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Marcel Gidote’s Holy Crab: il gruppo jazz-rock capace di oltrepassare le categorie musicali convenzionali

È un martedì sera di novembre, in quella che risulta essere la serata nettamente più fredda di quest’autunno. Finito il lavoro mi dirigo alla macchina, accendo il motore e parto verso la Slovenia. La strada mi porta a Ilirska Bistrica (Bisterza). Quando arrivo nella cittadina che dista poco dal confine croato, l’orologio nei pressi della stazione ferroviaria segna le 19:19. Sono in orario, entro nel centro culturale locale e saluto i ragazzi del complesso ceco Marcel Gidote’s Holy Crab, che nell’arco di un’ora saliranno sul palco del MKNŽ. Jan, Marek, Matěj, Ondřej e Viktor mi accolgono offrendomi un ottimo soufflé alle banane e una altrettanto buona birra. Il freddo passa. Iniziamo l’intervista seduti intorno a un tavolo.

Da dove nascono i Marcel Gidote’s Holy Crab?

Ci siamo conosciuti attraverso delle frequentazioni e grazie a delle conoscenze in comune a Plzeň, la città da cui proveniamo. Alcuni di noi dapprima suonavano in altri gruppi musicali. Altri si conoscono e suonano assieme da almeno una decina di anni. Poi ci siamo gradualmente uniti per formare la band attuale, i Marcel Gidote’s Holy Crab, appunto.

In che anno avete cominciato a calcare i palchi?

Le nostre prime esibizioni dal vivo, nell’assetto leggermente diverso da quello attuale, risalgono al 2018. Sì, già durante quell’anno abbiamo eseguito qualche performance random. Vero è che all’epoca il progetto era ancora in fasce. Non avevamo ancora deciso in merito al nome ufficiale con cui presentarci al pubblico. Quando abbiamo mosso i primi passi ci ha accomunato la voglia di suonare, mettendo assieme i nostri disparati interessi e gusti musicali.  

Come si sviluppa la vostra musica?

Nei primi dischi abbiamo prediletto un approccio incentrato sul mescolamento di diversi generi che ci appassionano individualmente. Di conseguenza, i singoli brani potevano risultare molto diversi tra di loro. Ora invece stiamo procedendo con un approccio che consideriamo ben più concettuale. In altre parole, questo nuovo approccio ci permette di comporre delle canzoni con elementi e suoni musicalmente complementari all’interno della stessa canzone. Non è un percorso semplice, ma siamo sulla buona strada per raggiungere i nostri obiettivi artistici.

Raccontateci di Plzeň. Cosa offre dal punto di vista culturale?

Si tratta di una città relativamente piccola, che ha saputo distinguersi dalle altre realtà, mantenendo delle peculiarità che la rendono diversa da tutte le altre città della Repubblica Ceca. Uscendo la sera per le vie del centro si incontra sempre qualche giovane di passaggio, per non dire qualche volto noto. Per chi non è della zona ciò significa che socializzare diventa relativamente facile. La scena musicale è particolarmente ricca. In questo momento ci sono in città almeno cinque o sei gruppi alternativi che stanno andando forte e si stanno facendo notare.

È difficile dare un giudizio del perché la sottocultura di Plzeň è così florida e attiva. Può darsi che parte del merito vada attribuita alla generazione dei nostri genitori, che ha saputo seminare bene nel contesto culturale locale. Oggi possiamo raccogliere i frutti. In particolar modo, questa scena culturale alternativa sta caratterizzando la nostra città a cospetto di altre realtà ceche.

Il fatto di essere una città di piccole dimensioni in questo caso si traduce in un valore aggiunto notevole, soprattutto dal punto di vista del clima disteso che si respira, delle relazioni e delle collaborazioni artistiche. Praga, per esempio, è molto più grande, ma la scena alternativa praghese è per questo motivo molto più frammentata e divisa. Da noi, invece, la scena è compatta e unita: ci si conosce facilmente e si collabora con efficacia.

Questo vale anche per la scena alternativa?

A Plzeň la sottocultura non si è sviluppata in maniera predefinita bensì in maniera organica. Detto altrimenti, non è limitata ad alcuni singoli e specifici settori. Alcune compagini suonano la musica indie, altre si cimentano nel genere folk o persino nel krautrock. Bisogna altresì precisare che la sottocultura e la cultura indipendente non sono limitate al solo ambito musicale, ma hanno messo radici un po’ ovunque nei vari settori dell’arte contemporanea.

In città ha sede l’università locale, che può vantare un dipartimento d’arte molto produttivo. Notiamo che gli studenti d’arte sono attivi non solo nell’ambito accademico, ma anche al suo esterno, arricchendo così l’intero tessuto cittadino. 

