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Da settembre è disponibile sui principali siti di streaming audio un podcast che parla del confine orientale. Al centro della narrazione ci sono le vicende che durante il Ventesimo secolo hanno riguardato la città di Gorizia: unita, poi divisa e poi nuovamente riunita. Il podcast colpisce per la qualità del prodotto e per la potenza delle storie che contiene. Per questo motivo abbiamo intervistato Alessandro Cattunar e Natalie Norma Fella, ovvero due delle persone che hanno realizzato Linea Bianca. Alessandro Cattunar, storico e insegnante, presidente dell’associazione Quarantasettezeroquattro e curatore di progetti di storia pubblica tra cui Topografie della memoria. Natalie Norma Fella, attrice e autrice di spettacoli teatrali, audiowalk e podcast; ha all’attivo numerose collaborazioni tra Milano, Montreal e Friuli-Venezia Giulia, tra cui quella con 47|04; per Linea Bianca è scrittrice, voce narrante, produttrice e montatrice.
Partiamo dall’inizio: come nasce l’idea di Linea Bianca? Potete parlarci del lavoro di ricerca?
Alessandro: Il podcast Linea Bianca è l’ultimo tassello di un progetto molto ramificato, che affonda le sue radici in un’attività di ricerca cominciata 15 anni fa quando, insieme a Kaja Širok, storica slovena, ho deciso di iniziare ad indagare la storia di Gorizia, Nova Gorica e dell’area di confine a partire dai racconti di vita dei testimoni. Un progetto che si basava (e si basa tutt’ora) sul desiderio di ricostruire gli eventi storici ma soprattutto di analizzare le dinamiche della memoria, sia a livello personale che a livello pubblico e collettivo, nella consapevolezza di quanto sia complesso capire e raccontare le aree di frontiera, in cui si intrecciano diverse identità, culture, lingue, sensibilità politiche.
In questi anni, grazie alla collaborazione di diversi storici e videomaker (Štefan Čok, Andrea Colbacchini, Alessia Tamer, Ruban Vuaran), abbiamo realizzato più di centoventi videointerviste, cercando di coprire tutto il periodo che va dagli anni Venti fino ad oggi. Abbiamo cercato di soffermarci sulle percezioni individuali degli avvenimenti, sul linguaggio e le categorie utilizzati per definire e spiegare i momenti cruciali di questa storia, su come i racconti individuali fossero in grado di restituire la dimensione della complessità. Racconti che fanno emergere chiaramente responsabilità e dinamiche socio-politiche, evidenziando, al contempo, molte sfumature, situazioni ibride, interpretazioni capaci di superare quelle sterili contrapposizioni ideologiche che in molti casi, soprattutto a partire dagli anni Duemila, hanno segnato il dibattito pubblico su questi temi.
A partire da questo lavoro di raccolta e interpretazione delle fonti orali, abbiamo realizzato un archivio multimediale attraverso cui renderle fruibili, in connessione con foto d’archivio e personali (www.stradedellamemoria.it), e inaugurato un percorso storico-turistico multimediale a cielo aperto, intitolato Topografie della memoria. Poco dopo, nel 2014 ho pubblicato un volume con Mondadori Education dal titolo Il confine delle memorie e con l’Associazione 47|04, con cui ho condiviso tutto questo lavoro, ci siamo messi a progettare altri prodotti di “public history” con l’intento di lavorare su fronti diversi con linguaggi differenti. Nasce così l’idea di realizzare una mostra multimediale presso uno dei valichi di confine (promossa dal Comune di Gorizia e curata da 47|04 inaugurerà fra poche settimane); una lezione-spettacolo multimediale, uno storytelling on line e, appunto, il podcast Linea bianca.
Natalie: Personalmente avevo già avuto modo di lavorare con Alessandro costruendo insieme delle lezioni-spettacolo sul tema della nascita del confine a Gorizia. Un tema che l’associazione 47|04 approfondisce e diffonde da molto tempo. Ed è grazie alla collaborazione sviluppata con loro negli anni che mi sono avvicinata alla storia di questa città (anzi, di queste città). Mi piaceva l’idea di condividere attraverso un podcast quello che io stessa ho scoperto negli ultimi anni. Questo territorio, come racconto in Linea Bianca, non fa parte delle mie radici ma nel tempo è diventato un luogo a cui tornare. Negli anni ho avuto l’impressione che più ci si avvicina alla storia dell’area goriziana e più si amplificano le complessità, ma forse è proprio in questa natura sfaccettata, sfuggente, complessa e contraddittoria che sta l’identità di quest’area di confine. Ed è anche a partire da queste complessità e contraddizioni che abbiamo iniziato a ragionare sull’idea del podcast; sono stati i due aspetti da cui partire per indagare i materiali storici e d’archivio che 47|04 ha messo a disposizione.
