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Mimino (1977) è quello che si dice un’opera di culto (si pronuncia Miminò, con l’accento sulla o finale). Nei paesi nati dal crollo dell’Unione Sovietica è difficile trovare persone che non abbiano guardato la commedia diretta da Georgij Danelija e non conoscano a memoria alcune battute. Non si contano poi i ristoranti georgiani che portano il nome del titolo del film e i monumenti che vedono immortalati i suoi protagonisti tra Russia, Armenia e Georgia.
Bisogna anche dire che il successo del film ha in un certo senso alimentato lo stereotipo che si ha in Russia (e non solo) su armeni e georgiani, visti come personaggi emozionali dai buffi accenti.
Il lungometraggio racconta la storia di Valiko Mizandari (interpretato da Vakhtang Kikabidze), un pilota di elicottero georgiano, soprannominato Mimino (“sparviero”), la cui vita è scossa dall’incontro con la bellissima assistente di volo Larisa all’aeroporto di Tbilisi. Per conquistarla, decide di lasciare la Georgia e diventare un pilota di aerei linea. Si reca a Mosca, dove, però, non tutto va per il verso giusto. Ne nascono una serie di esilaranti avventure in compagnia del camionista armeno Ruben Chačikjan (Frunzik Mkrtčjan).
Come tutti i grandi classici dietro la realizzazione del lungometraggio si nascondono delle storie che avrebbero potuto portare a una pellicola ben diversa. Scopriamone insieme alcune.
Grazie al progetto Perestroika, Mimino si può guardare con i sottotitoli in italiano a questo link.
Mimino, la nascita di un capolavoro senza tempo
La sceneggiatura venne scritta in soli venti giorni dallo stesso Georgij Danelija con Rezo Gabriadze e Viktorija Tokareva. La fretta era dettata dal fatto che il regista aveva già radunato una troupe per girare un film intitolato Un uomo non romantico, che avrebbe dovuto raccontare la storia di un pilota di elicottero in un villaggio russo. Durante la selezione degli attori Danelija cambiò idea, decidendo di spostare la storia in Georgia e cambiare la sceneggiatura, ma mantenendo le tempistiche del progetto originale. Nasce così Mimino.
Il film vide per la prima volta il grande schermo al festival cinematografico internazionale di Mosca del 1977 dove ricevette il Premio d’Oro. Tuttavia, come racconta il giornalista Vladimir Raevskij sul canale YouTube Sdelano v Moskve (“Fatto a Mosca”), su richiesta dell’allora ministro della Cinematografia sovietico, Filipp Ermaš, dalla versione proiettata al concorso era stato tagliato uno di quelli che sarebbero diventati tra i passaggi più noti di Mimino.
La scena in questione vede il protagonista del film che tenta di telefonare da Berlino alla sua famiglia nella città di Telavi, in Georgia, salvo venire collegato erroneamente dalla centralinista con Tel Aviv. A rispondere al telefono è Isaac, un compatriota emigrato in Israele che ricorda nostalgicamente la Georgia e chiede a Valiko di cantare insieme una ninna nanna georgiana (cosa che lo porta alle lacrime).
Se agli occhi degli spettatori di oggi questa pare una scena innocente, per le autorità sovietiche era doppiamente inaudito che venisse mostrata in un film.
In primo luogo, perché l’Unione Sovietica aveva rotto le relazioni con Israele dopo la guerra dei sei giorni (1967). Sui mezzi di informazione sovietici lo stato ebraico veniva mostrato esclusivamente in maniera negativa e non era solito vederlo menzionato in uno sketch di una commedia. In secondo luogo, in quanto si fa esplicitamente riferimento alla presenza di ex cittadini sovietici in Israele. Erano gli anni della cosiddetta aliyah sovietica, ovvero il fenomeno migratorio (mal tollerato dal Cremlino e di cui non si faceva mai pubblica menzione) che portò circa 291mila ebrei lasciare l’Unione Sovietica tra il 1970 e il 1988.
