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Per raggiungere l’apice nella propria disciplina servono costanza, determinazione e duro lavoro. Ora, gli sportivi provenienti da quella che una volta si chiamava Jugoslavia generalmente possiedono o una o due o nessuna di queste caratteristiche: nel calcio possiamo pensare a gente come Dejan Savićević che, non a caso, veniva chiamato “Genio” nonostante la voglia di allenarsi non fosse granché e le sue serate più tranquille le passasse fumando almeno due pacchetti di sigarette.
Lo stesso concetto lo si può applicare anche ad alcuni cestisti contemporanei (o quasi). Vlade Divac è stato uno dei più forti centri della storia del basket jugoslavo, ma la voglia che aveva di allenarsi era poca e soprattutto la sigaretta negli spogliatoi nell’intervallo non gliela toglieva nessuno, neanche quando giocava in NBA.
Guardando alla “palla a spicchi” dei giorni nostri non è più così: i ragazzi provenienti da Croazia, Serbia, Slovenia, Bosnia ed Erzegovina e Montenegro che giocano ai più alti livelli seguono duri regimi di allenamento, diete ferree e durante l’estate si allenano con grande costanza. Tutti tranne uno. Uno che tratta il basket semplicemente come un lavoro, che in campo sembra andare a un quinto della velocità degli altri e che durante l’offseason si allena poco o nulla. Eppure, con questa leggerezza, Nikola Jokić si è messo sulla mappa del basket mondiale, diventando uno dei simboli della nuova era di questo sport.
Gli inizi complicati
Sombor è una cittadina di poco più di 40mila abitanti nell’estremità nordoccidentale della Serbia, a pochissimi chilometri dai confini croati e ungheresi. È qui che il 19 febbraio 1995 nasce Nikola, terzogenito della famiglia Jokić. La madre Nikolina è infermiera, mentre il padre Branislav è un ingegnere agricolo. I due fratelli maggiori si chiamano Strahinja e Nemanja: la pallacanestro scorre in famiglia perché il primo ha giocato da professionista a livello locale, mentre il secondo è stato compagno di Darko Miličić allo Hemofarm Vršac (oggi KK Vršac).
A livello genetico ci sono i presupposti per i quali Nikola possa seguire i passi di suo fratello Nemanja, così suo padre decide di provare a farlo giocare in una squadra locale. C’è un problema: Nikola ha paura di non esserne in grado e non ha alcuna voglia di allenarsi. Riesce a sconfiggere l’ostacolo della paura e a scendere in campo: dai suoi primi tocchi di palla, gli allenatori che lo hanno intorno capiscono quasi subito di essere davanti a un diamante grezzo.
Lui, però, non ne vuole sapere di allenarsi e tra il 2007 e il 2009 smette di giocare per sei mesi, perché il basket non gli piace. Preferisce l’ippica, sport che lo appassiona tutt’oggi. Suo padre lo convince a riprendere in mano il pallone arancione, ma lo spazio che i cavalli occupano nella sua testa è talmente tanto che in alcune occasioni lascerà il campo da basket durante le partite per andare a cavalcare all’ippodromo locale.
Per tre anni giocherà nel KK Sombor, per poi salire di livello e passare alle giovanili del KK Vojvodina Srbijagas, squadra di Novi Sad.
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E poi arriva Miško
Nel capoluogo della Vojvodina la carriera di Nikola Jokić inizia sul serio: gioca per la squadra juniores del Vojvodina Srbijagas e domina nel campionato nazionale di categoria, dove nella stagione 2011-2012 fa registrare medie altissime con quasi 26 punti e 12 rimbalzi di media. Nonostante queste cifre quasi senza senso per un giocatore di quell’età, Jokić non entra nei radar di nessun osservatore. Ad accorgersi di lui è il più importante agente dell’area dell’ex-Jugoslavia, ovvero Miško Ražnatović, fondatore dell’agenzia Beobasket.
Come dichiarato in un episodio del podcast All The Smoke degli ex giocatori NBA Matt Barnes e Stephen Jackson, Ražnatović scopre dell’esistenza di Nikola Jokić in una maniera che, vista con gli occhi di oggi, potrebbe risultare un po’ antiquata, ovvero leggendo le sue statistiche sui giornali. Da lì chiede a Branimir Tadić – capo del reparto scouting, che all’epoca aveva scoperto altri lunghi quali Boban Marjanović e Nikola Peković – di fare un giro di telefonate per capire se i numeri che stesse facendo Jokić fossero frutto del suo talento. Gli dicono che “sì, il ragazzo ha talento, però che è un pochino sovrappeso”.