Di fronte a una storia così complessa come avete deciso la linea narrativa?
Alessandro: Abbiamo deciso di partire dalla fine, da una giornata cruciale per il territorio goriziano, che è il 16 settembre 1947. È il giorno in cui le truppe alleate tracciano il nuovo confine che divide Italia e Jugoslavia. Una linea decisa durante le conferenze di pace a Parigi, il 10 febbraio dello stesso anno. È il momento in cui la popolazione goriziana deve accettare il fatto che la propria città e comunità verrà divisa tra due stati, due concezioni del mondo, due blocchi. E le famiglie dovranno decidere da che parte stare.
Per raccontare come si è arrivati a definire quel nuovo confine, abbiamo deciso di non seguire una linea strettamente cronologica, ma di soffermarci su tre momenti fondamentali, tre fasi in cui le dinamiche identitarie si sono trovate al centro delle vicende politiche e sociali. E abbiamo deciso di partire dal momento più complesso e controverso: la fine della Seconda guerra mondiale e la cacciata dei nazisti, fra il 30 aprile e il 2 maggio 1945. Le successive due puntate sono dedicate a ciò che avviene prima e dopo questo momento cruciale, e quindi, da un lato, al ventennio fascista e alle politiche di snazionalizzazione e italianizzazione e dall’altro alle manifestazioni per l’appartenenza nazionale che hanno segnato il territorio nell’immediato dopoguerra, durante il periodo del Governo militare alleato.
Natalie: Abbiamo deciso che la nascita della Linea Bianca, del confine, sarebbe stata il punto di partenza e anche il punto di arrivo della linea narrativa di questa stagione. Ci siamo quindi concentrate e concentrati sul periodo che va dalla fine della seconda guerra mondiale al giorno in cui è stato segnato il confine. Nella stesura degli episodi ci è sembrato importante anche fare un focus sulle condizioni di vita della comunità slovena a Gorizia, dall’ascesa del fascismo in poi, per questo nella seconda puntata si fa un salto indietro nel tempo con il racconto dell’assalto al Trgovski Dom e della vicenda di Lojze Bratuž. Significative sono le storie e le testimonianze intorno al tema dell’oppressione della comunità slavofona e significativi anche il punto di vista e i racconti di chi a quella comunità non apparteneva.
Per chi conosce poco la storia di questo territorio, penso che questi tasselli siano fondamentali per osservare in modo più consapevole e completo gli eventi dei quarantadue giorni di governo jugoslavo e le dinamiche delle manifestazioni a favore dell’annessione di Gorizia all’Italia o alla Jugoslavia, di cui parliamo nella terza puntata, che hanno animato la città in attesa della definizione dei confini.
Un podcast è un prodotto che per sua natura non può contenere tutto. Anzi, mette sotto la luce alcune cose, ma ne oscura altre. Ci sono state storie o aspetti che avrebbero meritato di essere inclusi nelle puntate, ma che alla fine sono rimasti fuori?
Alessandro: Innanzitutto, abbiamo deciso di puntare sull’intreccio di esperienze e punti di vista differenti. Questo ci ha permesso di dar voce a molti testimoni, facendo emergere sguardi, sensibilità, interpretazioni, ma al contempo non ci ha permesso di restituire i singoli percorsi di vita nella loro profondità e complessità. Ad ogni modo, questa dimensione la si può recuperare andando ad ascoltare le testimonianze nella loro interezza sul portale Strade della memoria.
E poi abbiamo lasciato da parte molti aspetti e molte storie che, magari, proporremo in futuro, in una seconda serie del podcast. A me personalmente piacerebbe focalizzarmi sul periodo antecedente la Prima guerra mondiale e sul modo in cui i goriziani si percepiscono e si descrivono come una comunità ibrida, basata sulla convivenza e sulla consapevolezza che diverse identità convivono all’interno di ogni famiglia e di ogni persona. La Gorizia dell’anteguerra è un bellissimo laboratorio in cui identità culturali, le lingue, le convinzioni politiche si confrontano e si mescolano.
E poi mi piacerebbe raccontare i mesi del Governo militare alleato, quando a Gorizia c’erano americani, inglesi, neozelandesi e indiani. Quando sono arrivate scatolette con alimenti mai visti prima, sigarette, cioccolata, pane bianco. Quando i goriziani e le goriziane hanno iniziato a sperare di poter uscire dalla miseria della guerra, anche attraverso matrimoni che li avrebbero portati a trasferirsi, di lì a poco, negli Stati Uniti. Un periodo vivace e contradditorio, tra residui del passato, vecchi rancori e speranze in un futuro ancora molto incerto.
