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“L’infanzia di Ivan”, una condanna alle atrocità e agli orrori della guerra

L’infanzia di Ivan (1962) resta ancora oggi, pur a distanza di oltre sessant’anni dall’uscita, uno dei più grandi capolavori della cinematografia moderna. Questo non solo per la suggestiva fotografia o le malinconiche immagini in bianco e nero che lo hanno reso iconico, ma anche e soprattutto per l’incredibile attualità dei temi trattati dalla magistrale regia di Andrej Tarkovsij, allora appena trentenne.

Quando la pellicola uscì, in quel periodo storico che oggi viene ricordato come disgelo, dove sotto la guida di Nikita Chruščëv l’Unione Sovietica si riavvicinò, seppur per poco, al blocco occidentale, il messaggio che L’Infanzia di Ivan volle lanciare verso il mondo risultò netto e conciso: un ripudio e una condanna assoluti nei confronti delle atrocità della guerra.

Questo perché negli anni Sessanta la Seconda guerra mondiale era tutt’altro che solo un “lontano ricordo”, come lo è per noi oggi; ma anzi, al contrario, si trattava di una reminiscenza ancora viva, recente e dolorosa nella memoria collettiva. Nello stesso tempo, però, proprio ai giorni nostri, pur essendo in effetti passati ben sessantadue anni dalla primissima proiezione in Unione Sovietica, L’infanzia di Ivan è diventato tristemente e dolorosamente contemporaneo.

È piuttosto facile intuire il motivo: questo film parla di guerra, e in un mondo come quello odierno, dove da oltre due anni la guerra è tornare a sconvolgere la quotidianità; dove le tensioni e i conflitti hanno irrimediabilmente modificato la nostra percezione e la nostra sensibilità, fino a cancellare la promessa di pace che ingenuamente ci si era fatti nel secolo scorso; un film come L’infanzia di Ivan parla non più solo di un lontano passato, ma diventa un diretto rimando anche noi e al nostro presente.

L'infanzia di Ivan Andrej Tarkovskij - archivio canale tv pervij kanal
Una scena de L’infanzia di Ivan di Andrej Tarkovskij (archivio di Pervyj Kanal)

L’infanzia di Ivan, ispirato al racconto Ivan (1957) di Vladimir Bogomolov, narra, come il titolo suggerisce, la vita del piccolo Ivan. Un bambino di circa dieci anni che dalla spensieratezza e dall’ingenuità infantili, vissute in un villaggio di campagna assieme alla madre, si ritrova a perdere tutto quello che ha, compresi i propri cari, a causa della guerra.

La trama del film si sviluppa infatti attorno ai terribili fatti della Seconda guerra mondiale, negli anni in cui fra 1941 e 1945 l’esercito nazista invase l’Unione Sovietica, devastando, saccheggiando e distruggendo tutto ciò che si trovava sul suo cammino e sconvolgendo per sempre la vita degli abitanti. Così, dalle prime idilliache immagini del piccolo Ivan e sua madre, che osserviamo sporgersi sul bordo di un pozzo, si viene presto catapultati nella disperazione e desolazione più totali, dato che Ivan resta orfano, completamente solo e abbandonato a sé stesso e costretto a fuggire dal nemico e nascondersi.

Il regista Andrej Tarkovskij - TASS
Il regista Andrej Tarkovskij (TASS)

Ben presto dalla brutale esperienza germina però in lui anche un sentimento di vendetta proprio su quel nemico, e la rabbia e la violenza, in un batter d’occhio, si appropriano di lui, in un’incontenibile furia e volontà di uccidere chi gli ha tolto il diritto a vivere l’infanzia spensierata che ogni bambino meriterebbe. Ivan diventa allora una piccola macchina da guerra: ricolmo di odio e risentimento, non sente più i morsi della fame, del freddo e del dolore, ma si nutre di collera e furore – quelle che solo in un bambino cui è stato tolto tutto potrebbero nascere – e vi si aggrappa per cercare di sopravvivere in un mondo che non riconosce più.

La storia di Ivan, se presa in una chiave storica, non è però da considerare come caso isolato, ma resta piuttosto un esempio di quella che avrebbe potuto essere (e che forse ancora oggi è) l’esperienza di migliaia di bambini e bambine, le cui vite furono strappate e modificate per sempre dalla brutalità della guerra. E dunque, nuovamente, il messaggio che valeva allora riecheggia con un amaro rigurgito proprio oggi.

L'infanzia di Ivan- archivio televisione pubblica russa Obscestvennoe televidenie Rossii
L’infanzia di Ivan – archivio Obščestvennoe televidenie Rossii

Non so come vivere senza la guerra!

L’infanzia di Ivan al Festival del cinema di Venezia

Il film venne girato e prodotto dalla casa di produzione sovietica Mosfil’m fra il 1960 e il 1962 e fu il primissimo lungometraggio di Andrej Tarkovskij, che però riuscì comunque a farlo emergere, consacrandolo definitivamente fra i maestri della storia del cinema. Fu il primo fra i sette capolavori del regista e venne seguito da: Andrej Rublëv (1966), Solaris (1972), Lo specchio (1975), Stalker (1979), Nostalghia (1979), Sacrificio (1986).