Ražnatović, senza neanche vederlo giocare, lo vuole sotto la sua ala: in 27 anni di esistenza dell’agenzia Beobasket è la prima e unica volta che un giocatore viene messo sotto contratto senza averlo visto giocare un singolo minuto.
È grazie all’agenzia di Ražnatović che a 17 anni firma il suo primo contratto professionistico per il Mega Vizura (oggi KK Mega Basket), squadra di Novi Beograd. Qui sorge un altro problema: il suo fisico. Quando firma per i belgradesi Nikola Jokić è alto quasi 2,15 metri, ma pesa quasi 140 chili. Il suo livello di condizione fisica è, per usare un eufemismo, non eccellente; questo è dovuto alla sua alimentazione che non è mai stata il massimo durante i suoi primi anni di carriera. Per fare un esempio, era in grado di bere tre litri di Coca-Cola al giorno e la sua colazione consisteva solamente di burek.
Già a quell’età è evidente che lo stile di gioco di Nikola Jokić sia quello del cosiddetto centro passatore; nei primi anni Ottanta Vlade Divac era stato uno dei primi lunghi a portare su il pallone in attacco e a gestire il gioco per il Partizan, quasi come fosse un Magic Johnson in salsa jugoslava.
Jokić, in quel periodo, interpreta il ruolo a modo suo, rimanendo quasi fermo spalle a canestro e aspettando il momento giusto per scaricare il pallone a qualcun altro che fosse meglio posizionato per segnare. Si capisce subito che una delle sue caratteristiche fondamentali sia facilitare enormemente il gioco per i suoi compagni di squadra: quando ha il pallone in mano mette tutti al suo passo.
Con il Mega si mette sulla mappa
Al suo arrivo a Belgrado Jokić inizia nelle fila dell’under 19 del Mega Vizura, dove viene allenato da Branislav Vićentić. Il coach lo vide giocare per la prima volta – come riportato nel libro Nikola Jokić – The Joker di Marco A. Munno – guardando in streaming una partita delle squadre juniores di Vojvodina Srbijagas e Partizan. Cestisticamente se ne innamorò subito e lo andò a vedere dal vivo, rimanendone ulteriormente impressionato.
L’impatto iniziale tra i due non fu dei migliori: Nikola non era in grado di fare dieci flessioni o dieci addominali di fila, ma faceva esercizi di ball handling con due palloni come se fosse la cosa più normale del mondo. Non lo è, considerando che generalmente i lunghi non sono conosciuti per le loro doti di portatori di palla.
Oltre a far parte della selezione dell’under 19, Jokić inizia ad allenarsi anche con la prima squadra, guidata dal compianto Dejan Milojević, scomparso lo scorso 19 gennaio. Per risolvere il problema fisico, coach Milojević lo affida al preparatore atletico Marko Ćosić, il quale durante la pre-stagione non gli fa toccare il pallone per due settimane. Con il Mega prende parte al campionato nazionale juniores serbo, che chiuderà da MVP con cifre eccezionali come 28 punti, 14 rimbalzi e 33 di indice di valutazione di media.
Dopo un mese dal suo arrivo al Mega Vizura, Jokić entra a far parte della rotazione della prima squadra: Ražnatović non crede alle parole di Milojević quando gli annuncia le sue intenzioni, perché va bene che fosse sottovalutato, ma buttarlo così in campo senza alcuna esperienza…
Con la casacca verde-rosa Jokić diventa il cambio di Boban Marjanović, imponente centro titolare (2,24 di altezza, oggi in forza agli Houston Rockets in NBA), che la stagione dopo gli lascerà il posto trasferendosi alla Stella Rossa.
Il ragazzone di Sombor non fa registrare grosse cifre nel suo primo anno da professionista, con medie di quasi 2 punti e 2 rimbalzi in sole 5 partite nel campionato serbo. Nel 2013 firma un contratto di quattro anni con il Mega Vizura: qui inizia veramente a fare sul serio. Nella stagione 2013-2014 Jokić approda definitivamente in prima squadra, con Milojević che inizia ad impiegarlo sempre più di frequente nelle partite della Lega Adriatica, dove chiuderà l’annata con 11 punti, 6 rimbalzi e 2,5 assist di media.