Tornando a voi, si può affermare che il jazz rappresenta un fil rouge delle vostre composizioni musicali?

Il rock classico degli anni Settanta; il rock progressivo, il jazz… tutti questi generi si mescolano nel nostro repertorio musicale, rendendolo variegato.

Se la musica ti interessa, scopri la sezione dedicata.
Spesso i primi passi di un complesso incidono in un modo o nell’altro sull’intero percorso artistico che segue. Cosa mi dite dei vostri primi lavori?

Partiamo dal primo EP del 2020, dal titolo Bay of Roots. Lo abbiamo inciso in soli due giorni – per così dire, durante il fine settimana – negli studi “Wombat” di Praga. Il nostro primo vero LP è invece Humidity Breaking Limits, prodotto insieme a Jonáš Špaček. L’album è uscito nell’estate del 2021 ed è più pesante rispetto a quelle che sono le prime canzoni che abbiamo inciso e suonato dal vivo. Poi ne sono seguiti anche altri.

In seguito avete pubblicato Farm Alarm, disco complesso in cui affrontate pure il tema del cambiamento climatico…

Sì, ci abbiamo lavorato nel 2022 per poi distribuirlo effettivamente l’anno scorso. Analizzando questo lavoro, possiamo dire che alcune canzoni sono alquanto introspettive. Trattano emozioni profonde. Altri brani dell’album sono invece più distopici. Forse anche perché sono l’esito di ragionamenti e del percorso riflessivo svolti nel periodo del lock-down. In un tale contesto avevamo a disposizione più tempo del solito per dedicarci alle riflessioni che, in riferimento al contesto, erano abbastanza distopiche. Un tema importante su cui ci soffermiamo nel disco è, effettivamente, il cambiamento climatico.

Infine, mi incuriosiva il nome della vostra band: Marcel Gidote’s Holy Crab. Suona molto particolare

Holy Crab sarebbe stata la scelta ufficiale del nome, se non avessimo in seguito scoperto, attraverso una ricerca, che il nome apparteneva a una catena estera di cibo. Qualcuno di noi ha poi pensato al nome sostitutivo Marcel Gidote’s Quintet. Accostando i due nomi ne è il risultato il nome attuale del complesso: Marcel Gidote’s Holy Crab. Possiamo svelarti una cosa?

Raccontatemi pure!

È la prima volta che qualcuno ci pone il quesito in merito al nome che abbiamo scelto. Siamo coscienti del fatto che è un po’ lungo e potrebbe sembrare difficile da comprendere o ricordare. È giusto che ci sia qualcosa di misterioso e intrigante nel nome. Ma se le persone vogliono scoprirne il significato, con un po’ di ricerca e sana immaginazione potranno avere la risposta a portata di mano. E una simile logica vale anche per la musica che proponiamo e cerchiamo di diffondere: magari all’inizio potrà sembrare un tantino complessa, ma con un po’ di ascolto e il giusto spazio per l’immaginazione, potrà risultare un’esperienza veramente godibile.


I Marcel Gidote's Holy Crab sono: Jan Bukovjan, Viktor Eberle, Ondřej Vávra, Marek Sobota e Matěj Šolc. Il quintetto, che è tra le realtà musicali più interessanti e promettenti nel panorama europeo, ha recentemente pubblicato la colonna sonora di un videogioco dal titolo Felvidék, preceduta da alcuni singoli, tra cui Giant Stabs e Felina. Nel corso degli ultimi mesi hanno suonato dal vivo soprattutto nei Paesi centro-europei e in Germania, ovvero in città come Stoccarda, Dresda, Praga, Budapest e Lubiana. A novembre si sono presentati al pubblico sloveno, che ha saputo apprezzarli a dovere. Il 12 novembre nel centro di aggregazione giovanile MKNŽ di Ilirska Bistrica si sono esibiti per la seconda volta nel corso di un anno. Ad oggi non hanno invece ancora ricevuto nessuna proposta né invito per suonare in Italia.
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Mitja Stefancic
Mitja Stefancic

Nato a Trieste, dopo gli studi conseguiti all’Università dell’Essex e all’Università di Cambridge, è stato cultore in Economia politica all’Università di Trieste. È stato co-redattore della rivista online di economia “WEA Commentaries” sino alla sua ultima uscita. Si interessa di economia, sociologia e nel tempo libero ha seguito regolarmente il basket europeo ed in particolare quello dell’ex-Jugoslavia nel corso degli ultimi anni. Ha tradotto per vari enti ed istituzioni atti e testi dallo sloveno all’italiano e dall’italiano allo sloveno.