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Delle tre scuderie provenienti dal Blocco orientale che hanno partecipato al Motomondiale è stata quella più longeva e l’unica a sfiorare un titolo iridato. La MZ (Motorradwerk Zschopau, fabbrica motociclista di Zschopau) è un vero mito per gli appassionati di moto tedeschi, tanto che nel 2022, nonostante la produzione sia ferma dal 2008, solo in Germania sono immatricolati più di 97mila veicoli con il marchio della ditta del piccolo centro della Turingia, fino al 1990 parte della Repubblica democratica tedesca.
Fondata nel 1906, come azienda di elettrodomestici e utensili, nel 1922 l’azienda ha cominciato a produrre moto, iniziando a utilizzare il marchio DKW, con cui ha mietuto vittorie a livello sportivo, come il successo di Ewald Kluge al prestigioso Tourist Trophy del 1938. Divenuta parte nel 1932 del colosso a proprietà statale Auto Union, l’azienda, dopo aver riconvertito durante la Seconda Guerra Mondiale la sua produzione per scopi bellici, nel 1945 ha rischiato di sparire, in seguito all’occupazione di Zschopau e della Turingia da parte dell’Armata rossa.
La rinascita nella DDR
Molti dei suoi vertici, tra cui il dirigente Carl Hahn, fuggono a ovest, mentre gli impianti della DKW vengono completamente smontati e rimontati in Unione sovietica sotto il controllo di ingegneri tedeschi prigionieri a Iževsk (Repubblica socialista sovietica autonoma di Udmurtia), all’interno degli stabilimenti della Ižmaš (l’azienda statale che per prima ha prodotto il kalašnikov), a Mosca e poi a Minsk. La storia però prende un’altra strada. La Smad, l’autorità di occupazione sovietica, decide di sviluppare in uno degli stabilimenti di Wilischthal il L60, un modello di ciclomotore leggerissimo. Non circolerà mai, ma traccerà la strada.
Nel 1946 viene fondata la Industrieverwaltung 19 Fahrzeugbau, successivamente ribattezzata Industrieverband Fahrzeugbau (IFA), l’azienda di proprietà e gestione statale che si occupa della produzione di veicoli. Sotto quella sigla inizierà una veloce ascesa. Nel 1949 viene messa sul mercato la IFA-DKW 125, un’evoluzione della RT-125, prodotta nel 1939 dalla DKW e le cui licenze, secondo le prescrizioni dei trattati di pace sono libere, tanto che anche alcune case straniere, per esempio la Harley Davidson ne hanno copiato alcune caratteristiche.
Di nuovo in pista
Nello stesso anno, il 1949, peraltro quello di nascita della Repubblica democratica tedesca, rinasce anche la squadra corse, battezzata in termini socialisti Rennkollektiv. Gareggia nella Ddr, per esempio nella prestigiosa Stralsunder Bäderrennen, disputata nell’omonima città sul Baltico, ma anche in Germania ovest, partecipando alle gare sul circuito dell’AVUS, nella parte occidentale di Berlino. Sulle IFA, preparate dall’ingegnere e pilota Kurt Kämpf corrono tra gli altri Erhart Krumpholz, già pilota BMW prima della guerra e padre di Dieter anche lui poi in sella a un moto IFA/MZ, Werner Haase, così “matto” per i motori da aver spostato il suo matrimonio perché coincideva con un GP e Horst Fügner, futuro protagonista del Motomondiale.
Spesso i piloti del team ufficiale IFA sono però battuti da un “privato”. Si chiama Bernhard Petruschke, ma tutti lo chiamano Petrus. È nato a Zielona Góra in Slesia e nel biennio 1938-1939 è stato due volte secondo al campionato europeo, mentre nel 1948 è arrivato a un soffio dal vincere il titolo pantedesco nelle 350. È forte, ma soprattutto ha una moto rivoluzionaria, la ZPH. Porta le sue iniziali, quelle del meccanico Diethart Henkel e dell’ingegnere Daniel Zimmermann. Quest’ultimo, originario di Luckenwalde, vicino a Berlino, ha modificato la RT-125, cambiando per esempio la collocazione delle varie componenti della moto, le misure del motore e dotandola di un sistema di distribuzione e alimentazione a valvola a disco rotante. È così innovativa la moto, che nel 1952 la ZPH viene mandata a Zschopau, negli stabilimenti IFA per essere sviluppata da Petruschke e dalla squadra di ingegneri del Rennkollektiv.