Le prime esperienze internazionali
Prima dell’inizio della stagione 2013-2014 Jokić entra nel giro della nazionale, venendo convocato dalla selezione serba under 19 in occasione della Coppa del Mondo FIBA di categoria che si tiene dal 27 giugno al 7 luglio a Praga. Quella nazionale è di alto livello, vantando giocatori del calibro di Vasilije Micić, Nikola Milutinov, Mihajlo Andrić e Ognjen Dobrić. La Serbia raggiunge la finale, venendo sconfitta dai soliti Stati Uniti; Nikola Jokić fa registrare delle medie di 7 punti, 5 rimbalzi e 1,5 assist a partita.
Nonostante i numeri non proprio esaltanti alla Coppa del Mondo, viene invitato, nel giugno 2014, a prendere parte al Nike Hoop Summit: si tratta di un’esibizione che si tiene ogni anno a Portland, negli Stati Uniti, in cui si sfidano una squadra composta dai migliori prospetti liceali americani e una selezione composta dai migliori talenti under 19 a livello mondiale.
Jokić fa parte di questi ultimi: negli allenamenti fa alzare le sopracciglia di tantissimi scout per il suo modo poco ortodosso di giocare. Purtroppo, in partita fa fatica, sia in difesa dove soffre nel contenere Jahlil Okafor (all’epoca miglior giocatore liceale a livello nazionale), sia in attacco dove non sfiora troppi palloni e il suo primo tiro da tre tocca a malapena il ferro.
Dopo l’amichevole in Oregon è ora del draft NBA del 2014, al quale Jokić si è dichiarato eleggibile con la benedizione del suo agente Miško Ražnatović.
Denver calling
C’è un piccolo problema: a un paio di settimane dal draft Ražnatović vorrebbe ritirare l’eleggibilità del giocatore perché sembra che l’interesse delle franchigie NBA sia altrove. A cambiare tutto è una telefonata: dall’altro capo del telefono c’è Artūras Karnišovas, ex cestista lituano (cresciuto nel Rytas Vilnius, passato da Barcellona e Bologna sponda Fortitudo), vicedirettore generale dei Denver Nuggets. Karnišovas fa una promessa all’agente, ovvero che, se avesse permesso a Jokić di partecipare al draft, i Nuggets lo avrebbero selezionato al secondo giro con la scelta numero 41. La risposta di Ražnatović è affermativa.
Nella notte del 26 giugno 2014 al Barclays Center di Brooklyn si tiene il draft. I Nuggets hanno scelto alla numero 11 Doug McDermott, guardia-ala specialista nel tiro da tre proveniente dall’Università di Creighton. Come di consuetudine al draft, McDermott non andrà a giocare a Denver perché è stato scambiato per la scelta numero 16, quella dei Chicago Bulls. La squadra della Città del Vento sceglie un lungo bosniaco dalle mani enormi proveniente dall’allora Cedevita Zagabria: Jusuf Nurkić. Come promesso da Karnišovas, alla numero 41 i Nuggets scelgono Nikola Jokić.
La sua scelta al draft non viene trasmessa in televisione: nel momento in cui il vice-commissioner Mark Tatum sale sul podio del Barclays Center ad annunciare la selezione di Jokić, l’emittente ESPN decide di mandare in onda la pubblicità del Quesarito, una nuova quesadilla in promozione da Taco Bell. L’unica cosa che fa riferimento alla scelta dei Nuggets è il ticker in sovraimpressione. In tutto questo Jokić non sa nulla, perché lui è a Sombor a guardare il draft e nell’attesa si è addormentato. Lo sveglia suo fratello Nemanja con una telefonata mentre sta festeggiando nel suo appartamento di New York. Nikola gli risponde così:
Ancora un anno a casa
Le scelte al secondo giro del draft non assicurano il passaggio diretto dall’altra parte dell’oceano. Infatti, nonostante si stato dichiarato dichiarato eleggibile, Jokić e Ražnatović hanno già in mano un accordo con il Barcellona per la stagione 2014-2015. Tutto ciò salta per la scelta da parte dei Denver Nuggets, con Nikola Jokić che rimane al Mega durante la stagione: nella prima partita della stagione regolare della ABA Liga fa segnare un’incredibile doppia-doppia da 27 punti e 15 rimbalzi contro il MZT Skopje, imponendo così il ritmo che manterrà per il resto del campionato.
