everbright Limited del 100% delle azioni per la gestione dell’aeroporto Internazionale “Madre Teresa” di Tirana (82 milioni di euro), ai tempi ancora l’unico aeroporto del paese. La gestione dell’aeroporto è poi tornata in mano albanese con la vendita delle azioni al Kastrati Group.

I rapporti culturali

Al di là del piano economico, una valida strategia di cooperazione e allargamento delle relazioni politico-economiche non può prescindere da un profondo lavoro “culturale” volto a costruire e diffondere nell’opinione pubblica una narrazione positiva del paese partner. Nel caso delle relazioni tra Cina e Albania questo aspetto ha assunto un ruolo centrale.

Nel tentativo di contrastare quelle visioni totalmente negative verso la Cina, ancora piuttosto diffuse in Europa e nel mondo occidentale, Pechino ha adottato una vera e propria “strategia culturale”, sia attraverso un costante contatto con personalità politiche e istituzionali sia verso la società civile albanese.

Dragone in Piazza Skanderbeg (Tirana) per celebrare il capodanno cinese nel 2019 (Balkanweb)

Sul piano prettamente culturale la presenza cinese si è fatta negli ultimi anni sempre più evidente e penetrante. Uno dei canali privilegiati per la diffusione di una più profonda conoscenza della cultura cinese è stato senza dubbio l’Istituto Confucio, inaugurato nel 2013 presso l’Università di Tirana. Da allora, l’Istituto ha fatto registrare un aumento quasi costante degli studenti grazie anche alle borse di studio destinate a studenti albanesi interessati a imparare la lingua cinese.

Sempre in ambito universitario, il 31 marzo 2022 è stato firmato un memorandum d’intesa sulla cooperazione tra l’Università di Economia e Finanza dello Jiangxi e l’Albanian University di Tirana, mentre un altro accordo è già in vigore con l’Epoka University.

Tra gli eventi culturali più significativi legati alla cultura cinese che si svolgono ogni anno in Albania va segnalata la Settimana della Cultura Cinese. Nel corso della settimana sono numerosi gli eventi organizzati, da dimostrazioni di arti marziali cinesi a spettacoli di danza e workshop di cucina. Proprio la capitale albanese dal 2008 è gemellata con Pechino, così come Valona e Yangzhou (2015) e Fier e Lanzhou (2011).

Il più importante tassello del soft power cinese in Albania è stato però l’accordo raggiunto nel 2019 tra la radiotelevisione albanese e l’amministrazione radiotelevisiva nazionale cinese sulla trasmissione di programmi cinesi e in particolare del documentario “China: Time of Xi”.

In occasione della firma, l’ambasciatore cinese Zhou Ding aveva espresso la speranza che “il documentario sulla governance cinese apra una nuova finestra agli albanesi per conoscere la Cina”. Più in generale, l’accordo prevedeva un’ampia collaborazione per lo scambio di produzioni televisive, documentari e cartoni animati e per la formazione del personale.

Più Europa che Cina

In Albania, Pechino ha provato a sfruttare, sia in campo economico che in quello politico, le incertezze e i passi falsi dell’articolato e spesso contraddittorio processo di adesione all’Unione Europea. Non tanto per bloccarne il percorso, quanto per ritagliarsi un margine d’azione in un’area considerata fondamentale per l’accesso all’Europa e al Mediterraneo.

Nonostante le numerose delusioni europee, il protagonismo cinese in Albania ha dovuto scontrarsi con un atteggiamento fortemente europeista e atlantista del primo ministro Edi Rama, al governo dal 2013. Un atteggiamento che ha sicuramente congelato alcune delle sfide poste all’egemonismo occidentale a livello regionale.

Più che di vera e propria chiusura, nel caso albanese sarebbe più opportuno parlare di ostacoli o argini posti all’avanzata cinese. Limitazioni che non impediscono del tutto la cooperazione e gli scambi ma che ne limitano la portata solo ad alcuni settori ed entro limiti considerati “accettabili” dagli alleati.

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Marco Siragusa
Marco Siragusa

Dottore di ricerca in Studi internazionali e giornalista, ha collaborato con diverse testate tra cui East Journal e Nena News Agency occupandosi di attualità nell’area balcanica. Coautore dei libri “Capire i Balcani Occidentali” e “Capire la Rotta Balcanica”, editi da Bottega Errante Editore. Vice-presidente di Meridiano 13 APS.