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Resistenza e testimonianza in “Oltre la soglia del dolore” di Katerina Gordeeva

“Katerina Gordeeva è diventata un’alternativa unipersonale a una colossale macchina di propaganda”.

Così commenta Dmitrij Muratov, premio Nobel per la pace e caporedattore di Novaja Gazeta, l’autrice de Oltre la soglia del dolore, pubblicato nella traduzione italiana di Mario Caramitti da 21lettere, già casa editrice di Michail Šiškin. Katerina Gordeeva è divenuta nel corso negli anni una delle figure chiave del dissenso russo, alla quale si deve la realizzazione di un numero consistente di reportage e documentari che ritraggono la Russia di Putin.

Tra le iniziative che hanno resto conosciuta Gordeeva c’è il suo progetto YouTube, Skaži Gordeevoj (“Dillo a Gordeeva”), dove vengono intervistate personalità differenti all’interno della società russa contemporanea. Ad esempio, Memorial Italia ha sottotitolato l’intervista di Gordeeva con lo stesso Muratov.

Oltre la soglia del dolore è uno di quei libri pubblicati dopo il febbraio 2022 che non hanno visto la luce in Russia e la cui pubblicazione sarebbe impensabile al momento, rendendo sempre più evidente il fatto che si stia gradualmente tornando a una situazione paragonabile a quella del tamizdat sovietico (la pubblicazione oltre confine). Difatti, Unesi ty moe gore, il titolo russo del libro, è stato pubblicato dalla casa editrice Meduza, che ha sede fuori dalla Russia.

Meduza, che deve il titolo all’omonima testata online indipendente, è nata proprio come conseguenza all’irrigidimento della censura e alla pressoché impossibilità per molti autori e giornalisti di pubblicare i loro scritti entro i confini della Federazione Russa all’indomani dell’invasione dell’Ucraina su larga scala.

Tra i nomi pubblicati dalla casa editrice vi sono, accanto a Gordeeva, quello di Elena Kostjučenko con Moja ljubimaja strana (che ha avuto la sua primissima edizione in Italia con il titolo La mia Russia), quello di Michail Zygar’ con Vojna i nakazanie (Guerra e castigo) o, ancora, di recente pubblicazione Naš biznes smert’ (Il nostro business è la morte), nel quale Il’ja Balabanov e Denis Korotkov ripercorrono la storia della Wagner e di Prigožin.

Nonostante le evidenti difficoltà che l’editoria italiana incontra nel pubblicare le opere russe dei contemporanei, di cui si rivela un evidente calo negli ultimi due anni, è rilevante osservare come la pubblicazione di testi affini a quello di Gordeeva si sia, dal canto opposto, intensificata. Oltre alla già menzionata Kostjučenko, vi sono anche altre pubblicazioni che rientrano nel medesimo ambito, come L’ora del lupo di Valerij Panjuškin o Proteggi le mie parole, la raccolta dei Poslednie slova (“ultime parole”) curata da Giulia De Florio e Sergej Bondarenko.

oltre la soglia del dolore gordeeva

Oltre la soglia del dolore è il libro d’esordio di Gordeeva, il suo primo vero e proprio avvicinamento alla prosa, in cui si possono rintracciare molti aspetti della sua attività menzionata poc’anzi. Ciascun capitolo, che nella versione russa si apre con un’immagine in bianco e nero assente nella versione italiana, racchiude una testimonianza specifica. Sebbene possano apparire slegati, i capitoli sono da interpretarsi come un arcipelago di voci che interagiscono e che, nella loro diversità, contribuiscono a restituire un’immagine della società russa e di quella ucraina nelle sue sfaccettature.

A prendere parola sono individui coinvolti nella guerra da entrambe le parti, sia che quasi abbiano scelto (o abbiano avuto la possibilità) di emigrare, sia che siano rimasti. D’altronde la dedica, che nella versione russa viene posta direttamente in copertina, recita “A tutti quelli che amo da entrambi i lati della guerra”. La stessa Gordeeva appartiene al fenomeno della nuova ondata dell’emigrazione dell’intellighenzia russa, che ha eletto tra le sue destinazioni predilette Berlino o le città del Caucaso.

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Come già nelle sue interviste, il fine dell’autrice è quello di riportare l’esperienza altrui senza introdurre un vero e proprio filtro narrativo, ma lasciando che siano i testimoni ad articolare il loro vissuto. Gordeeva indaga come la guerra ha impattato la vita della gente comune, un percorso già iniziato con il film uscito nel luglio 2022, Čelovek i vojna (L’uomo e la guerra).

A essere riprese nel film sono testimonianze rilasciate da abitanti di Mariupol’, Buča, Kyiv e altre città dell’Ucraina.

Nella descrizione del film, pubblicato su YouTube, si legge una dichiarazione di intenti atta a descrivere la funzione dell’attività giornalistica in relazione a quanto avviene nella contemporaneità. Il compito del giornalista si rivela essere quello di registrare le voci dei testimoni con il fine di permettere agli storici del futuro di raccontare la verità. Ed è proprio la verità a essere il valore che emerge più di frequente negli scritti menzionati e che Gordeeva veicola nelle pagine del suo libro.