Vincerà i titoli di MVP e Miglior Giovane della Lega Adriatica e porterà la squadra in finale della Coppa Radivoj Korać (coppa nazionale serba) contro la Stella Rossa.
Il 9 giugno del 2015 rescinde il contratto con il Mega e il 27 luglio fa il grande salto, firmando un contratto con i Denver Nuggets e prendendo così parte alla Summer League con la franchigia del Colorado.
Si va in NBA
Con il salto dall’altra parte dell’Oceano Atlantico Jokić si trova, come è comune a qualsiasi giocatore del primo anno, a dover partire principalmente dalla panchina, facendo da cambio al centro titolare dei Nuggets Jusuf Nurkić. La squadra di Denver non sta attraversando un periodo particolarmente buono nella sua storia: sono anni che fa fatica dopo la cessione della superstar Carmelo Anthony ai New York Knicks e ha chiuso la stagione 2013-2014 con sole 30 vittorie, traghettati alla fine del campionato da Melvin Hunt, viceallenatore subentrato nel marzo al capo allenatore Brian Shaw.
Il 15 giugno 2015, un mese prima della firma di Jokić, i Nuggets assumono Mike Malone come head coach. In pochissimo tempo lo staff della franchigia si accorge del talento del centro serbo. La sua scelta bassa al draft del 2014 è dovuta principalmente a una questione di apparenze: gli scout NBA vengono principalmente impressionati dalle doti fisiche dei giocatori, l’unica cosa che Nikola Jokić sembra non avere.
La sua prima stagione in NBA è decisamente positiva per essere una scelta al secondo giro del draft, con medie di 10 punti e 7 rimbalzi in quasi 22 minuti giocati a partita, diventando da subito un giocatore fondamentale nella rotazione dei Nuggets. Jokić inizia a farsi strada nel panorama NBA, acquisendo sempre più confidenza nel suo gioco e non limitandosi solo a stare sotto le plance come un centro classico. Migliora moltissimo al tiro, dimostrando di avere una mano morbidissima e di essere un’arma offensiva sempre più completa.
Diventare “The Joker”
I numeri di Jokić continuano a salire progressivamente, mettendosi in mostra a ogni allacciata di scarpe. Inizia a entrare negli highlights di frequente grazie alle sue giocate sempre più impressionanti: il tiro da tre migliora ancora, i suoi passaggi fanno cadere le mascelle degli americani, che non hanno mai visto nessuno smazzare assist spalle a canestro come fa lui. Gioca quasi esattamente come faceva quando era a Novi Sad e a Belgrado. E tutto questo paga.
Nel 2016 prende parte al suo primo All Star Weekend nella cosiddetta Rising Stars Challenge, un’esibizione tra i migliori giocatori al primo e al secondo anno suddivisi in Team World (composta da giocatori internazionali) e Team USA. L’anno dopo prende sostanzialmente in mano la squadra, diventando titolare inamovibile e la nuova faccia della franchigia.
Tutto questo successo potrebbe dare alla testa di una persona che non è abituata al fantomatico occhio di bue. Ma per Nikola Jokić non è così: rimane una persona semplice, sempre lo stesso ragazzone di Sombor, che per gli americani diventa “The Joker”, principalmente per l’assonanza al suo cognome.
Il soprannome è particolarmente azzeccato, perché in campo è un jolly: in molte occasioni è lui che porta su il pallone durante gli attacchi dei Nuggets, facilita tantissimo i compagni di squadra, che siano guardie ed esterni come i tiratori Jamal Murray e Gary Harris, oppure creando occasioni con passaggi da capogiro a lunghi come Paul Millsap. È evidente come Jokić migliori decisamente tutti i giocatori che gli stanno accanto.
Fuori dal campo, invece, diventa il giullare: quando parla con i giornalisti non ha paura di fare la battuta, è simpatico e affabile, in poco tempo diventa uno degli atleti più apprezzati e riconoscibili dell’intera NBA.
La consacrazione
Stagione per stagione si prende la squadra sottobraccio e, facendolo, raccoglie riconoscimenti su riconoscimenti. A suon di “triple doppie” – partite in cui si raggiunge la doppia cifra in almeno tre delle principali categorie statistiche – e assist da spavento, Jokić viene scelto per partecipare al suo primo All Star Game nel 2019 e alla fine della stagione regolare viene inserito nel primo quintetto All-NBA. È ufficialmente tra i cinque cestisti più forti del pianeta. Sempre nella stessa stagione porta i Nuggets per la prima volta ai playoff dal 2013, perdendo però per 4-3 al primo turno contro i San Antonio Spurs.
