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Intervista a Bahruz Samadov, il Nagorno-Karabakh visto da Baku

Il 19 settembre, l’Azerbaigian ha attaccato l’area del Nagorno-Karabakh, sotto il controllo armeno. L’offensiva si è conclusa nel giro di 24 ore con la capitolazione della repubblica de facto indipendente in quello che è internazionalmente riconosciuto come territorio azero. I circa 120mila abitanti armeni della regione sono fuggiti in massa in Armenia. Come sta reagendo l’Azerbaigian agli eventi in Nagorno-Karabakh? Ne abbiamo parlato con Bahruz Samadov, dottorando presso l’Università Carolina di Praga i cui campi di ricerca includono la costruzione dell’identità nazionale, i progetti egemonici e l’autoritarismo in Azerbaigian.
Bahruz Samadov, durante e dopo la guerra del 2020, dall’Azerbaigian emergeva enorme entusiasmo popolare per i successi sul campo dell’esercito azero e le autorità celebrarono la vittoria in grande stile. In queste settimane, sembrerebbe che i toni siano più bassi. È unimpressione corretta? Se sì, perché?

Sono d’accordo sul fatto che non c’è lo stesso entusiasmo di tre anni fa, e direi per ragioni diverse.

In primo luogo, l’importanza simbolica delle regioni riconquistate nel 2020. Il resto del Nagorno-Karabakh, se si esclude Khojaly [a causa del massacro di Khojaly (il 26 febbraio 1992) in cui centinaia di civili azeri vennero uccisi dall’esercito armeno e un reggimento russo, N.d.A.], non ha la stessa importanza simbolica per gli azeri. In secondo luogo, tutto è avvenuto molto velocemente e le persone non avevano aspettative. Il terzo motivo è indubbiamente il governo, il quale non vuol mostrare al pubblico internazionale che gli azeri stanno esultando mentre è in corso una pulizia etnica. Se ci fossero celebrazioni a Baku, ne risentirebbe la già degradata immagine dell’Azerbaigian.

Visto che tutto è sotto il controllo governativo, in Azerbaigian hanno vietato incontri e celebrazioni.

Ma se guardiamo quello che le persone scrivono e postano online, gli azeri stanno celebrando, anche se in misura minore rispetto al 2020.

Leggete anche la nostra breve storia del Nagorno-Karabakh.
Le immagini dell’esodo della popolazione armena del Nagorno-Karabakh hanno fatto il giro del mondo. Vengono mostrate anche sui media di stato azeri? Come vengono giustificate?

Sì, vengono mostrate perché è tutto molto evidente. Dicono che quella di abbandonare la regione è una decisione degli armeni. Non celebrano la cosa e non spiegano le motivazioni di chi se ne va. Descrivono semplicemente quanto sta avvenendo, sostenendo che non ci si può fare nulla. Ribadiscono anche che alcuni armeni sono rimasti e l’integrazione avverrà, ma la maggioranza degli armeni vuole andarsene e non ci si può fare nulla.

Per quanto riguarda l’altra questione con l’Armenia, quella del cosiddetto corridoio di Zangezur per collegare l’Azerbaigian all’exclave del Nachicevan, pensi che Baku possa usare la forza qualora non ottenesse l’apertura del corridoio per vie negoziali?

Non penso che Ilham Aliyev [il presidente dell’Azerbaigian, N.d.A.] voglia usare la forza. Ritengo che riceva pressioni dalla Russia perché il corridoio di Zangezur è in primo luogo negli interessi di Mosca. Non connetterebbe solo l’Azerbaigian al Nachicevan, ma soprattutto la Russia alla Turchia.

Penso che, anche se la Russia è favorevole all’uso della forza contro l’Armenia, Aliyev non abbia intenzione di usarla a causa della pressione internazionale. Ha già visto nel settembre del 2022 cosa succede quando attacchi il territorio di un altro paese, e non penso voglia che questa cosa si ripeta.