A differenza di alcuni dei film successivi, però, L’infanzia di Ivan venne considerato, soprattutto inizialmente, come un film prettamente “sovietico”, sia per il tema trattato, sia perché Tarkovskij iniziò a lavorarci quando aveva solo 29 anni e, avendo da poco terminato gli studi e vivendo in Urss, non si era ancora mai dedicato alla regia di progetti dal respiro più ampio.

Tuttavia, l’accoglienza a livello internazionale fu comunque più che mai calorosa: la pellicola vinse infatti il Leone d’oro al miglior film alla trentesima edizione del Festival del cinema di Venezia e, anche in patria fu uno dei film più di successo al botteghino, proiettato per mesi e visto da quasi 17 milioni di spettatori nella sola Unione Sovietica.

Ne L’Infanzia di Ivan non ho cercato di analizzare il processo stesso, quanto più lo stato di una persona coinvolta nella guerra. Se una persona viene distrutta, si distrugge anche il suo sviluppo dal punto di vista logico, soprattutto se parliamo della psiche di un bambino.

Andrej Tarkovskij
Andrej Tarkovskij durante la premiazione al Festival del cinema di Venezia nel 1962 - TASS
Andrej Tarkovskij durante la premiazione al Festival del cinema di Venezia nel 1962 (TASS)

Le accuse di decadenza e formalismo e la difesa di Jean-Paul Sartre

Il pubblico rimase molto colpito dalla vicenda del piccolo Ivan, di fronte agli orrori della Seconda guerra mondiale; eppure, oltre agli elogi, alla pellicola non vennero risparmiate anche numerose critiche, tanto in patria, quanto a livello internazionale. Tarkovskij venne infatti accusato di formalismo e persino di decadentismo, in quanto il film si presentava come estremamente diverso rispetto alle precedenti pellicole sovietiche legate al tema della guerra e inoltre non rispecchiava in alcun modo i canoni del realismo socialista.

L’accusa più grave partì in particolare da alcuni esponenti della sinistra italiana, ma, in difesa del giovane regista intervenne nientemeno che Jean-Paul Sartre, che decise di scrivere una lettera aperta rivolta alla redazione de L’Unità, poiché proprio lì erano apparse alcune delle critiche più aspre. Eccone alcuni estratti:

“Vorrei esprimere un mio rincrescimento: perché accade che, per la prima volta in mia conoscenza, l’accusa di schematismo possa essere rivolta dagli articoli che L’Unità e gli altri giornali di sinistra hanno dedicato a L’infanzia di Ivan, uno dei più bei film che mi sia stato dato di vedere negli ultimi anni. La giuria del Leone d’Oro gli ha attribuito la ricompensa più alta: e questa diventa una strana patente di “occidentalismo”, e contribuisce a fare di Tarkovskij un piccolo-borghese sospetto? (…) Per alcuni critici laggiù, e per i vostri migliori critici, qui, parrebbe che Tarkovskij abbia assimilato in fretta procedimenti sorpassati in Occidente e che gli applichi senza discernimento. Gli vengono rimproverati i sogni di Ivan: “Dei sogni! Noi altri, abbiamo smesso da tempo, in Occidente, di utilizzare i sogni. Tarkovskij è in ritardo: andava bene nel periodo tra le due guerre!”. Ecco che cosa ho letto da penne autorizzate. Ma Tarkovskij conosce malissimo il cinema occidentale. La sua cultura è essenzialmente e necessariamente sovietica.”

La lettera prosegue con alcune riflessioni di Sartre sul piccolo protagonista del film:

“Ivan è folle, è un mostro; è un piccolo eroe; è la più innocente vittima della guerra: questo ragazzo al quale non si potrà fare a meno di voler bene è stato forgiato dalla violenza e l’ha interiorizzata. I nazisti l’hanno ucciso quando hanno ucciso sua madre e massacrato gli abitanti del suo villaggio. Eppure, vive. Ma altrove in quell’istante irrimediabile nel quale ha visto cadere il suo prossimo. (…) La piccola vittima sa ciò che gli occorre: la guerra – che lo ha fatto – il sangue, la vendetta. L’amore per lui è una strada sbarrata per sempre. Gli incubi, le allucinazioni, non hanno nulla di gratuito. La verità è che il mondo intero per questo bambino è un’allucinazione e che lo stesso bambino, è mostro e martire…”

L’Infanzia di Ivan, molto discusso e trasmesso nel tempo, rimane dunque una delle eredità più preziose di Andrej Tarkovskij: un’eredità che ricorda quanto sia orribile e atroce la guerra, anche ai giorni nostri.

L'ifanzia di Ivan poster - Wikipedia
Poster de L’infanzia di Ivan (Wikipedia)
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Diana Mihaylova
Diana Mihaylova

Bulgara di nascita, ma milanese d’adozione, è una mediatrice culturale, blogger e studiosa che si occupa di Russia, Bulgaria e più in generale dei Paesi Est europei. Dopo la laurea in Mediazione Linguistica e Culturale presso l’Università degli Studi di Milano e alcune esperienze di studio all’estero tra Mosca, San Pietroburgo e Plovdiv, ha scritto per Il Tascabile, Pangea News e MowMag. È ideatrice del canale Instagram @ilmaestroemargherita_ dedicato alla promozione della letteratura e della cultura russa, con l'intento di approfondire la "Cultura" in senso ampio, contro ogni forma di pregiudizio e cancel culture. Collabora inoltre con il canale Instagram @perestroika.it che si propone di presentare e promuovere il cinema russo in lingua italiana.