Una parte numerosa degli ebrei sovietici emigrò negli Stati Uniti andando a formare comunità russofone come quella di Brighton Beach a New York, di cui abbiamo scritto in questo articolo.
Ciononostante, per Danelija questa era una scena fondamentale perché in essa vi era l’essenza e la morale di Mimino. Si arrivò quindi a un compromesso: al festival sarebbe stata mostrata la versione tagliata del film per salvare l’orgoglio dell’Unione Sovietica davanti al pubblico internazionale; la versione distribuita nelle sale avrebbe invece incluso la scena della telefonata. Il regista non volle più saperne della prima versione. Comprò personalmente la pellicola senza la scena censurata e la fece a pezzi.
Questo non è l’unico episodio del film che suscitò controversie per noi più difficili da comprendere. In un altro passaggio esilarante i due protagonisti si esibiscono in balli nel ristorante dell’albergo Rossija di Mosca e danno delle mance a turno all’orchestra affinché suonino canzoni georgiane o armene. Una cosa innocente parrebbe e una pratica diffusa anche in Unione Sovietica anche se formalmente illegale e non discussa apertamente.
Dopo l’uscita del film il regista fu contattato dai musicisti della band del ristorante del Rossija, a cui i dirigenti avevano chiesto di dimettersi. Nonostante i musicisti non avessero partecipato alle riprese, furono accusati di aver ricevuto guadagni illeciti. Per risolvere il malinteso, Danelija inviò una lettera alla direzione dell’albergo, specificando che il pagamento per le canzoni era un’invenzione artistica degli autori del film, senza alcun rapporto con la realtà.
Mimino venne effettivamente girato all’albergo Moskva, ma un incendio il 25 febbraio 1977 modificò i piani originali. Tra le altre cose, non si poté girare una scena in ascensore in cui dei turisti giapponesi guardando i protagonisti dicevano: “Sono tutti uguali questi russi”.
Fa sorridere questa attenzione a tali questioni quando, visto con gli occhi di oggi, Mimino mostra compromessi e pratiche corruttive che per i cittadini sovietici rappresentavano la quotidianità. Ad esempio si scherza sul fatto che il capo di Valiko abbia la patente senza saper guidare (un riferimento alla pratica di comprare la patente). Si mostrano anche senza troppe spiegazioni le complicate macchinazioni per pernottare in un albergo di Mosca gratuitamente (all’epoca nella capitale c’erano pochi posti a caro prezzo negli hotel); infine, i due protagonisti si trovano a vendere i copertoni di una macchina per estendere il proprio soggiorno nella capitale (in Unione Sovietica c’era un deficit di pneumatici).
Tutto ciò suggerisce che queste pratiche erano talmente diffuse che neanche i censori le trovavano particolarmente riprovevoli o sbagliate.
Nel film appare anche uno degli orgogli della tecnologia sovietica, ovvero l’aereo di linea supersonico Tupolev-144, la risposta di Mosca al Concorde. In Mimino l’aeromobile appare come diffuso, tanto che Valiko si trova a pilotarlo. Nella realtà il Tu-144 rimase in esercizio solo tra il 1977 e il 1979 e venne ritirato dal servizio passeggeri a causa di malfunzionamenti e incidenti.
Tutti questi dettagli fanno di Mimino un film senza tempo che si può guardare centinaia di volte trovando sempre nuovi dettagli per ridere, ma anche riflettere sulle dinamiche sociali in Unione Sovietica o su questioni come il rapporto con le proprie radici.
Nato a Milano, attualmente abita a Vienna, dopo aver vissuto ad Astana, Bruxelles e Tbilisi, lavorando per l’Osce e il Parlamento Europeo. Ha risieduto due anni nella capitale della Georgia, specializzandosi sulle dinamiche politiche e sociali dell’area caucasica all’Università Ivane Javakhishvili. Oltre che per Meridiano 13, scrive e ha scritto della regione per Valigia Blu, New Eastern Europe, East Journal e altre testate.