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“Anna Achmatova e Marina Cvetaeva: pochi altri nomi femminili oltre a questi, ormai classici, suonano familiari al grande pubblico”, sottolinea Raffaella Pastore introducendo La dacia sulla via di Petergof di Marija Žukova, uscito nella primavera del 2024 nella cura e traduzione di questa giovane slavista per l’editore Elliot.
Raffaella Pastore ha il merito di portare al pubblico italiano un romanzo breve di un’autrice che è stata molto nota e popolare a suo tempo (1804-1855), ma che nel canone della letteratura russa non ha trovato un proprio posto, come accaduto a moltissimi altri nomi di scrittrici e poetesse che in diversi casi non avevano nulla da invidiare ai colleghi uomini, come hanno cercato di sottolineare vari studi pubblicati soprattutto negli ultimi trent’anni. Un aneddoto significativo è legato al 1837: nell’anno in cui Aleksandr Puškin, il “sole” della letteratura russa, moriva, l’unico successo letterario degno di nota fu proprio l’opera, costruita secondo la forma del “racconto a cornice”, Serate sul fiume Karpovka di Marija Žukova.
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La dacia sulla via di Petergof apparve nel 1845 su “Otečestvennye zapiski”, un’importante rivista letteraria che negli stessi anni ospitò sulle proprie pagine opere di Dostoevskij (come Le notti bianche e Il sosia, tra le altre), Lermontov, Turgenev o Gončarov, solo per citare alcuni nomi noti anche al pubblico italiano.
Il vivace (sebbene non a lieto fine) soggetto dell’opera di Žukova vede al suo centro un intreccio amoroso a più livelli, che si incastrano tra loro secondo un efficace ingranaggio (forse fin troppo perfetto) che si svela man mano leggendo. Protagoniste sono figure femminili di varia natura, età ed estrazione, legate tra loro da amicizia e vincoli familiari spesso indiretti (un dettaglio non scontato per i romanzi ottocenteschi). Gli uomini, secondo un meccanismo che sembra volutamente ribaltare le convenzionalità, restano in secondo piano, quasi manichini in balia delle scelte (e delle chiacchiere) femminili (o “pacchi postali”, per riprendere l’introduzione di Raffaella Pastore, p. 14). È così che a risultare “angelicata” non è la giovane Mary, ma il principe Evgenij:
La splendida anima di Evgenij si esprimeva in quello sguardo, con i suoi perfetti connotati, che il mondo non era in grado di comprendere, né di apprezzare […]. Evgenij aveva davvero un’anima splendida. Lui amava e desiderava solo il bene. […] Era bello […] ascoltare Evgenij quando parlava. Che integrità morale! Che nobiltà di sentimenti! Che splendidi imperativi!
p. 34
Se in Puškin sono le eroine a lasciarsi trasportare avidamente e appassionatamente dalle letture di romanzi francesi, qui è sempre Evgenij a farsi prendere dai libri:
Si sentiva bene quando era disteso sul suo morbido divano, con un sigaro in bocca, immerso nella lettura delle eloquenti pagine dei grandi pensatori del secolo: si faceva trasportare dal loro ardore, entrava nella loro cerchia di adepti, ne adottava i nobili imperativi morali e aveva fiducia nel fatto che erano e sarebbero sempre stati i fari della sua vita.
p. 38
Le donne invece tengono in pugno la situazione, sia quando si parla di sentimenti e razionalità (si veda ad esempio l’intenso scambio tra Zoja e Mary sull’amore, l’innamoramento e il matrimonio, p. 57), sia quando si tratta di faccende concrete, descritte non senza un pizzico di ironia dall’autrice:
La gente di provincia non ama ciò che la distrae dalle sue importanti attività e che rompe le abitudini della sua vita tranquilla e piacevole. Specialmente le donne: per una signora lasciare la propria casa è una catastrofe. A chi affidarla? E come la ritroverebbe? A Jakov Efremovič non avrebbero dato abbastanza tè, si sarebbe svegliato nel pomeriggio e gli avrebbero dato del kvas tiepido, e lui non riusciva proprio a berlo, il kvas tiepido. Palaška avrebbe fatto fermentare troppo il pane e Van’ka si sarebbe ubriacato. Un guaio dopo l’altro! Ma come era possibile andarsene via con tali preoccupazioni, fosse anche solo per… curarsi?
p. 71
Anticipando, pur soltanto in nuce, in forma abbozzata, alcuni dei temi cardine del grande romanzo russo del secondo Ottocento, Marija Žukova intuisce anche — prima dello splendido Sonata a Kreutzer di Lev Tolstoj (1890) — il potere della musica, sia come linguaggio che come nodo narrativo. È nei pressi del pianoforte che avvengono gli episodi centrali dell’intreccio amoroso, tanto nella linea narrativa legata a Zoja (ad esempio, p. 70 e, soprattutto, p. 98 dove il “bacio appena rubato” risuona sull’ultimo tempo del sestetto di Lucia di Lammermoor), quanto in quella legata a Mary (ad esempio, p. 47), che nel finale, dove le due linee si ritrovano sovrapposte (p. 113):
Ad ogni modo, in poco tempo questo artista dell’alta società, il principe, lui stesso ignaro di come fosse avvenuto, si innamorò — e non per finta — della ragazza di provincia. Dannata musica!
Dottoressa di ricerca in Slavistica, è docente di lingua russa e traduzione presso l’Università di Trieste, si occupa in particolare di cultura tardo-sovietica e contemporanea di lingua russa. È traduttrice, curatrice di collana presso la casa editrice Bottega Errante ed è la presidente di Meridiano 13 APS.