Natalie: Sicuramente sono rimaste fuori molte cose. Moltissime testimonianze e anche molti aspetti storici che per le scelte fatte per queste quattro puntate, abbiamo dovuto mettere da parte. Avevamo una grande mole di materiali di partenza, numerose interviste d’archivio, molto lunghe e approfondite. Racconti che toccavano più decenni di vita personale e di storia collettiva. Abbiamo scelto di restituire, nella prima puntata, una pluralità di voci e racconti e, in seguito nel corso degli episodi successivi, focalizzare il racconto su poche testimonianze significative. Come hai visto, ad Alessandro piacerebbe focalizzarsi su un periodo precedente a quello raccontato, a me invece piacerebbe provare a spingerci in un tempo più vicino a quello contemporaneo, indagare com’è cambiata la città quando muoversi tra i due paesi è diventato più semplice, indagare come sono diventate Gorizia e Nova Gorica oggi. Penso mi piacerebbe intrecciare il racconto del presente con il racconto di momenti della storia di cui parlava Alessandro, eventi che ancora non abbiamo affrontato o approfondito in Linea Bianca (dagli anni dell’impero austro-ungarico ai quarantadue giorni di governo jugoslavo, agli anni del disgelo, etc…)
Qui forse si vede che Alessandro è uno storico e io no, ma penso sia una ricchezza, credo che il desiderio di osservare epoche diverse potrebbe far nascere un racconto parallelo ricco di molti spunti per guardare al presente e al futuro di queste due città.
Unica anticipazione per i lettori rispetto al vostro lavoro. Ho trovato questo passaggio di grande potenza:
Uno in frontiera non è solo sé, è anche l’altro e quindi si trova a doversi scindere. Fare delle scelte in questo caso è traumatico e ingiusto. Perché scegliere di essere uno, anziché essere “plurimo”. Essere plurimo vuol dire avere maggiore ricchezza. La storia ogni tanto ti obbliga, tu sei questo, tu sei questo ed è un impoverimento e una barbarie. Perché devo scindermi da una di queste identità. Io sono ricco, perché dovrei diventare povero? I nazionalismi sono sempre perversi, meglio avere un’identità varia che un’identità ossessiva.
È la prima frase che si sente pronunciare da un intervistato nella prima puntata. Possiamo dire che questo passaggio è il manifesto di Linea Bianca?
Alessandro: Certamente lo è. La testimonianza di Franco Giraldi, che è stato un importante regista e sceneggiatore, è stata fra le prime che abbiamo raccolto e, in qualche modo, ha guidato la nostra linea di ricerca prima e le scelte drammaturgiche poi. Pone al centro la questione fondamentale dell’identità e di come i nazionalismi portino a definirla e a percepirla in maniera distorta, esclusiva, contrappositiva. Gorizia prima della Grande guerra dimostra che è possibile un altro “approccio” alla questione identitaria, e speriamo che oggi, dopo l’allargamento dell’Ue e la prospettiva della Capitale europea della cultura 2025, quello spirito possa essere riaffermato.
Natalie: Non l’ho mai pensata come un manifesto, anche perché per me Linea Bianca è un racconto e forse per un racconto non c’è bisogno di manifesti. Di sicuro sono parole potenti e ispiranti, sono state uno dei nuclei da cui partire e a cui tornare. Infatti non a caso, parti di quell’intervista, compaiono sia all’inizio della prima puntata, come ricordi bene, che alla fine dell’ultimo episodio.
Pur senza aver avuto la fortuna di incontrarlo di persona, ho la sensazione che la testimonianza di Franco Giraldi ci abbia indicato una strada per il racconto, e che ce l’abbia indicata con la discrezione di un maestro, di un osservatore acuto e discreto, che ce l’abbia indicata come un bagliore che fa luce sulle cose e poi ti lascia con il ricordo delle cose viste in quel bagliore e la necessità di metterle in ordine per provare autonomamente a creare e dare loro un senso.
Autore dei libri “Questo è il mio posto” e “Curva Est” - di cui anima l’omonima pagina Facebook - (Urbone Publishing), "Predrag difende Sarajevo" (Garrincha edizioni) e "Balkan Football Club" (Bottega Errante Edizioni), e dei podcast “Lokomotiv” e “Conference Call”. Fra le sue collaborazioni passate e presenti SportPeople, L’Ultimo Uomo, QuattroTreTre e Linea Mediana. Da settembre 2019 a dicembre 2021 ha coordinato la redazione sportiva di East Journal.