Walter Kaaden
Il loro capo è un uomo decisivo per la storia della IFA/MZ e del motociclismo. Si chiama a Walter Kaaden e ha una storia affascinante, quanto a tratti misteriosa. Classe 1919, nativo di Zschopau, è entrato a 15 anni all’Auto Union come fabbro ferraio, passando pure per il reparto corse. Nel 1940, dopo un diploma in ingegneria meccanica, il conflitto mondiale l’ha portato a lavorare alla Henkel, azienda che produceva gli aerei Messerschmitt e a Peenemünde, accanto a Werner von Braun, il padre dei missili V1 e V2. Un capitolo nebuloso, al termine del quale Kaaden finisce prigioniero degli Alleati. Dopo essere stato rilasciato torna a Zschopau. Per mantenersi apre un’azienda che si occupa di riparare tetti, mentre nel tempo libero si dedica alla sua grande passione: i motori. Se n’è innamorato da bambino nel 1927, vedendo la gara inaugurale del circuito del Nürburgring e non l’ha mai abbandonato. Nell’accidentato dopoguerra della Germania Est corre, sviluppando come molti suoi colleghi le moto su cui gareggia. È più bravo a preparare i veicoli che a condurli. Delle sue abilità si accorge Alfred Liebers, ingegnere di pista negli anni Trenta al reparto corse della DKW e direttore della fabbrica IFA di Zschopau. È lui a offrire a Kaaden, la cui azienda è stato confiscata e nazionalizzata dal regime, l’incarico di responsabile del Rennkollektiv.
Le condizioni in cui lavora l’ingegnere non sono di certo ottimali. L’officina funziona solo quando la produzione in serie è terminata e ci sono problemi di attrezzature e materiali, tanto che inizialmente il team IFA doveva ogni volta provarle nelle strade intorno allo stabilimento per misurare i progressi. Inoltre per avere i materiali migliori doveva andarli a prendere a Berlino ovest. Quello che non manca a Kaaden e al suo team sono le idee e l’ingegno.
MZ, rivoluzione a Zschopau
Conoscono benissimo il funzionamento del motore a due tempi, considerato sportivamente “morto”, ma che ha due vantaggi: costa poco e si ripara facilmente. In più hanno alcune intuizioni geniali. Come quella di montare sulle IFA il sistema a valvola rotante già visto sulla ZPH di Zimmermann e soprattutto di dotare le proprie moto di scarichi a espansione, attraverso i quali Kaaden era convinto di poter riutilizzare le onde sonore per generare cavalli extra, come aveva osservato durante la guerra nei missili a pulsogetto V1. Aveva ragione. Con questi principi il team IFA, che ha convinto anche i vertici aziendali della bontà delle loro idee, continua a sviluppare le sue moto.
I modelli made in Zschopau cominciano a essere competitivi anche fuori dalla DDR, tanto che nel 1955, i vertici motoristici della Repubblica democratica decidono di mandare una loro squadra al Motomondiale, nella classe 125. Scherzo della Storia, il debutto è al Nürburgring, lì dove nel 1927 Kaaden aveva visto la sua prima corsa. Al di là del dignitoso risultato (Krumpholz e Petruschke finiscono quinti e sesti conquistando i primi due punti della scuderia) è l’inizio di un percorso che durerà un ventennio. I tedeschi dell’est sono degli “alieni”. Nel paddock tengono il profilo basso, ma le moto nella cilindrate più piccole sfrecciano al fianco e a volte davanti a quelle delle grandi case, come la MV Agusta. Nel 1958 con Horst Fügner, il team tedesco-orientale vince il primo GP della sua storia, in Svezia, nella categoria 250, piazzandosi a fine stagione secondo nel Mondiale piloti.
Degner, talento e ingegno del motociclismo
Tra i piloti MZ (denominazione assunta nel 1956) se ne segnala uno per talento. Come Kaaden, non ha avuto una vita facile. Si chiama Ernst Degner. È nato nel 1931 a Gliwice, vicino al confine tra Polonia e Germania (il cognome di suo padre è Wotzlawek), la città dove i tedeschi crearono il casus belli per dare l’avvio alla Seconda guerra mondiale. Proprio a causa di quel conflitto la sua vita cambia. Dopo la morte del padre, lui, sua madre e sua sorella devono fuggire verso ovest con l’avanzata dall’Armata rossa. Si stabiliscono vicino a Berlino, dove Ernst perde anche la madre.