La stagione successiva viene interrotta nel marzo del 2020 a causa della pandemia da Covid-19 e riprende nella “bolla” di Disneyworld a Orlando, in Florida. Jokić sta espandendo sempre di più il proprio gioco, continuando a registrare cifre da capogiro, come la tripla doppia da 30 punti, 21 rimbalzi e 10 assist di febbraio contro gli Utah Jazz o il suo massimo punti in una partita, 47, contro gli Atlanta Hawks il 6 gennaio. Alla ripresa della stagione NBA in Florida, il centro serbo riesce a portare i Nuggets ad un passo dalle prime Finali NBA della loro storia, uscendo solamente sconfitti dalle Finali della Western Conference contro i futuri campioni, i Los Angeles Lakers, guidati da LeBron James.
La stagione successiva inizia alla grandissima per Jokić, battendo subito record storici: diventa il primo giocatore dal 1966 a segnare più di 200 punti e a registrare più di 100 rimbalzi e 100 assist. L’ultimo, e unico, a riuscirci fu una leggenda del gioco come Oscar Robertson. Chiude la stagione regolare con numeri da capogiro (26,4 punti, 8,3 rimbalzi e 10, 4 assist a gara) e trascinando i Nuggets ai playoff.
In tutto questo viene eletto come MVP della stagione regolare: è il primo serbo di sempre a riuscirci; inoltre diventa il giocatore con la scelta più bassa di sempre al Draft a vincere il premio. I Nuggets superano il primo turno vincendo la serie per 4-2 contro i Portland Trail Blazers, ma vengono sopraffatti per 4-0 dai Phoenix Suns alle semifinali della Western Conference.
Nel 2022 riesce a vincere il suo secondo titolo di MVP consecutivo, nonostante sia costretto ad affrontare la sua prima sospensione in carriera quando, durante una partita di regular season contro i Miami Heat, ha un alterco con l’ala avversaria Markieff Morris: lo colpisce con una fortissima spallata. I Nuggets riescono a raggiungere nuovamente i playoff, ma vengono fermati al primo turno dai Golden State Warriors, che vinceranno il titolo NBA.
Il 2023 è definitivamente l’anno di Jokić: non vince il premio di MVP della stagione regolare (quello è andato a Joel Embiid, in una scelta che ad oggi rimane controversa) nonostante guidi la lega in indice (38) e triple doppie (29). Facendo registrare 24,5 punti, 9,8 rimbalzi e 11,8 assist a partita porta nuovamente i Nuggets ai playoff: al primo turno fanno 4-1 contro i Minnesota Timberwolves; nelle semifinali della Western Conference battono per 4-2 i Phoenix Suns di Devin Booker e Kevin Durant.
Alle finali di Conference bisogna superare l’ostacolo LeBron James e i suoi Los Angeles Lakers. Ma non c’è nessun problema perché in Nuggets li asfaltano per 4-0, staccando il pass per le Finali NBA per la prima volta nella storia della franchigia.
Allo scoglio finale ci sono i Miami Heat giudati da giocatori come Jimmy Butler e Bam Adebayo e con un roster di tutto rispetto nel quale figurano veterani navigati come Kyle Lowry, Kevin Love e l’ultraquarantenne Udonis Haslem, ma anche giovani di belle speranze come Duncan Robinson, Tyler Herro e anche un serbo quasi completamente omonimo, ovvero l’ala piccola Nikola Jović.
Anche qua, in realtà, di storia ce n’è ben poca: i Nuggets si impongono nella prima partita, ma nel secondo match a Denver sono gli Heat a pareggiare i conti. Da gara 3 in poi, i ragazzi guidati dalla panchina da Mike Malone e in campo da Jokić e dalla guardia Jamal Murray (il primo duo di sempre a realizzare una tripla doppia nella stessa partita nella storia delle Finali NBA) non si guardano più indietro. La serie finisce 4-1. I Denver Nuggets vincono il primo titolo di Campioni NBA della loro storia. Nikola Jokić è definitivamente sul tetto del mondo, vincendo anche il premio di MVP delle Finali.
È il primo cestista serbo di sempre a vincere il premio di miglior giocatore della serie finale, il primo serbo a vincere il titolo NBA da protagonista assoluto, ma non il primo a vincerlo. Nel 2004 Darko Miličić fu parte dei Detroit Pistons campioni, nel 2011 è Predrag Stojaković a prendersi l’anello insieme ai Dallas Mavericks di Dirk Nowitzki. L’ultimo ci era riuscito l’anno prima, quando Nemanja Bjelica militava nei Golden State Warriors.