Da un punto di vista stilistico si riconosce nel russo impiegato da Gordeeva quella tendenza del giornalismo contemporaneo a prediligere frasi concise, d’effetto. Difatti, il ritmo della scrittura giornalistica russa contemporanea si potrebbe definire “semplice” ma “impattante”, seguendo l’eredità lasciata da Anna Politkovskaja. Entrando nel tessuto di autrici come Gordeeva o Kostjučenko, è infatti evidente come le due giornaliste si siano fatte carico, come molte altre, di quest’eredità.

Uno dei temi più significativi del libro riguarda l’elaborazione del dolore e di come il suo predominare nel quotidiano porti a un cambiamento nelle modalità in cui gli individui reagiscono ad esso. Nel primo capitolo Gordeeva riflette su come siano cambiate le modalità in cui avviene il rapportarsi alla morte:

Mi sembra che dal bosco da un momento all’altro correrà fuori un uomo, si metterà a sparare, spareranno anche a lui. Morirà. La sua morte sarà ripresa da un drone, e quel che vedrò sarà lei, la morte. E non cuccioli d’alce. Io non piango. In un anno di guerra anch’io, come tutti, ho disimparato a piangere.

L’assenza del pianto è condivisa anche dai testimoni con cui l’autrice entra in contatto, i quali ammettono di non voler piangere per “paura di non poter controllare le emozioni”. Il timore nei confronti del pianto è al tempo stesso paura di lasciarsi sopraffare dal dolore – il rifiuto del pianto diviene dunque un gesto di sopravvivenza. A tal proposito, Julija, la voce del secondo capitolo, afferma di quanto sia difficile – ma necessario – trattenere il pianto.

Tutte le mie lacrime le ho già versate. Piangere in fin dei conti è facile, lo sai? Quando si soffre, è più facile piangere che non piangere, no?

Trattenere il pianto diviene dunque uno strumento attraverso cui far fronte al dolore, un modo per continuare a vivere rinunciando al detto russo “vyplakat’ glaza”, “piangere fino a consumarsi gli occhi”. Risuonano, in un certo senso, i versi di Pasternak tradotti da Ripellino: “Non agitarti, non piangere, non affaticare / le forze esauste e non affliggere il tuo cuore”. 

Tuttavia, questo rifiuto non è da interpretarsi come una negazione, ma piuttosto come un atto di resistenza corale dove si è consci dell’impossibilità di assopire il dolore. Nel suo percorso Gordeeva mostra le diverse forme in cui il dolore si disvela, chiarendo come i due piani del privato e del collettivo siano due dimensioni inscindibili e strettamente connesse. Il libro è da intendersi in termini di un “mosaico del dolore”, dove l’accostamento delle singole tessere è finalizzato a svelare l’arché di questo sentimento. Tuttavia, l’autrice è conscia del fatto che si tratti di un fallimento annunciato e, in chiusura al libro, ammette di comprendere l’impossibilità dell’uomo di rintracciare quest’origine.

L’ultimo capitolo, “La federa”, è il risultato di un processo di introspezione in cui Gordeeva diventa a sua volta testimone, una delle voci. In queste pagine densamente autobiografiche la memoria “sobbalza”, risvegliando i ricordi dell’infanzia. Il ritorno a Rostov sul Don diviene un’occasione per riflettere sulla complessità di quella regione come luogo di confine e di come la connessione tra le rispettive parti si sia interrotta come effetto degli avvenimenti geopolitici.

Ho sempre avuto memoria dei pullman e dei minibus che collegavano Rostov con Doneck, Lugansk, Mariupol’ e Melitopol’. Le particolarità di lessico e di pronuncia di Rostov sono molto simili a quelle di chi vive nell’Ucraina orientale. In tanti anni di vicinanza ci siamo mescolati: gli abitanti di villaggi e cascine cosacche, di paesini limitrofi si sono sposati fra loro, hanno unito le loro produzioni agricole, hanno generato figli.

Il ricordo di Gordeeva della sua infanzia a Rostov si mescola alla memoria di Taisija Michajlovna, classe 1936. Nel discorso con Taisija si affronta il complesso tema passato e emerge prorompente la questione dei colpevoli, vale a dire la necessità di individuare qualcuno che si possa eleggere a responsabile di tutto quel dolore che grava sul presente.Su queste riflessioni si chiude il libro, lungo le rive del Don l’autrice prende coscienza di come la dolcezza dei ricordi strida con il dolore del presente.

Oltre la soglia del dolore è dunque un invito a tendere l’orecchio verso testimonianze che possono ampliare la percezione di “chi sa ascoltare” e a partecipare a un dolore comune, al quale nessuno può sottrarsi.

Oltre la soglia del dolore di Katerina Gordeeva, traduzione di Mario Caramiti, 21lettere, 2024
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Martina Mecco
Martina Mecco

Dottoranda in Studi germanici e slavi presso l’Università La Sapienza di Roma e l’Univerzita Karlova di Praga. I suoi studi si concentrano sulla letteratura e la critica ceca degli anni Venti e Trenta. Cofondatrice del progetto Andergraund Rivista, è anche membro attivo della redazione di Est/ranei.