Il ragazzo ha due passioni: la musica e i motori. Riceve una formazione tecnica, ma lui le moto non le vuole solo progettare e sviluppare, ma anche guidare. Esordisce con il Motorrad-Club Potsdam, che con la trasformazione in senso socialista, anche del motorsport diventa presto il BSG Lok Potsdam. È bravo, tanto che a 23 anni e dopo tante battaglie con i migliori piloti della DDR (incrocia pure Kaaden, ritiratosi nel 1953), ottiene la licenza come pilota senior. Quando la MZ lo sceglie come pilota ufficiale diventa la stella nascente del team. È lui, con le sue conoscenze tecniche, una delle chiavi dello sviluppo dei prototipi da gare della casa di Zschopau. Nel 1959, l’anno del ritiro di Fugner per un grave incidente, Degner vince il suo primo GP a Monza, in 125. Nell’ottavo di litro il 1961, anno cruciale per la storia della DDR, sembra l’anno buono. Con la sua due tempi è in testa al campionato contro avversari con moto a quattro tempi.
Fuga dalla Germania Est
In mente però c’è molto altro. Ormai da qualche tempo con l’aiuto di Frank Petry, importatore della Suzuki in Germania Ovest e di Jimmy Matsumiya, plenipotenziario della casa giapponese in Europa sta progettando la fuga all’ovest. Tutto sembra pronto per il week end del Gran premio dell’Ulster, in programma il 13 agosto. C’è un problema però. Proprio quella domenica le autorità della Repubblica democratica tedesca decidono di cominciare a costruire il Muro di Berlino. Degner sceglie di non partire, ma di riprovarci un mese dopo al termine del GP di Svezia. Con una vittoria lui e la MZ si laureerebbero campioni del mondo. Sul circuito di Kristianstad però la gara va storta. Il pilota della Germania est si deve ritirare a causa di un guasto meccanico. Fino alla sua morte, nel 1996, Kaaden avrà il sospetto che Degner l’abbia fatto apposta.
Poche ore dopo il 30enne di Gliwice scappa. È la notte tra il 17 e il 18 settembre 1961. Nell’auto che sta guidando per fuggire ci sono alcuni schizzi e componenti della sua MZ. Più o meno contemporaneamente Frank Petry sta portando in Germania Ovest, sedati nel bagagliaio della sua macchina, la moglie e i figli di Degner. Qualche giorno dopo si ricongiungeranno nella Repubblica Federale. Da eroe il pilota diventa un traditore. Le autorità motoristiche della DDR gli revocano la licenza e, nonostante ne abbia una della Germania Ovest, non prende il via nell’ultimo GP del campionato, in Argentina, perché la sua moto non arriva. Perderà quel Mondiale 125 ma si rifarà neanche dodici mesi dopo nella neonata categoria 50. È in sella a una Suzuki, a due tempi sviluppata grazie alle conoscenze, alle informazioni e all’esperienza di Degner. Quel 1961 sarà il punto più alto della storia della MZ nel Motomondiale, che tra i suoi piloti ha avuto leggende come Mike Hailwood, lo svizzero Luigi Taveri (l’unico ad aver fatto punti in tutte le categorie del Motomondiale) e Gary Hocking.
La discesa
Negli anni successivi il vantaggio competitivo della casa di Zschopau si ridurrà progressivamente, fino ad azzerarsi. Le due tempi e le innovazioni elaborate tra gli anni Cinquanta e Sessanta sono ormai patrimonio di tutti. Le MZ si ritireranno dalle competizioni su pista per concentrarsi quasi unicamente sull’enduro, gare in cui coglieranno molti successi fino alla caduta del Muro. La Riunificazione segna il declino del marchio e dell’azienda. Walter Kaaden lavorerà alla MZ fino alla sua pensione, mentre Degner avrà un destino crudele. Per lenire i terribili dolori dovuti a un gravissimo incidente a Suzuka (lì dove due curve portano oggi il suo nome) viene curato con forti antidolorifici, da cui diventa dipendente. Morirà nel 1983 alle Canarie per un infarto, anche se per anni si sospetterà un coinvolgimento della Stasi. A Zschopau dove lui, Kaaden e gli altri hanno costruito un mito dal 15 maggio 2022 c’è il museo tedesco dell’enduro, omaggio a un marchio che ha fatto la storia del motociclismo sportivo e non.
Classe 1984, nato a Sesto San Giovanni quando era ancora la Stalingrado d’Italia. Germanocentrico, ama la Spagna, il Sudamerica e la Mitteleuropa. Collabora con Avvenire e coordina la rivista Cafè Rimet. È autore dei volumi “C’era una volta l’Est. Storie di calcio dalla Germania orientale”, “Rivoluzionari in campo” e coautore di “Non solo Puskas” e “Quattro a tre”.