Di solito, le interviste post-partita quando si vince un titolo NBA sono piene di emozioni, con i vincitori che si lasciano andare dopo aver vissuto i precedenti due mesi sul filo del rasoio. E anche in questo Jokić è diverso da tutti gli altri, perché alla domanda su che cosa si provi ad aver raggiunto il sogno della maggior parte dei cestisti del pianeta risponde così:
È bello, è bello. Abbiamo fatto il nostro lavoro. Adesso possiamo andare a casa.
Durante i festeggiamenti rimane nelle retrovie, facendosi vedere quando gli viene consegnato il premio di MVP delle Finali e ricevendolo con sua figlia Ognjena in braccio, nata nel 2021 dalla moglie Natalija Mačešić, conosciuta quando era ragazzino a Sombor. La sua conferenza stampa dopo le premiazioni è esattamente l’emblema di chi sia Nikola Jokić, della sua semplicità e simpatia.
Nikola Jokić e il rapporto con la nazionale
Dopo l’esperienza al Mondiale under 19, Jokić inizia a farsi strada nel giro della nazionale serba di basket. Fa il suo debutto con gli Orlovi nel 2016 in occasione del torneo preolimpico disputato a Belgrado, dove viene votato MVP della manifestazione. Prende parte alla spedizione olimpica di Rio de Janeiro, dove vince la medaglia d’argento perdendo solamente in finale contro i soliti Stati Uniti.
Nel 2017 viene convocato da Saša Đorđević in occasione dell’Eurobasket di quell’anno, ma Jokić viene convinto dallo staff dei Denver Nuggets a rifiutare l’invito per prepararsi al meglio per la successiva stagione NBA. L’opinione pubblica serba non la prende bene, diventando presto oggetto di scherno anche su internet; la Serbia arriverà seconda, sconfitta in finale dalla Slovenia di Goran Dragić e Luka Dončić.
Da qui in poi con la nazionale non ha molto successo: al Mondiale cinese del 2019 fa da secondo violino a Bogdan Bogdanović, con la Serbia che viene eliminata dall’Argentina. All’Europeo del 2022 Jokić torna nuovamente con gli Orlovi: dopo aver dominato nella fase a gironi, la nazionale serba viene eliminata a sorpresa dall’Italia ai quarti di finale. L’anno scorso Jokić rifiuta nuovamente di partecipare ad un grande torneo internazionale, quando non prende parte alla spedizione serba per il Mondiale disputato tra Filippine, Giappone e Indonesia, con la nazionale che perde a sorpresa la finale contro la Germania. Torna di nuovo in nazionale per i Giochi Olimpici che si stanno disputando a Parigi.
Lo stesso di sempre
Nikola Jokić è così. Nonostante tutto è sempre rimasto così, com’era quando da ragazzino dominava i campionati giovanili con la canotta del Vojvodina Srbijagas. Un ragazzo semplice che tratta il basket semplicemente come un lavoro. Quando si chiudono le stagioni NBA, a meno che non sia impegnato con la nazionale, lui fa sempre ritorno a Sombor dove passa le estati tra la sua famiglia e la sua altra grande passione, l’ippica. Non è difficile ritrovarlo mentre sta cavalcando oppure, come è successo di recente, trovarlo al campetto da basket con un paio di amici a giocare tre contro tre, semplicemente per divertimento.
Da campione NBA, vicecampione olimpico, tre volte MVP della regular season e una delle Finali NBA, dopo aver dimostrato agli americani che il fisico e l’atletismo a volte non contano così tanto come credono, riesce sempre ad essere sé stesso e a farlo con leggerezza. Un’insostenibile leggerezza, quella di essere il più forte di tutti.
Laureato in Scienze della Comunicazione, si occupa principalmente di calcio e basket specificatamente nell'area balcanica, avendo vissuto in Serbia nel periodo tra agosto 2014 e luglio 2015. Ha collaborato da giugno 2020 a dicembre 2021 con la redazione sportiva di East Journal. É co-autore del podcast "Conference Call" e autore della rubrica "CoffeeSportStories" sul podcast "GameCoffee". Da agosto 2022, collabora con la redazione sportiva della testata giornalistica "Il Monferrato".