Il 12 settembre 2022, l’Azerbaigian ha attaccato l’Armenia, occupando alcuni punti strategici in territorio armeno. L’escalation suscitò reazioni a livello internazionale, in particolare da parte americana. Il resoconto di quei giorni.

La Turchia non è interessata a risolvere la questione manu militari: il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha dichiarato che si può passare dall’Iran o da qualche altra parte, quindi anche la sua retorica è piuttosto debole. Anche l’Iran ha più volte espresso la sua contrarietà sull’uso della forza nei pressi dei propri confini. Infine, l’Azerbaigian ha ammorbidito la sua retorica sul corridoio di Zangezur, quindi non credo che ci saranno escalation militari.

Tornando alla questione del Nagorno-Karabakh, regione in questo momento quasi completamente spopolata ,i rifugiati interni azeri della guerra degli anni Novanta, desiderano tornare a viverci?

I rifugiati da Shusha e dai sette distretti occupati ritorneranno [durante la guerra 1992-1994, le forze armene presero il controllo non solo del Nagorno-Karabakh, ma anche di sette distretti dell’Azerbaigian limitrofi da cui fuggì la popolazione azera, N.d.A.]. Ci sono pochi rifugiati azeri provenienti da quello che era il nucleo abitato del Nagorno-Karabakh. Sui media azeri ho visto degli incontri tra le autorità e i rappresentanti dei rifugiati. Vogliono tornare, ma in misura minore.

Penso che le città principali del Nagorno-Karabakh rimarranno quasi delle località fantasma. Non credo che l’Azerbaigian darà le case degli armeni agli azeri per paura di possibili reazioni della comunità internazionale. 

Non so cosa succederà, è una situazione strana. Sono abbastanza convinto che gli armeni non torneranno se non in minima parte. Alcuni di loro sono rimasti (mille al massimo). Probabilmente l’Azerbaigian darà loro qualche diritto culturale e non li perseguiterà, ma è una piccolissima minoranza.

La popolarità di Ilham Alyev è cresciuta esponenzialmente in Azerbaigian per effetto della vittoria del 2020. Adesso che la questione del Nagorno-Karabakh è, dal punto di vista di Baku, risolta, cosa farà il regime per mantenere la sua popolarità?

Penso che useranno la narrazione del passato. Useranno la nozione ideologica del ritorno del Nagorno-Karabakh per i prossimi anni. Diranno che dobbiamo risistemare il Nagorno-Karabakh e riportare i rifugiati a casa. Il collegamento tra passato e futuro è lo strumento di legittimazione delle autorità e le persone lo recepiscono, almeno per il momento.

In Azerbaigian cambierà la retorica ufficiale nei confronti dell’Armenia e degli armeni?

Al momento, la retorica ufficiale anti-armena non è molto aspra rispetto al passato. Probabilmente si ammorbidirà lentamente perché non c’è niente da odiare adesso: il Nagorno-Karabakh si è arreso e gli armeni se ne sono andati.

Certamente useranno la retorica dell’umiliazione nei confronti degli armeni (abbiamo vinto, eccetera), ma non quella disumanizzante, almeno nel discorso ufficiale. Hanno raggiunto i loro obiettivi e vogliono mostrare agli armeni di essere cambiati.

La retorica sarà più morbida, ma questo non significa che non useranno la vittoria per legittimarsi. La disumanizzazione rimarrà a livello popolare, ma non nel discorso ufficiale.

Se volete approfondire la questione, ma dal punto di vista di un armeno, a Erevan abbiamo intervistato il giornalista Arshaluys Mghdesyan.
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Aleksej Tilman
Aleksej Tilman

Nato a Milano, attualmente abita a Vienna, dopo aver vissuto ad Astana, Bruxelles e Tbilisi, lavorando per l’Osce e il Parlamento Europeo. Ha risieduto due anni nella capitale della Georgia, specializzandosi sulle dinamiche politiche e sociali dell’area caucasica all’Università Ivane Javakhishvili. Oltre che per Meridiano 13, scrive e ha scritto della regione per Valigia Blu, New Eastern Europe, East Journal e altre testate.